12. Quando il dovere chiama

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Maka riemerse dalla metropolitana, stringendo fra le mani un inutile ombrello rosso. Provava un doloroso bruciore al petto perché aveva corso fino allo stremo delle sue forze per raggiungere l'altra sponda della fermata sotterranea. Ma invano. Perché il treno ormai aveva chiuso le porte automatiche e lei era rimasta lì, ferma e immobile mentre il convoglio le passava davanti come a prendersi gioco di lei.

Un'altra giornata cominciata nel peggiore dei modi.

Camminò per i marciapiedi di Death City senza una meta precisa. Non avrebbe più fatto in tempo a raggiungere l'università. E onestamente non ne aveva neanche voglia.

Si fermò di fianco a un semaforo, aspettando che le macchine sulla strada sfrecciassero sul cemento bagnato. Il colore dell'ombrello si rifletté dentro una grossa pozzanghera ai piedi del marciapiede e appena Maka si sporse in avanti a darci un'occhiata, attirata da quel colore acceso, il forte vento disturbò la quiete della superficie limpida, deformando la chiazza bordeaux.

"Soul...".

Maka sospirò e attraversò la strada raggiungendo l'altro lato del marciapiede, puntando ogni tanto gli occhi sui cumuli di neve sopravvissuti alle prime temperature di febbraio. Era da un po' che la pioggia aveva sostituito le nevicate abbondanti, e quell'inattesa mattina di sole l'aveva colta di sorpresa. Forse qualcun altro avrebbe potuto gioire della bellissima giornata luminosa di aria secca. Ma non lei. 

Maka aveva scelto di non tornare mai più, nonostante avesse visto del pentimento nei suoi occhi subito dopo quel maledettissimo, stupidissimo ed insignificante bacio.

Dannazione, Soul non poteva permettersi di rinunciare alle cose o alle persone così facilmente, pretendendo di potersele riprendere in un secondo momento come se niente fosse! Non era così che funzionava!

Ma tanto era inutile rimuginare sulla faccenda... Era passato troppo tempo dall'ultima sera in cui si erano visti, aveva persino perso il conto delle settimane. O addirittura dei mesi, chissà.

Sospirò profondamente e si infilò nel primo caffè a lato della strada.
Si era dimenticava ancora una volta di fare colazione e il brontolio dello stomaco non risparmiò di farsi sentire. Quando entrò nel piccolo e delizioso locale moderno, avvertì un buon profumo di dolci e l'ottimo aroma dei chicchi di caffè appena macinati. 

«Buongiorno» salutò calorosamente la donna dietro alla cassa. Aveva dei lunghi capelli castani sciolti sulle spalle e due occhi nocciola che la fissavano gioiosi. Pareva quasi il ritratto della felicità. Ovvero, l'opposto di Maka.

«Salve» sorrise lei, avvicinandosi.

«Dimmi pure».

Maka ordinò e pagò il dovuto. Prese la sua ordinazione e sedette a uno dei tavoli accanto all'enorme vetrata del locale, che dava sulla strada affollata. La gente che camminava avanti e indietro la destò dalla realtà e ripensò a quando era piccola e a Spirit che le leggeva i libri di sua mamma mentre sedeva goffamente sulle sue gambe.

Il tempo era volato in un battito di ciglia. Crescere era orribile e complicato, si diventava consapevoli del casino che nascondeva il mondo degli adulti e cancellava in modo permanente quelle innocenti fantasie a cui si faceva affidamento da piccoli. 

Maka incrociò le braccia sul tavolo e vi appoggiò il mento, guardando la sua tazzina fumante, ancora troppo bollente per essere bevuta. Curioso come i suoi gusti fossero radicalmente cambiati nel giro di pochi anni. Aveva sempre detestato il gusto amaro del caffè, mentre ora non riusciva a farne a meno.

«Scusa... Ti è caduta la sciarp– Maka?».

La bionda girò la testa di scatto appena udì il suo nome. Dietro di lei c'era una bellissima ragazza dai capelli corvini, che reggeva tra le mani l'indumento in questione.

VENOM [Soul Eater]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora