Capitolo 18

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Entrai in cucina, dove James e mamma stavano parlando a bassa voce, di cose che, al momento, non mi interessavano. Sembravano una madre ed un figlio. Entrambi tenevano tra le mani le tazze bianche piene di cioccolata fumante. Ogni tanto, James ne beveva un goccio, poi ricominciava a parlare animatamente con mia madre.
Mi feci spazio nel chiacchiericcio sommesso di quei due e presi la mia tazza con il cuore. Era calda, al contrario delle mie mani congelate. Non che il resto del corpo fosse caldo. Indossavo ancora la felpa di James e nient'altro. Sentivo la pelle delle cosce nude sfregare, l'una contro l'altra, sia per il freddo, sia per l'imbarazzo. Sarebbe stato meglio andare a mettermi qualcosa.
Senza farmi notare nè da James nè da mamma, mi diressi alle scale. Le salii ed andai in camera mia, chiudendomi, il piú piano possibile, la porta alle spalle, per non attirare l'attenzione.
Finalmente, camera mia.
Mi sembrava di vederla per la prima volta, con il suo piccolo e modesto letto, l'armadio in legno alla parete, la scrivania di legno lucida, piena di fogli e quaderni, pronti per quando fossi tornata da quel giorno, a scuola. Dal giorno della Cerimonia del Cambiamento.
Mi sembrava essere passato un tempo infinito, eppure erano passate appena due settimane.
Due settimane da quando ho incontrato James. Una da quando ho incontrato Dimitri.
La tazza, ancora calda, tremó, nella mia mano debole. Ancora non mi capacitavo di ció che avevo fatto.
Mi avvicinai alla scrivania, posando la tazza sul legno e sedendomi sulla sedia di altrettanto legno, un po' piú chiaro rispetto agli altri mobili. Posai le mani sulla superficie pulita, sembrava stata appena lucidata, con cura, come se mamma si fosse presa cura del mio angolino durante la mia assenza, senza turbare, peró, l'equilibrio dei miei oggetti personali.
Agli angoli, c'erano i soliti appunti del giorno, i quaderni ed i libri e tante, tante, tante foto di famiglia. In quella piú a sinistra, c'eravamo io, mamma, papà e Theo, piccolino, tra le mie braccia minute, da bambina. Era stata la sua prima gita in montagna, ricordavo ancora i monti splendenti e gli alberi profumati di quel giorno, che si estendevano alle nostre spalle; mamma e papà erano dietro di me e sorridevano premurosamente, mentre io ero allegra, con gli occhi chiusi e le labbra sorridenti.
Mi comparve un sorriso sulle labbra, guardando quello scatto: chiudevo sempre gli occhi, nelle foto.
In un'altra, c'eravamo io e Priscilla, mentre giocavamo in sala; in un'altra ancora io vestita da fatina per Carnevale; c'era anche la foto di fine anno dell'anno precedente, al ballo scolastico, in discoteca, con Stacey ed una sua amica dai capelli biondi come i suoi, ma il suo viso era sfocato. Indossavamo abiti corti, abbastanza da mostrare metá coscia e sorridevamo, sembravamo quasi amiche, mentre Stacey mi teneva con un braccio sul fianco, dietro la schiena.
Aspetta, Stacey e io amiche?!
Mi avvicinai meglio alla foto, strizzando gli occhi, per vedere meglio l'immagine, senza il riflesso delle lampade. La ragazza sfocata era sparita, insieme a Stacey. Nella foto, c'ero solo io, colta in un attimo di imbarazzo, dai miei zigomi rossi e le labbra serrate, a formare una linea dritta. Qualcuno mi aveva scattato una foto a tradimento. E ricordavo anche perchè.
Un ragazzo mi aveva invitata a ballare e, mentre gli dicevo che non sapevo ballare, Mike mi era passato vicino, sussurrando che era un peccato e che mi avrebbe volentieri invitata a ballare con lui, se solo avessi saputo muovere i piedi a ritmo di musica. Era stato cosí umiliante, per me, che ero uscita da quella stanza, piena di luci fastidiose, senza aspettare nemmeno la mezzanotte, un fatto scandaloso, per molti miei compagni.
Posai la cornice di legno, riccamente decorata, con decorazioni floreali. Ancora mi chiedevo perchè tenessi quella foto: era un ricordo non molto piacevole, quindi perchè tenerlo?
Mi alzai dalla sedia e presi la tazza, che si stava lentamente raffreddando, poi mi buttai sul letto pancia in su, guardando il soffitto bianco.
Una folata d'aria mi investí la pancia nuda, sotto la felpa. Rabbrividii e mi rannicchiai su me stessa, coprendomi anche il resto delle gambe con il tessuto blu scuro e bevendo un sorso della cioccolata calda.
Tanto prima mi ero sentita bene da sola, nella mia camera, tanto ora mi sentivo sola, nel senso che mi sentivo abbandonata. O, meglio, avevo abbandonato.
Non riuscivo a scacciare il senso di colpa, nonostante James mi dicesse che Dimitri si era meritato quel trattamento, nonostante dicesse che era stato Dimitri a lasciar morire Sylver. Ma il fatto era che non c'erano scuse per tutti i guai che avevo combinato, per Sylver, per Dimitri, per Mike.
Dalla cioccolata, uscí una piccola bolla, qualcosa che non ci sarebbe dovuto essere, sulla superficie di quel liquido denso, poi scoppió.
La bolla scoppió come la luce che si accese nella mia mente: Mike. Avevo visto Mike. Mike era stato lí, fuori da quella casa. Mi guardava in cagnesco, lo sapevo, ma l'avevo visto davvero. Vivo.
Alzai lo sguardo dalla mia tazza, incredula: Mike era vivo; ció significava che era sopravvissuto e che l'avevano lasciato vivere.
Quindi, anche Dimitri sarebbe potuto essere vivo.
In me, si alimentó un briciolo di speranza.
Erano vivi.
Stavo per correre da James e dirglielo, quando mi venne in mente un'altra informazione: Dimitri era il re dei vampiri, era impossibile che l'avessero tenuto in vita fino a quel momento; inoltre, James sembrava non aver visto nemmeno l'ombra di Mike. Forse, mi ero sognata tutto.
Mi strinsi nella felpa, che non mi decidevo a togliere, per cambiarmi.
Il fumo della cioccolata era svanito da tempo, ora sembrava quasi un budino; sulla superficie, si stava formando una sottile patina densa.
Era tutto inutile: James mi aveva portata in salvo; non avrei piú rivisto nè Mike, nè Dimitri.
Sylver mi mancava terribilmente. In un momento del genere, avrebbe saputo rallegrarmi con i suoi sorrisi e le sue risate.

"Stai bene?" chiese James, di cui non mi ero accorta, fino a quel momento.
La sua testa sbucava dal corridoio, attraverso la fessura della porta appena aperta. Aveva uno sguardo preoccupato, leggermente piú sereno rispetto a quando l'avevo visto sul letto, dopo che avevamo avuto quel rapporto intimo.
Prima che potessi anche solo ragionare su quello che stavo dicendo, la mia bocca si mosse.

"Credi che Mike e Dimitri siano ancora vivi?".
Era stata una domanda stupida, non avrei dovuto fargliela. Avrebbe rovinato la sua serenità. Soprattutto, avrei saputo la verità, ponendo fine alle mie illusioni.
Non ero pronta a sapere la risposta a quella domanda.
Tuttavia, non mi sfuggí la scintilla di speranza che attraversó i suoi occhi, non appena realizzó cosa gli avevo chiesto.

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