Sette

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"Solo per favore
non dire che mi ami
Perché potrei non ridirtelo
Non significa che
il mio cuore smette di saltare
quando mi guardi così"
-Gabrielle Aplin,
Please Don't Say You Love Me-

Ryan

Ero già tornato a casa da un paio di mesi, e non mi era mai successo niente del genere. Mai.
La notte era diventata la mia peggior nemica, perchè chiudere gli occhi voleva dire assistere ai terribili scenari che costruiva la mia mente, o cedere al sonno per poi svegliarmi di botto a causa di un incubo.
La mia testa lavorava frenetica anche di giorno, ma in qualche modo con la luce del sole e con le attività che portavo avanti, riuscivo a cavarmela meglio.
Fino ad oggi almeno, era stato così.
Quei fuochi d'artificio mi avevano colto di sorpresa, avevo capito subito cosa fossero, eppure un attimo dopo la lucidità mi aveva abbandonato comunque.
Nella mia testa quel rumore corrispondeva a una serie di colpi di pistola: era come se qualcuno stesse sparando proprio da dentro di me, e i miei occhi vedevano il buio e la mia mente vedeva persone senza volto che cadevano a terra.
Sicuramente sarei crollato anch'io se Syria non fosse stata lì.
E in quel momento, nelle condizioni in cui mi trovavo, ricordare le parole del dottor Allen e allontanarla da me erano gli ultimi dei miei pensieri.
Mi ci ero aggrappata eccome a lei, piuttosto che lottare contro quel mostro in qualsiasi modo, avevo aspettato che tutto passasse da solo, stretto nelle sue braccia, al sicuro, con il suono della sua voce a tranquillizzarmi nelle orecchie.
Non andava bene, non andava bene per niente.
Che avrei fatto la prossima volta, quando Syria non sarebbe stata a due passi da questa casa, disposta a sorreggermi?
Non poteva esserci sempre, di questo me ne rendevo conto, e mi rendevo conto anche di non essere al sicuro neppure di giorno, cosa di cui mi ero illuso.
Dovevo imparare a tirare fuori gli artigli e a non soccombere davanti ai mostri che l'inconscio tirava fuori.
Io ero la vittima, io ero il nemico. Gran bella fregatura questa.
Tornando a Syria. Il vero problema era un altro, e cioè che con lei vicino, pronta a difendermi contro tutto e tutti, non sarei stato in grado di respingerla, non mentre stavo male.
Perciò, forse, avrei dovuto metterla al corrente dei fatti.
Forse avrei dovuto chiederle di starmi lontano... un'altra volta.

☆☆☆

Quando la sera dopo busso alla sua porta, sono stanco come se la discussione che ho in programma di affrontare con lei fosse già avvenuta.
Sarà per via delle centinaia di volte in cui in effetti nella mia testa c'è già stata, mentre durante la giornata cercavo le parole giuste da dirle.
Dire che è sorpresa quando mi apre e mi trova lì sulla soglia, è un eufemismo.

Socchiude la bocca ma non ne esce nessun suono, aggrotta le sopracciglia e la richiude.
" Ti posso parlare?" le chiedo gentilmente.
Dio quanto mi fa strano rivolgermi a lei in questo modo. Mi sembra assurdo comportarci come vecchi conoscenti o come ragazzini impacciati, quando fino a tredici mesi prima condividevamo tutto. Tutto.
Da un letto per dormire all'aria che respiravamo.
" Vieni" acconsente, meno fredda di una settimana fa.
Ieri sera è cambiato qualcosa. Più o meno era inevitabile.
La seguo fino al divano del salotto e mi siedo all'estremità opposta di quella che occupa Syria.
Guardo in basso ma appena mi soffermo sulla pelle lasciata scoperta dai pantaloncini del pigiama, mi costringo a piantare gli occhi nei suoi.
" Non so cosa mi sia preso ieri. O meglio, si lo so però..."
" Non te lo aspettavi?" conclude al mio posto.
Scuoto la testa. "No. Non mi è mai successo niente del genere da quando sono tornato. La notte ho gli incubi, la mia testa elabora quasi continuamente immagini che vorrei scacciare da lì con tutto me stesso. Ma perdere il contatto con la realtà... questo mi mancava"
" Non so cosa tu abbia visto laggiù, ma da quel poco che so in merito, questi sintomi non dovrebbero essere normali? Specie per chi si trova in mezzo a una situazione come quella per la prima volta?"
" Il problema non è quello che ho visto con i miei occhi ma quello che ho visto nella mia mente, quelli che credo siano ricordi"
Mi pento subito di quella confessione. Com'è riuscita a sfuggire dalle mie labbra?
Non avevo in programma di andare così a fondo, di svelarle più del necessario, di parlarle di cose che non sono chiare neppure a me.
Mi rendo conto che quando non tengo a mente come un promemoria quello che è successo fra noi, allora quello che è successo potrebbe anche non esistere.
Il mio cuore le si rivolge ancora come se non fosse cambiato nulla.
" Che significa?"
" Scusa non voglio parlare di questo, sono qui per un altro motivo" bisbiglio, puntando lo sguardo sulle sue dita che torturano un cuscino.
" E sarebbe?"
" Il mio psicologo dice che devo starti lontano" le rivelo, tutto d'un fiato.
" Come scusa? Vai da uno psicologo?"
Annuisco.
" Te lo hanno imposto? É una sorta di procedura obbligatoria per chi ha lavorato in guerra?"
" No, l'ho cercato io. Non pensare male, non vuol dire che io sia pazzo o..."
" Non penso male di te" chiarisce svelta.
E mi inchioda con quelle iridi bianco-azzurre, nel caso dubitassi delle sue parole non mi resta che credere ai suoi occhi.
Sono calde. Le sue iridi sono di nuovo calde. Si sono di nuovo scaldate per me.
Voglio che smetta di odiarmi, ma non per sostituire la pena all'odio.
" Perchè gli hai parlato di me?" indaga, curiosa.
Questa è difficile. Che faccio, le dico la verità?
Si tratta pur sempre di Syria, e io voglio dirgliela la verità.
" Quando ti ho vista nel bosco, la mattina che sei arrivata, la prima cosa che ho pensato è stata che magari eri tornata giusto in tempo per aiutarmi. Fammi finire ti prego. Il dottor Allen mi ha fatto notare di quanto fosse sbagliato vederti così, come un bastone con cui sorreggermi, sto lavorando su me stesso e non devo appoggiarmi a nessuno. Non posso, o non mi riprenderò mai. E adesso sono poco lucido, poco forte, e se tu sei lì, come ieri sera, non ci penserei due volte ad accettare il sostegno che mi dai. Ma devo cavarmela da solo, perciò sono venuto a chiedere il tuo aiuto, ma non nel modo che credi. Lasciami stare Syria, almeno per un po'. E se mi vedi barcollare, lasciami cadere e lascia che provi ad alzarmi da solo"
" Questa è la cosa più assurda che abbia mai sentito. Lasciarti da solo sarebbe la tua cura? Da che razza di psicologo vai?" sbotta, alterata.
Ci tiene ancora a me.
Peccato che al momento non possa approfittare di questo.
" Devo lavorare su di me, lo so che lo capisci. E so anche che non lo accetti perchè mi vedi troppo debole per cavarmela senza nessuno accanto. É proprio questo il punto, non voglio più essere un debole, tu sei forte, lascia che lo diventi anche io. Che ci provi almeno. Non posso andare avanti così. Ho troppi conti in sospeso con me stesso"
Riuscirò a risolverli prima o poi? La smetteranno di triplicarsi soltanto?
" Bene, quindi questo esattamente come si traduce nella realtà? Ti vedo e cambio strada?"
" Non lo so. Immagino che potremmo fermarci a parlare qualche volta. Mi piace ancora parlare con te Syria"
Non lo so se la posso tagliare fuori completamente dalla mia vita.
Mi risponde con un'occhiata indecifrabile.
" Lo so che lo capisci" insisto.
Sospira. "Si, lo capisco"
" Mi costa chiederti quello che ti ho chiesto"
" Lo so"
" Ok" sussurro. "Vado via adesso"
" Aspetta. Perchè io non posso starti accanto mentre quella ragazza si?"
Quella ragazza. Parla di sicuro di Lucy.
" Non siete la stessa cosa tu e lei, neanche lontanamente"
" Che accidenti vorrebbe dire?"
Leggi dietro alle mie parole Syria, perché più di questo non posso darti.
E io ancora che ci provo a darti qualcosa quando davvero non mi resta niente, quando a malapena resto io.
" Sono sicuro che puoi capire anche questo"
Mi guarda.
La guardo.
L'ho scombussolata troppo stasera, al mio cuore è chiaro nonostante lei cerchi di non darlo a vedere.
Poi sospira ancora, e nemmeno ci prova più a nascondere quello che sente.
Non è scomparso niente di quello che abbiamo condiviso e provato, niente. Non mi importa se il dottor Allen pensa che io abbia la mente offuscata, questa cosa che aleggia fra noi è reale, ora come un anno fa.
Però resta il fatto che non sto bene, resta il fatto che devo assolutamente lavorare sui miei incubi, sui miei problemi, sulle mie paure, su un mucchio di cose.
" Buonanotte Syria"
" Ryan?"
" Che c'è?"
Sposta il peso del corpo da un piede all'altro, titubante. Poi scuote la testa.
" Niente"
Cammino lento verso la porta.
" Ryan?"
Mi volto di nuovo.
" Mi sei mancato"

'Mi sei mancato'.
Giuro che mi tremano le gambe. Il mio cuore impazzisce come soltanto lei sa farlo impazzire.
Neppure gli incubi, neppure la paura è in grado di ridurlo così.
Ho sentito male forse?
Lei non dice 'mi sei mancato'. Lei non usa quella parola.
Me lo ricordo benissimo. Mi ricordo benissimo della conversazione che abbiamo avuto in proposito.
"Non mi piace quella parola. Non quando ci sono le persone che ti amano o dovrebbero amarti di mezzo. Quelle persone -se ti amano- dovrebbero essere accanto a te, sempre. Non lontane. Non dovresti aspettarle con ansia per poter dire un inutile mi sei mancato. Lo trovo un ironico controsenso. Le persone a cui spesso quelle parole sono dirette... quelle parole non le meritano. Non l'ho mai detto e mai lo dirò"
E invece lo aveva fatto, lo aveva detto.
A me.
A me, che me ne ero andato. Proprio quello che lei odiava delle persone che amava, che se ne andassero.
A me, che secondo la sua logica, non lo meritavo affatto.
Era evidente quanto gli fosse costato tirare fuori quelle poche sillabe.
Neanche ammettere di amarmi gli era costato tanto.
Le sono mancato.

Questo potrebbe valere perfino più di un ti amo.

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