28. Perché non provate a parlare?

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Kid sorseggiava il suo tè alla scrivania, leggendo alcune delle pratiche che il padre gli aveva inviato quella mattina. 

Il silenzio che lo avvolgeva fu spezzato da Liz, che entrò in ufficio con un grosso scatolone in mano, imprecando pesantemente perché quella dannata porta non si apriva. Il corvino scattò con gli occhi sulla ragazza e si lanciò per aiutarla.

«Da' a me!».

«No! Fermo».

La ragazza ebbe la meglio e Kid rimase con le mani tese al vuoto. Liz scaraventò la scatola sulla scrivania e i portapenne su di essa si ribaltarono.

«Ecco fatto» sorrise con orgoglio. «Tutto tuo!».

Il corvino raggiunse la ragazza e le domandò cosa ci fosse dentro, non badando apposta – con molta fatica – al disordine sul tavolo.

«Bo'. La tipa al piano di sotto non ha detto niente, solo che il postino l'ha lasciato stamattina presto».

Kid controllò l'etichetta incollata su un lato, leggendo 'Express Delivery'.

«Ah, dev'essere il nuovo equipaggiamento che ho comprato su internet!» disse allegro, cominciando a togliere il nastro dalle alette.

«Equipaggiamento?».

«Tute da sub» spiegò il ragazzo, abbandonando un attimo la scatola per rimettere a posto i portapenne – no, non poteva lasciarli così! – e tornando poi al pacco. «Ti ricordi della rapina che voglio fare al museo?».

«Mm-hm».

«L'edificio è circondato da un laghetto artificiale e ogni sera alzano il ponte levatoio dopo la chiusura. Dobbiamo per forza nuotare per entrare».

«Nuotare» ripeté la bionda. «Con queste qui».

«Sì».

Liz lo guardò storto.

«Cosa?».

«Io non lo faccio».

«Ma ne ho prese apposta sei!».

La bionda scosse la testa. «Mai nella vita».

«Liiiiizzz. Ti prego ti prego ti preeego».

«Nemmeno per sogno!».

«Ti scongiuuuuro».

«Se continui così ti rovino la collezione di penne».

«Non oseresti».

La ragazza intrecciò le braccia al petto.

«Quanto hai pagato per quella roba?» chiese.

«Tanto».

Liz alzò un sopracciglio e aprì la bocca per ribattere.

«Ma non ha importanza. Devi aiutarmi!» la interruppe il ragazzo, sventolandole una tuta davanti agli occhi.

Maka entrò nell'ufficio in fretta e furia, ancora ansimante per la corsetta che aveva fatto lungo le scale. La sveglia non aveva suonato perché si era dimenticata di impostarla, l'autobus era arrivato in ritardo, all'ultimo momento si era ricordata di non aver fatto colazione e si era fermata in un bar con una coda lunghissima alla cassa, si era persa appena aveva messo piede nella ditta di Kid, ed era stata fermata da una guardia che le aveva chiesto il tesserino di riconoscimento, ritrovato dieci minuti dopo nella borsa.

«Scusate il ritardo... Non trovavo il tuo ufficio» disse semplicemente.

«Nessun problema. Black*Star non è ancora arrivato» la scusò Kid, rimettendo a posto la tuta.

VENOM [Soul Eater]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora