39. Odio essere chiamato 'amico' da te

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I ragazzi erano rimasti un po' scossi dopo la battaglia. Ognuno si era chiuso nella propria camera, a meditare su ciò che era successo quella mattina.
Kid fissava senza commentare le tre gemme disposte in fila sul letto. Liz stava calcolando i danni che avevano subito le sue pistole. Tsubaki era caduta in uno stato di commiserazione perché secondo lei non aveva fatto niente per aiutare gli altri. Black*Star si stava impegnando a fare le flessioni con una mano, perché "diventare più forti era sempre possibile". E Soul aveva appena finito di fare la doccia e si era seduto sul bordo del letto, con l'asciugamano attorno al collo.

Maka invece era nel corridoio di fronte a una camera, indecisa se bussare o meno. L'ansia le si era accumulata nel diaframma.

Aveva giurato di non fare più errori del genere, eppure eccola lì, in piedi e con le nocche che sfioravano la porta, più ansiosa di quando aspettava il proprio voto d'esame.
Appoggiò le dita sull'uscio, tirando un pesante sospiro. Con l'altra mano reggeva una cassetta del pronto soccorso, che aveva tutta l'intenzione di usare.

Dopo aver bussato ebbe l'impulso di correre via e tornare alla propria stanza, ma le scarpe sembravano radicate nella moquette del corridoio.

Soul aprì la porta e quasi imprecò nel momento in cui la vide. Non aveva minimamente sospettato che quella sera avrebbe ricevuto proprio la sua visita. 

Sì, be', aveva fantasticato qualche volta su una cosa del genere... però...

«Ehi» salutò lei, sorridendo brevemente.

L'albino si perse per qualche secondo, ma ritrovò la calma e ghignò malizioso.

«Vuoi entrare?».

Sperava tanto di fare il casanova per sdrammatizzare la situazione, ma Maka lo sorprese quando rispose bruscamente di sì.

«C-Cioè... Volevo vedere come stavano le tue ferite...» si giustificò in seguito, sollevando la valigetta di plastica. «Sembri quello che ne ha prese di più».

Ok, no. Questo non c'era nelle sue fantasie.

Soul strinse le labbra – su cui c'era un doloso taglio verticale – ricordandosi di essere stato sbattuto contro una vetrina.

«Se per avere un'infermiera personale devo farmi del male... Allora mi farò pestare più spesso» disse a voce bassa, provocante. Maka però scoppiò a ridere, spingendolo da parte per entrare.

Va bene, era entrata nella tana del leone, lo sapeva anche lei. Ma infondo avevano accettato entrambi di rimanere amici, no? Non c'era pericolo...

Soul chiuse la porta e la seguì, guardandola mentre prendeva le cose dalla cassetta. Bende, garze, disinfettante e cerotti adesso erano sparsi sul suo letto.

«E quella roba? Hai portato un ospedale con te?» chiese divertito.

Lei si voltò e sorrise, stringendosi la coda di cavallo.

«Da dove comincio?» chiese.

Ma Soul si imbambolò quando la vide stringere espertamente i capelli con l'elastico.
Deglutì lento, stringendo le labbra per rimuovere il pensiero malizioso che aveva appena avuto.

«Da dove ti pare...» quasi sussurrò.

Maka, ignara di quello che gli passava per la testa, ridacchiò e prese il cotone idrofilo e il disinfettante. 

«Scommetto che non ti sei preoccupato nemmeno di pulire le ferite».

«Ho fatto la doccia» rispose lui con indifferenza.

«Quando dico 'pulire una ferita' intendo 'disinfettare'. Avrai sentito pizzicare da morire sott'acqua».

«Non solo medico, ma anche veggente».

VENOM [Soul Eater]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora