Capitolo 39

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Sento smuovere velocemente la serratura della porta e sbando.
Vorrei tanto che fosse Edward venuto a rassicurarmi e a dirmi che finché c'è lui andrà tutto bene,invece no,adesso lui è da qualche parte chissà dove a disperarsi della mia assenza. Perché io lo conosco,e la storia del "ti lascio" improvviso non l'ha bevuta.
La porta si apre.Mi sento svenire. Di nuovo la stessa scena,di nuovo lei,sporca, dimagrita ancora di più,il trucco ormai non se ne vede più nemmeno l'ombra,cammina verso di me,e mi libera.

"Scappiamo subito,dobbiamo essere veloci,non perdere tempo."

"Mamma ma tu che ci fai qui,dovresti essere in carcere e sei evacuata."

Lo stress di quei giorni,la fame,la lontananza da Edward,non ha fatto altro che indebolirmi,e sono svenuta lì,senza forze, come se il mio corpo non aspettasse altro.
Mi sveglio,sento il mio corpo essere strattonato su e giù,come se stessi in una macchina che va ad alta velocità,poi vengo appoggiata sul letto,e Dio,quanto avrei voluto appoggiarmi prima,ma non ho potuto. Apro gli occhi nonostante sembrasse avessi 100 kg appoggiati sulle palpebre, dovevo vedere dove mi trovavo e cosa ci facevo. Cos'era tutto questo?Cosa centrava mia madre? Era anche lei responsabile del mio rapimento?

-Mamma cosa ci facciamo qui? Dove sono e che è successo?

-Tranquilla,adesso sei a casa tua,sul tuo letto,nessuno ti disturberà finché sarò con te,dormi pure,io sto cercando di chiamare Edward ma non risponde

-Quand'è il suo ultimo accesso su WhatsApp?

-Ieri sera a mezzanotte,perché?

-Ti spiegherò dopo

Intanto nonostante tutto,ero felicissima che Edward non aveva ancora usato WhatsApp,ciò significava che il mio messaggio non lo aveva letto.
Prendo il telefono di mia madre,per inviare un messaggio ad Edward,mi accorgo che è online. Brividi freddi di terrore invadono la mia spina dorsale,il cuore perde 100 battiti,e mi sento i polmoni andare in fiamme.
Gli invio un messaggio veloce com WhatsApp di mamma dicendo di raggiungermi subito, ma lui non riceve,provo a chiamarlo ma risponde la segreteria,il telefono è spento. Provo con una ventina di messaggi normali,e poi altre telefonate,ma niente.
Scendo giù,sento delle voci piano piano farsi sempre più dure e vicine.
È la voce di Susan. Ci ha seguite. Provo ancora scosse di paura,vedo quei segni delle catene sulle braccia,ed è incredibile a cosa si è potuta spingere solo perché avevo raggiunto quella felicità forse per lei irraggiungibile. Ma chi glielo spiega che anche io credevo fosse irraggiungibile tutta quella felicità? E invece è arrivata,quando meno me lo aspettavo.
Sento la testa girare, ho una malattia addosso,e sono debole per le chemio,non posso permettermi tutto questo stress

-Ti rendi conto che ha un tumore terminale e che le rimane poco di vita?Perché devi metterti in mezzo ? Fidati,hai già fatto il tuo che è abbastanza

Sapevo che fossi una malata terminale ,ma sentirlo uscire dalla bocca di mia madre,fa male. Sento una risata da parte di Susan,rideva della mia malattia,era troppo,sono scesa giù davanti a lei,avevano sia mia madre che Susan una pistola in mano,appena mi ha vista Susan me l'ha puntata addosso. In quel momento mi sentivo imbattibile.
Provavo una rabbia che non ha niente a che vedere con la cattiveria. E’ il ruggito di chi sta proteggendo le proprie fragilità.
Mi sono semplicemente avvicinata sputandola in faccia,subito dopo sento una pistola caricarsi.
Uno sparo.
Un urlo.
Uccelli che spiccano il volo dai tetti.
La paura.
E il pavimento chiaro si macchiò di rosso.

Era solo sessoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora