42. Ethan

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Ethan si trovava nuovamente sulla strada per la scuola; era solo, mentre ripensava ai momenti con James del giorno prima. Lo amava, lo amava davvero tantissimo. Si sentì uno stupido, dopo tutto quello che il ragazzo aveva fatto per lui.

Solo cinque ore dopo, Ethan chiudeva lo sportello del suo armadietto, dieci minuti dopo che l'intera scuola si era fiondata al proprio per posare i libri e scapicollarsi fino alla mensa. Giravano voci dalla mattina che quel giorno ci sarebbe stata la pizza, ma nessuno ne aveva la certezza.
Ethan esitò a credere a questa notizia. Non aveva fame, quindi anche fosse finita a lui non sarebbe cambiato nulla.
Girovagò un poco nei corridoi vuoti, salendo al terzo piano e sedendosi all'inizio della scalinata che portava ai laboratori chiusi. Non aveva nulla da fare, e sperava che almeno lassù, più lontano possibile dalla mensa, nessuno lo avrebbe disturbato.

Si sbagliava.

Non era il solo ad aver rinunciato alla sua ora di pausa per restare all'interno dell'edificio.
La mensa era al piano terra, e le sue uscite di emergenza davano sul cortile sul retro, dove i ragazzi nel tempo libero giocavano a basket o se ne stavano semplicemente sotto i portici quando il tempo non permetteva di fare nient'altro.

Ethan sentì dei passi lungo il corridoio deserto, ma le forze per alzarsi gli vennero a mancare in quel preciso istante.
Pregò che non fosse un bidello, altrimenti lo avrebbe rispedito di sotto, in mensa, o nemmeno qualcuno che lo conoscesse. Non voleva discutere o rispondere alle domande opprimenti della gente in quel momento.
Ethan chiuse le palpebre e rilassò le spalle, sicuro che, chiunque fosse stato ancora nell'edificio a pochi metri da lui, non aveva intenzione di cercare proprio il quindicenne.

Ma come prima, si sbagliava.

Un ragazzo di fermò davanti alla scalinata dov'era seduto Ethan, che teneva il capo chino e le mani sulle ginocchia piegate.
Ethan osservò il giovane a partire da basso: Nike nere, jeans stretti chiari, maglietta rossa a maniche corte, lineamenti dolci, sorriso mozzafiato, occhi da incanto, capelli morbidi e profumati. James Armstrong.
Il castano sorrise impercettibilmente al suo arrivo, come se in fondo lo stesse aspettando.
Il maggiore non proferì parola, si limitò a sedersi accanto al minore sui grandini, cingendo il quindicenne per le spalle con un braccio. Ethan istintivamente posò la testa sulla sua spalla ed inalò il dolce profumo di James. Quest'ultimo, a sua volta, posò le labbra sulla fronte del castano e prese ad accarezzargli i capelli, che adesso gli arrivavano fin sotto l'orecchio, all'altezza della nuca. Aspettarono, stringendosi l'un l'altro senza parlare, senza riempire quel silenzio già sufficentemente carico con un dialogo composto di scuse ed elogi.

James lasciò scivolare la mano lungo il fianco del minore, per poi tirarlo delicatamente a sé. Il ragazzo dagli occhi color oceano sorrise a labbra chiuse, e infine spostò le gambe sopra a quelle del biondo, stringendosi ancora di più al petto del maggiore. Gli posò una mano sul petto, dove sentì i battiti rapidi del cuore del ragazzo dagli occhi di smeraldo.
L'atmosfera era insolitamente calma. Gli unici rumori che i due ragazzi riuscivano a percepire erano i loro respiri che si sovrapponevano, caldi e regolari.
Ethan strinse il maggiore per i fianchi con tutta la forza che possedeva, così forte che iniziò a tremare impercettibilmente. Il diciassettenne, sorpreso dal suo gesto, si appoggiò con le mani sul gradino superiore, per evitare di cadere all'indietro, e posò le labbra su capelli morbidi di Ethan.

Quel silenzio di sole azioni durò per altri svariati minuti. Solo dopo un tempo indeterminato venne rotto dal minore, sull'orlo del pianto.
- Ti amo. - mormorò a voce talmente bassa che persino James faticò a percepirla.
- Grazie, Ethan. - sussurrò il biondo in risposta, carezzandogli i capelli.

I due ragazzi scesero al piano terra a solo dieci minuti prima della fine dell'intervallo, ma non si separarono per non dare nell'occhio. Restarono sul muretto dietro al campo da basket, seduti mano nella mano, riparati dalla pioggia dai cappucci delle felpe e dai pochi aghi di pino che sporgevano dagli alberi a loro retrostanti. Nessuno li notò, erano entrambi ancora troppo indifferenti al gran numero di studenti di quella scuola per far sì che a qualcuno importasse di loro.

Le lezioni terminarono, e i due ragazzi si rincontrarono, com'era a loro solito fare, sul retro dell'edificio scolastico, per salutarsi prima di tornare a casa. Erano entrambi stufi di quel continuo fuggire dalla realtà. Avrebbero voluto uscire allo scoperto, ma le attuali condizioni non gliel'avrebbero permesso.

