35. A Budapest si parla budapestiano?

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La grande stanza era illuminata da un'ampia portafinestra chiusa con tende di velluto verdi ai lati, tirate da parte. In mezzo all'enorme salone c'era un uomo. Completo blu, camicia bianca e cravatta nera. Era calvo, le sopracciglia folte delineavano due piccoli occhi neri infossati e portava il pizzetto da moschettiere. Era intento a guardare l'ampia portafinestra, che offriva un panorama mozzafiato sulle montagne ungheresi.

Oltre alle tende non c'era alcun arredo, la stanza era spoglia. Le pareti non erano state ridipinte e in alcuni punti erano più chiare, segno che un tempo erano stati appesi alcuni quadri imponenti.

«Mi piace». La sua voce rauca e grave da fumatore accanito risuonò con un forte eco. «Mi piace molto, la prendo».

Sorrise e si voltò verso la porta a due bande alle sue spalle, su cui un uomo alto e muscoloso poggiava la schiena. Sembrava uno spartano dell'antica Grecia, obbligato a vestire abiti moderni.

«Duecentoventisei stanze per gli ospiti con bagno, cinque grandi sale da pranzo e cinque cucine, un enorme atrio, innumerevoli corridoi e passaggi, un giardino ampio un chilometro quadro e–».

«Sì, sono a conoscenza di quello che sto comprando».

La voce graffiante dell'uomo in completo interruppe l'altro, che aveva semplicemente letto una lista. Questi alzò paziente lo sguardo e ripiegò il foglio bianco in quattro, infilandolo nella tasca posteriore dei jeans.

«Allora è un affare».

«L'affare del secolo!».

L'uomo in smoking mostrò la dentatura con un sorriso enorme, avvicinandosi a lui.

«Voglio che questo posto sia tutto di mia proprietà» ordinò, stringendogli la mano in segno di accordo. Poi si staccò dalla presa e andò nuovamente al centro del salone, voltandogli le spalle.

«Ma sai che cazzo di feste ci posso fare qui dentro? Cazzo, ci metto una grossa fontana giù nell'atrio, con un grande angelo che piscia champagne...» fece, con una risata grottesca, sforzandosi di non tossire. «Chiamo una cinquantina di squillo del cazzo e sai come abboccano gli uomini d'affari? Sarò il Dio del cash!» biascicò, sfregandosi le mani e immaginandosi la montagna di soldi che avrebbe accumulato la sera della festa.

L'altro uomo, che aveva assistito alla scena in silenzio, sollevò un sopracciglio.

«Patetico e materialista» commentò calmo.

L'imprenditore smise di ridere e si girò di scatto.

«Che cazzo hai detto!?» gli latrò contro, iniziando a tossire.

L'uomo dai capelli ricci, però, non si scompose. Frugò nella tasca dei jeans e ne estrasse un oggetto luccicante, che catturò l'attenzione dell'uomo in completo.

Il pelato smise finalmente di tossire. Il volto si era fatto viola e le vene sulle tempie erano gonfie e pulsanti. Quando realizzò di cosa si trattava aprì la bocca per urlare, ma non ci riuscì.

«Già...» mormorò l'altro facendo un passo avanti. 

Eseguendo un movimento fluido e terribilmente elegante, gli recise le carotidi. Un taglio netto e preciso e il sangue schizzò verso il basso per effetto della gravità.

Il pelato si portò le mani al collo cercando di cacciare fuori urla che rimasero mute, e cadde all'indietro con gli occhi spalancati dal terrore.

Il riccio ripulì il pugnale con un panno bianco e, una volta finito, lo lanciò sul petto del cadavere. Diede le spalle al corpo esanime e lasciò per sempre quella stanza impregnata di morte, ridendo diabolicamente.

VENOM [Soul Eater]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora