1. Gli ordini si eseguono senza discutere

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"Hell is empty
and the devils are here."

–  William Shakespeare


«D-Domani vi porterò i soldi, lo prometto!».

L'uomo in giacca e cravatta strinse al petto la sua valigetta marrone, pregando tutti gli dèi di poter uscire vivo da quella situazione.
Era già la terza volta che finiva nei guai.

«L'altro giorno hai detto la stessa cosa» sospirò con sdegno Soul Evans, strizzando nervosamente il bracciolo della sedia.

La luce lo illuminava parzialmente, rendendolo ancora più inquietante di quanto già non lo fosse di natura. La sua camicia, rossa come il sangue che sgorgava da una ferita aperta, s'intonava magnificamente con la sua giacca nera, oscura come la notte più buia. E i denti madreperlacei stringevano avidamente la sigaretta accesa, da cui serpeggiava una nuvola di fumo bianco verso l'alto.

«Ve lo prometto!».

«Anche l'altra volta avevi giurato».

La mano elegante del ragazzo si fiondò sul posacenere, schiacciando il mozzicone della sigaretta con una lentezza assassina. Quasi snervante.

«Questa volta lo sarà per davvero!».

L'uomo iniziò a sudare, percependo le gocce fredde scendergli lungo la schiena e inzuppargli il tessuto sottile della camicia. 

Soul appuntò le iridi scarlatte sull'imprenditore, segnato da un'espressione di puro terrore. 

«Sai che fine fanno quelli che non mantengono le promesse?» chiese con una bonomia sorridente, ma lievemente minacciosa.

L'uomo scosse ingenuo la testa e aumentò la stretta sulla valigetta, quasi fosse la sua ancora di salvezza.

«Se domani non porti la parte che ci devi, lo scoprirai da solo» disse l'albino, sistemandosi le ciocche di capelli candidi sfuggite sulla fronte. «E ora va', prima che cambi idea».

«G-Grazie, signore!» trillò acutamente l'uomo. Alzandosi dalla sedia, però, urtò contro il tavolo di legno facendo ribaltare un bicchiere vuoto. Si bloccò e guardò spaventato l'albino.

Soul alzò gli occhi al cielo, spazientito. Gli fece segno di andarsene e lo guardò lasciare repentino la stanza.
Stiracchiò le braccia e buttò la testa indietro, guardando l'enorme candelabro di cristallo appeso al soffitto. Una volta aveva rischiato di farlo cadere per errore, quando aveva sparato in aria per spaventare quella ragazzina acida e stronza che lo irritava particolarmente. 

Lei che riusciva a farlo uscire dai gangheri.

La porta si aprì ed entrò il giovane Death the Kid, perfettamente vestito e pettinato. Aveva addosso la sua solita tenuta elegante: camicia bianca, maniche alzate fino ai gomiti, cravatta e pantaloni di tweed tenuti su da un paio di bretelle elastiche. 

Non lo si vedeva mai scomposto o vestito a casaccio. Era ossessionato dall'equilibrio compositivo, anche nel suo lavoro, tanto che da bambino gli avevano diagnosticato un disturbo ossessivo compulsivo da ordine e simmetria, di cui tutt'ora soffriva. Gli erano capitate due o tre crisi di nervi in pubblico e così aveva iniziato a fare qualche cura.

Camminò fino al tavolo – e dovette resistere seriamente a non dare di matto quando vide il disordine che c'era sopra – sul quale buttò un grosso malloppo di fogli fittamente scritti. 

«I dati che sono riuscito a ricavare dalla ditta» disse, voltando le spalle con l'intenzione di andarsene.

«Ohi, Kid» lo bloccò Soul, facendolo voltare. «Perché non ti fermi per una birra?».

VENOM [Soul Eater]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora