ventinove

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(past)


L'auto nel vialetto parte. Libero la tenda dalla mia presa che ondeggiando torna a nascondere la finestra alla mia vista.

Finalmente solo in casa.

I miei piedi volano su e giù per le scale, da un corridoio a l'altro.

Spalanco sportelli, traffico tra le credenze, frugo ovunque mi capiti. Uno dei cassetti del bagno è chiuso a chiave.

Tiro all'indietro i capelli, mi guardo intorno come un animale affamato. Ho già setacciato da cima a fondo ogni stanza: in questa casa non è rimasta ombra di alcun oggetto contundente, alcool o medicinale. Niente. Neanche un'aspirina per il mal di testa o un po' di vino bianco per cuocerci la carne.

Salgo in camera mia, irriconoscibile da quando mamma l'ha presa in custodia. Non c'è un oggetto fuori posto o un angolo in cui lei non abbia setacciato mentre ero a scuola.

Mi siedo a terra e mi accuccio con la schiena contro il lato del materasso. Probabilmente sono l'unica cosa a stonare in questa camera linda e piatta che non riconosco più.

Giro il capo verso lo specchio, il resto del corpo troppo stanco per seguirlo. Vedo un ragazzino tutto pelle tirata e occhiaie, i capelli in parte neri di ricrescita ed in parte scoloriti.

Riconoscermi non è mai stato così deprimente.

Continuo a guardarmi per il semplice fatto che non ho la forza di rigirare la testa. Effettivamente mamma non ha tutti i torti quando mi costringe sempre a buttare giù una cucchiaiata di cibo in più rispetto a quello che il mio stomaco riesce a sopportare. E non solo per la mia costituzione fisica già di suo mingherlina, ma anche per quel vago colorito smorto dell'incarnato che sembra fare a gara con quello dei capelli.

Il punto è che non voglio stare solo. Ho dovuto aspettare di esserlo per poterlo ammettere.

Vorrei poter richiamare mamma indietro, dirle che ho qualche linea di febbre, che non sto tanto bene. Vorrei poter chiamare papà, chiedergli di passare il pomeriggio con me per insegnarmi da capo come si usa un rasoio.

E come ogni volta che sono solo, come ogni volta che mi perdo nella mia testa in classe, come ogni volta che respiro, i miei pensieri vertono su l'estate scorsa.

Ci si deve sforzare per ricordarsi che è successo davvero. E' facile dimenticarselo quando si è presi dalla vita di tutti i giorni.

Tendo a rimuoverlo nello stesso modo in cui ci si rimuoverei un brutto sogno. Mi distraggo un secondo e mi chiedo cosa ci sia che non va, perché ho questo peso sul petto. Poi i ricordi tornano al loro posto. Giurerei di sentire fisicamente il cuore sprofondare sempre un po' più in basso e incrinarsi tra la carne.

Lo sguardo torna a spegnersi, le spalle si incurvano un po'.

Raccogliendo le forze, sollevo un lato del piumone e allungo un braccio sotto il letto. Le mie dita si stringono alla cieca ad una parete di cartone. Per mia fortuna mamma non l'ha spostata.

Mi sistemo la grossa scatola tra le gambe dopo averla tirata fuori, i miei movimenti pacati, lenti. Con il sonno abbacchiato contro di me, non devo cercare più di tanto prima di trovare quello che sto cercando al suo interno. E' un temperino neanche troppo vecchio, di quelli con la scatola per contenere gli scarti della matita. Lo usavo alle medie, prima che una punta di mina ci si incastrasse e la pigrizia mi suggerisse di usare il cutter come sostituto. Da quel giorno in avanti è stato un ottimo posto dove nascondere bigliettini, monete, gessetti.

Inghiottito dal Mare, Rapito dalla Luna - UNDERNEATH THE MIRROR (BTS Yoonmin)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora