45. Ethan

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Erano ancora le sette e mezza, ma Ethan si trovava già di fronte al cancello chiuso della sua scuola. Una leggera nebbiolina ostacolava la vista oltre i sei metri di distanza, ma questo non impedì ad Ethan di cercare con lo sguardo un punto preciso nella fitta nube. Il capo era rivolto verso sinistra, tra le inferriate del cancello scuro. Era il campo da basket, con il celebre muretto basso dove aveva compreso, la prima volta, che non tutto ciò che si vedeva da fuori corrispondeva alla realtà. Aveva scambiato le prime parole con James, su quello stesso muretto, innamorandosi a poco a poco della sua gentilezza, della sua umanità.
Quella sensazione l'aveva avuta anche il pomeriggio precedente, quando il biondo aveva raccontato la storia del suo vecchio amico.

Ethan si sentì posare una mano sulla spalla, e si girò di scatto spaventato.
Con suo stupore trovò James davanti a lui, lo sguardo spento e l'aria avvilita.
Il ragazzo non ebbe il coraggio di parlare: sapeva, comunque, che in quell'occasione non avrebbe dovuto farlo.
Poi, gli prese il viso tra le mani, asciugandogli con il pollice la lacrima che nel frattempo gli era scesa sulla guancia.
- James, guardami: dai siediamoci e mi spieghi tutto, va bene?
- Non c'è niente da spiegare. Butch non ce l'ha fatta. Non ho dormito stanotte. Ethan, io... Non ce la faccio. - lo abbracciò e soffocò i singhiozzi contro la sua spalla, mentre il castano gli accarezzava i capelli morbidi. Non osò parlare, ma qualsiasi frase sarebbe risultata superflua o addirittura fastidiosa in quel momento.
Non c'erano cure, rimedi o consolazioni dalla morte.
Andava accettata e basta.

La notizia, nel giro di poche ore, aveva raggiunto tutti gli insegnanti e persino il signor Kevins, che non aveva fatto altro che far pesare ancora di più la situazione già delicata.
Le voci correvano tra i corridoi, dentro le classi, sembrava che non fosse successo nient'altro. Ogni studente ne era al corrente, e tutte le volte che Ethan passava era un persistente brusio e un continuo indicarlo, come fosse lui la causa di tutto ciò. Il ragazzo tentava di trasparire la noncuranza per eccessivi spettegolezzi da parte dei suoi compagni, ma gli risultò più difficile del solito.

Cercò James per tutta la mattina. Al piano terra, in segreteria, alla mensa e persino al terzo piano, dove si trovavano quasi tutte le sue classi e l'armadietto. Niente. Aveva provato ad aspettarlo nei corridoi al cambio dell'ora, ma evidentemente non aveva nemmeno posato i libri.
Neanche Joseph e Lucy sapevano dove fosse, e la stessa cosa valse per Ryan, che ultimamente era riuscito a legare con il ragazzo, arrivando a considerarlo parte della sua famiglia.
Ethan aveva cominciato veramente a preoccuparsi quando riuscì a trovarlo. Aveva notato da lontano un'ombra, la cui figura proveniva dal cortile sul retro della scuola, dal lato opposto del cancello. Si era avvicinando camminando a filo muro, cercando di non essere notato.

James era seduto a terra, la schiena al muro e le ginocchia piegate al petto; lo zaino floscio era adagiato accanto a lui, a terra, come abbandonato a se stesso. Il biondo teneva in mano un kit completo da sigarette; la scatolina del tabacco era aperta a terra, mentre teneva il filtro e una cartina in mano. Ethan strizzò le palpebre un paio di volte, incredulo: James fumava?
Si avvicinò a grandi passi al suo ragazzo e si inginocchiò accanto a lui, pizzocandogli il braccio per attirare la sua attenzione.
- Cosa diavolo ti passa per la testa? Ti sei rimbecillito? Il fumo non risolverà i tuoi problemi. - James lo fissò confuso per alcuni secondi, poi abbassò lo sguardo.
- Non stavo fumando. - mormorò tristemente, rigirandosi la sigaretta pronta tra le mani.
- Perché negare l'evidenza? Parlami invece di stare qui nascosto a rovinati.
- Ethan non stavo fumando. - ripeté, con tono più alto e deciso. - Mi rilassa preparare sigarette. - spiegò, mostrando un'altra scatolina contenente una ventina di cartine pronte per essere accese.
Ethan sospirò e James fece altrettanto; si sedette accanto al biondo e appoggiò la testa sulla sua spalla, osservando un punto fisso davanti a lui.
- Dove hai trovato il tabacco e il resto? - lo interrogò, ancora non convinto dall'alibi del ragazzo.
- Conosco il nascondiglio della roba di Butch. C'è tutto: tabacco, marijuana, e forse puoi trovarci anche una mezza bottiglia di vodka. - spiegò con nonchalance, come fosse la cosa più normale del mondo avere una riserva di fumo e alcool in una scuola.
Ethan scosse la testa in disapprovo, mollando un pugno sulla spalla del suo ragazzo, ma senza l'intento di fargli male: solo di ricordargli la sua rabbia.
- Ehi. Grazie, eh. - Ethan sorrise e lo spintonò, costringendolo ad appoggiarsi a terra con le mani per non sbilanciarsi e cadere.
- Dai, Ethan... Non sono in vena di scherzi oggi. Smettila. - il minore sembrò non ascoltarlo e gli pizzicò il braccio, facendolo sobbalzare.
- Idiota. - commentò il castano sorridendo appena.
- Ethan, per favore. Ti ho già detto che non ho voglia di giocare. Non me la sento di prendere con leggerezza una giornata come questa. - James sentì minore lasciarsi andare e accasciarsi accanto a lui.
Si scusò con lui e spiegò che cercava solo di farlo distrarre, non capendo che la tristezza a volte era necessaria.
- Vedi, Ethan, non sempre è necessario essere felici. Perché spesso non si tratta di felicità, ma di illusione. Non possiamo fingere a noi stessi che vada tutto bene quando in realtà non è così, non fa bene.
Ethan abbassò lo sguardo e annuì, rimanendo a fissare le mani del biondo posate sul proprio ventre.

Ethan, io...Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora