26. And I'm on the way, and I know where you are.

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Quince era arrivato alla festa di San Valentino senza alcuna accompagnatrice, differentemente da quanto tutti si erano aspettati; dopotutto, quella era la notte in cui era lecito potersi portare a letto chiunque nell'ottica di quei giovani ormai tanto superficiali. 

Il ragazzo comunque, diversamente da come faceva solitamente, non iniziò a cercare il proprio tavolo per stare in compagnia di Richard e del loro gruppo; quella era la serata e la festa idele per dimenticarsi un pò della vita quotidiana e darsi alla pazza gioia, in fondo, dunque perchè sprecare del tempo prezioso con la solita routine? 

Ovunque si respirava un'aria euforica, la stessa che aleggiava fra i giovani che volevano perdersi fra le lenzuola con persone di cui non sapevano il nome e che probabilmente non avrebbero neppure ricordato di aver conosciuto. 

Era l'aria euforica dei vizi e dei piaceri giovanili.

Era l'aria del peccato e della lussuria. 

Era l'aria nella quale Quince si trovava più a suo agio e che segnava il suo territorio di caccia. Quella sera non ci sarebbe stato alcun ripensamento sul da farsi, niente gli avrebbe fatto cambiare idea. 

Dopo quell'incontro confuso con Dafne, dunque, iniziò a girovagare per il locale lanciando languidi sguardi a tutte le ragazze che incrociavano il suo cammino, le quali arrossivano immediatamente e abbassavano lo sguardo: non erano alla sua portata, evidentemente. 

Quince aveva sempre saputo quale fosse il suo prototipo di ragazza ideale, ed era per questo che, anche quando decideva di voler passare la notte con una ragazza qualsiasi solo per divertimento, non riusciva ad arrivare fino in fondo con la presa in giro. 

C'era solo una colpevole in tutta quella vicenda: Amber. 

Ma poteva davvero prendersela con lei se tutto stava diventando più complicato? Se lui non era in grado di intromettersi nella sua vita tanto facilmente? Ovviamente no. 

Non era colpa di Amber se la stessa era splendida. 

In realtà, non esisteva alcuna colpa, dopotutto, non era accaduto volontariamente, tutto era successo così all'improvviso e, purtroppo, nessuno aveva interferito per rendere le cose tanto ostili. 

No. Non c'era nessun colpevole. 

Girovagò troppo a lungo da solo in quella sala colma di persone ma priva di carattere; c'era così tanta stupidità e frivolezza che il giovane si chiese come facesse ad essere attratto da tale schifo anche solo per un'ora di sesso. 

Scosse la testa fra sè e sè e continuò ad osservare quello stuolo di ragazze con il corpo messo in mostra per il miglior offerente, e si concentrò talmente tanto da non essersi accorto di lei, la più importante di tutte: proprio Amber. 

La vide da lontano e fu come uno di quei miraggi che colpiva chiunque si perdesse nel deserto: indossava un abitino amaranto con gonna leggermente svasata, era semplice e sensuale anche se non vi era alcuna scollatura profonda; le gambe snelle calzavano dei collant sottili neri e ai piedi dei tronchetti vertiginosamente alti e anch'essi neri. 

Al collo portava la sua amata macchina fotografica, ma non riuscì a vedere altro poichè il viso era coperto dai capelli che le ricadevano sul viso ostinatamente. 

Era lì, in mezzo alla pista ormai semivuota poichè ciascuno si era ritirato al bancone per bere qualche drink, tutta sola e immobile, come se fosse una statua, essendo intenta a fare chissà che nel suo perenne e immutato silenzio. 

Così, decise di andare a disturbarla e passare un pò di tempo con lei visto che recentemente non si vedevano molto spesso. 

Quince aveva puntato la sua preda e, quest'ultima, non sarebbe riuscita a sfuggirgli. Utilizzò l'unica tecnica che poteva garantirgli di averla tutta per sè e, posando le mani sui suoi fianchi, le sussurrò all'orecchio: - Salve signorina, mi piacerebbe conoscerla. 

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