Ethan si avviò solo verso casa, mentre James passò per l'altro cortile della scuola, prima di avviarsi verso la sua zona.

Il ragazzo camminava già da dieci minuti con una strana sensazione addosso. Gli sembrava che qualcuno lo stesse osservando. Si era voltato più volte a guardare indietro, ma non aveva visto nessuno. L'ansia saliva, e più andava avanti, più cercava di aumentare il passo, pregando di arrivare a casa il prima possibile.

Stavolta, però, non si sbagliava.

A metà strada, però, Ethan si trovò di fronte all'ennesimo Butch furioso. Il castano indietreggiò terrorizzato, addossandosi quasi al muro dietro di sé. Butch si scrocchiò sicuro le nocche, guardandolo con odio. Piegò il collo a destra, ma poco prima di sferrare un pugno al ragazzo indifeso, James si intromise tra lui e il suo ragazzo, facendo indietreggiare il maggiore, sorpreso.
- Potrai fare quello che ti pare, Norrison, - iniziò allargando le braccia. - ma non toccare il mio ragazzo. - James lo spinse via mentre Butch, ancora sconvolto e a bocca aperta, realizzava la situazione e si preparava per un altro attacco.

Ethan si morse un labbro per non urlare, non voleva attirare nuovamente l'attenzione su di sé, anche se non sapeva se James ce l'avrebbe fatta a reggere uno scontro fisico con Butch.
- Sei solo un vigliacco. - sibilò a denti stretti. - Prenditela con i tuoi pari, invece di infastidire i ragazzini.

Il quindicenne capì cosa stava cercando di fare: non aveva intenzione di passare alle mani, non si sarebbe mai abbassato al suo livello; cercava solo di allontanarlo.
Lo trovò impossibile, però, quando Butch lo afferrò e lo sbatté con forza al muro, tirandolo di peso dalla maglietta. James strinse i denti e sferrò un pugno sulla mandibola, spostandolo di almeno mezzo metro, lo spazio necessario per trovare in modo di scansarsi dal muro.
Gettò rapidamente uno sguardo al suo ragazzo, che nel frattempo aveva attraversato la strada con in spalla anche il suo sguardo, mentre assisteva alla scena preoccupato. In una breve conversazione muta, composta solo da sguardi e cenni del capo, Ethan chiese a James se fosse necessario un suo intervento, ma il maggiore declinò l'offerta. Ce la stava facendo. Per quanta forza riponesse Butch nelle sue braccia, il movente del biondo era più potente di qualsiasi altra forza. Lottava per Ethan, per il suo benessere. Doveva vincere, doveva farlo per lui.

James non restò gravemente ferito da quello scontro, gli si stava formando solo un livido sul braccio sinistro, causa di un pugno che non era riuscito a fermare, e un graffio sul dorso della mano destra. Butch aveva mollato solo nel momento in cui era apparso uno dei suoi professori in macchina, sulla strada che conduceva verso la zona di James. Si era semplicemente nascosto in un vicolo, ma prima che fosse troppo tardi il biondo aveva preso per mano Ethan ed erano corsi via, scappando in quel modo da quello scontro senza fine.

Poco più tardi, i due ragazzi passeggiavano mano nella mano in una delle parallele alla strada sulla quale avevano incontrato Butch, insolitamente da solo.
James aveva un'aria serena, tranquilla, e una spensieratezza che Ethan non gli aveva mai visto, che sapeva non gli appartenesse ormai da anni.
- Grazie. - sussurrò il castano, stringendogli delicatamente la mano.
- Grazie a te. - replicò James, sorridendo appena.
- Non ho fatto nulla, sei tu quello perfetto qui.
- Non è vero, Ethan, non sono perfetto. Ma finalmente ce l'ho fatta. Ed è tutto grazie a te. - Si fermò, afferrandolo per le spalle. Ethan continuava a non capire cosa stesse dicendo e lo guardava confuso. - Ho reagito. Mi sono ribellato, ho fatto la mia parte. Ricordi quando ancora non ci conoscevamo, quando mi odiavi, mi urlavi dietro che non avrei mai fatto la differenza stando fermo? Io sì. E ti ringrazio per questo. Senza di te non avrei trovato la forza per fermarmi, smettere di scappare, voltarmi e combattere i miei problemi. Ti amo e non sai quanto, Ethan. - Sussurrò infine socchiudendo le palpebre.
Ethan gli prese il visto tra le mani e lo baciò, consapevole della verità nelle parole del biondo.
- Anch'io ti amo. E non mi stancherò mai di ripetertelo.
Tornarono a tenersi per mano, mentre tornavano a casa tranquilli e con un peso in meno sul cuore.

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Piango.
Per la storia e per la giornata.
24/08/2016
Penso abbiate sentito tutti del terremoto. Beh, considerate che io sto nel Lazio. Ho paura. Voi di dove siete? Per chi vivesse nelle zone interessate dal sisma: state bene? Tutto a posto, vero?
Sono una persona ansiosa, lo so.
Vi lascio, buon pomeriggio.

Ethan, io...Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora