Capitolo 33

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Canzoni per il capitolo:
The Heart Wants What It Wants - Selena Gomez
Disturbia - Rihanna

Non diedi il tempo nemmeno al tempo: mi fiondai oltre la soglia della porta, all'interno di quella minuscola stanza, dritta tra le braccia dell'unica persona di cui mi importava veramente, in quel momento.
Lui chiuse gli occhi, tremando, quando appoggiai una mano sulla sua guancia fredda come la pietra su cui ero inginocchiata.

"Non dovresti essere qui." sussurró, con uno sforzo immenso.
Quelle sole parole mi bastarono per far scattare quella scintilla, spenta da giorni, che aspettava solo di essere riaccesa.
Mi avvicinai a lui, volevo assolutamente fargli capire che mi dispiaceva, che ero tutta per lui, che non avrei piú commesso un errore simile, darlo in pasto ai licantropi, ma lui mi bloccó, posandomi una mano davanti alla bocca, prima che le nostre labbra potessero toccarsi.
"Scappa." farfuglió.
Spalancai gli occhi: mi stava invitando a scappare davvero? Ora che avevo fatto tutta quella strada per lui? Non se ne parlava. E lui sarebbe venuto via con me. La porta era ancora aperta: sarei potuta sgattaiolare via, se avessi preso il momento giusto, e lui con me, anche se non sembrava nemmeno nelle condizioni di respirare.
Osservai meglio il suo corpo e la sua camicia stracciata: era coperta in molti punti da macchie rosse, alcune piú scure, altre meno, ma una in particolare catturó la mia attenzione, quella in prossimità del cuore.
Con cautela, per non far sí che il suo corpo, già abbastanza dolorante, apparentemente, non soffrisse ancora di piú, evitando di urtare la sua pelle, gli scostai un lembo della camicia bianca che indossava.
Tuttavia, mi sfuggí una mano sulla superficie bagnata del suo petto, non sapevo per cosa lo fosse. Ben presto, peró, lo capii: la sua fronte era imperlata di sudore, il suo viso si trasformó in una smorfia di dolore acuto, seguito da un rantolo profondo e gutturale. Capivo che si stava trattenendo dall'urlare, lo dimostravano i suoi denti stretti. I suoi canini scintillavano, alla luce soffusa di una candela su un piccolo tavolo di legno, al lato della stanza, libero: l'altro era occupato da una grata di ferro, con le sbarre abbastanza larghe da farci passare il busto di una persona, ma non le braccia, quindi era impossibile passarci attraverso; oltre a quelle sbarre, c'era un tendone bordeaux.
Tornai a concentrarmi su Dimitri, ancora dolorante, con gli occhi chiusi.
Aveva un'aria cosí sofferente, che mi costrinsi a continuare ad alzargli la camicia, anche se avrei preferito molto di piú vederlo comportarsi da re.
Man mano che la seta scopriva la pelle, mi accorsi che il corpo di Dimitri era punteggiato di bianco, con dei lievi gonfiori: cicatrici.
Non riuscii piú a contenere la mia fretta ed alzai la camicia del tutto, facendo sí che a Dimitri scappasse un piccolo urletto di dolore.
Lo scenario che mi si presentó mi fece rabbrividire: in prossimità del cuore di Dimitri, c'era un piccolo, ma profondo buco, grande abbastanza da farci passare la mano di un bambino, dal quale sgorgava del sangue, che andava assorbito dalla camicia bianca.
Sentii che i respiri di Dimitri cominciavano ad essere affannati, pesanti, in preda alla sofferenza.
"Vattene via." riuscí a trovare persino la forza per parlarmi.

"Non ti lascio solo." protestai, senza lasciar trapelare alcuna emozione.
Mi sorpresi di me stessa per il mio autocontrollo. A quell'ora, quasi un mese prima, avrei avuto una crisi, alla vista di cosí tanto sangue. La cosa piú raccapricciante era la carne viva di Dimitri, visibile.
Senza volerlo, sfiorai quel buco con le dita. Mi venne da vomitare. Ci volle tutto il mio autocontrollo per non farlo nè davanti a lui nè davanti a me stessa.
Fu piú lui a soffrire, invece: gli scappó un altro urlo, leggermente piú forte di quello di poco prima, accompagnato da una contorsione. Contraendosi su se stesso, si allontanó da me, quel tanto che bastava a farlo cadere di lato, a terra, non avendo le forze necessarie per sportarsi davvero. Con una mano si teneva il punto in cui c'era il buco, con la camicia, mentre, con l'altra, si copriva la bocca, forse per non urlare.
Avrei voluto dirgli che avrebbe potuto urlare e sfogarsi quanto avesse voluto, ma non sapevo a quanto sarebbe servito.
Alle mie spalle, sentii le risatine dei due uomini che mi avevano accompagnata fino lí, permettendomi di rivedere Dimitri. Non sapevo se ringraziarli o aspettarmi dell'altro, da parte loro. Dimitri non era certo messo bene, ma era piú vivo di quanto mi ero sentita io negli ultimi due giorni.

"Ti ho detto di andare via!" trovó la forza per urlare.

"Non ti lascio solo, chiaro? Sono venuta qui per te, quindi non pensarci nemmeno! Non ti abbandono...di nuovo." sussurrai le ultime due parole, distogliendo lo sguardo, vergognandomi per quello che avevo fatto.
L'ho mandato qui. Ho permesso che accadesse ció.
Ed ero lí per rimediare.
Quando i suoi occhi si riaprirono, erano stranamente sicuri, pieni di una forza che, in realtà, non aveva davvero. Non sembrava nemmeno piú lui.
Si rimise seduto, facendo ondeggiare il ciuffo davanti ai suoi occhi turbinosi.
Ringhiava. Sentivo quel suono acuto, che proveniva dalla sua gola. I canini spuntarono dalle sue labbra piú di prima.
Non mi sarei fatta prendere alla sprovvista ancora.
Gli presi il viso tra le mani e mi buttai letteralmente su di lui, ignorando il dolore che avrei potuto causargli. Posai le labbra sulle sue, le premetti, il mio unico obiettivo era fargli capire che io c'ero, non l'avevo abbandonato completamente.
E quelle labbra. Quelle labbra mi erano mancate cosí tanto, mi avevano riempito i pensieri in ogni momento di lontananza da lui. Era una delle cose che mi avevano dato la forza per continuare, anche senza di lui. Ed ora era lí, tra le mie braccia. Era una sensazione stupenda: era come se il mio cuore troboccasse di felicità, ogni fibra di me lo avvertiva come non aveva mai fatto.
Lui schiuse le labbra, come per cercare di risucchiarmi, come se volesse avere, dentro di sè, ogni parte di me, ma non l'aveva fatto per avere la mia lingua nella sua gola, quanto per cercare di risucchiarmi davvero.
Mi staccai da lui, guardandolo negli occhi. Era cosí bello, mi era mancato cosí tanto. Non l'avrei piú lasciato solo.
Una nuova luce entró nel mio campo visivo, alla mia sinistra, dove c'era la grata. Non avrei voluto distogliere lo sguardo da Dimitri, ma anche lui giró la testa verso la fonte luminosa, quindi lo seguii nei movimenti. Mi voltai a vedere che cosa stava succedendo: il tendone bordeaux si stava aprendo in due, come il sipario di un teatro.
Man mano che le due tende si aprivano, la musica entrava in quella stanza sempre piú prepotentemente, facendo irruzione nel nostro piccolo momento di intimità.
Oltre a quelle tende, la luce era accesa, una miriade di lampade al neon costeggiavano le pareti di pietra, rendendo il tutto cosí moderno, da non sembrare nemmeno vero: eravamo in mezzo alla roccia, come potevano trovare le fonti di corrente elettrica per alimentare le lampade?
Ma non fu quello a sconvolgermi. Mi alzai da Dimitri, troppo sconvolta per non potermi avvicinare a quella scena. Arrivai fino alle sbarre di ferro, aggrappandomi ad esse e cadendo in ginocchio.
Proprio davanti a me, al centro di quell'enorme sala, gremita di gente elegante, c'era un tavolo con delle sedie. Su una di queste c'era seduto Mike, appoggiato allo schienale. Sembrava sconvolto quanto me. E mi stava guardando.
Per un attimo, pensai di ritornare da Dimitri, orripilata da quello scenario. Ma la sorpresa ebbe la meglio su di me: davanti a Mike, in giacca e cravatta, sul tavolo, con un vestito lungo e di un colore indecifrabile, per la mia testa confusa, si trovava una ragazza, piegata come se stesse gattonando, che stava tenendo Mike per la cravatta, come fosse un collare, e, nel mentre, lo baciava sulle guance, lo stuzzicava sul collo.
Ma non fu nemmeno questo a sconvolgermi: io conoscevo quella ragazza. Eppure, non potevo credere che fosse davvero lei.
Sylver stava seducendo Mike proprio davanti a me. Ma non era quello il punto. Il punto era Sylver.
Proprio quando pensai al suo nome, lei smise di stuzzicare di Mike e mi lanció una rapida occhiata fulminante.
Il mio stomaco si rovesció, facendomi venire voglia di vomitare: quella non era Sylver. Quella era Stacey.
Se me l'avessero raccontato, non ci avrei creduto. Eppure, era lí, davanti ai miei occhi. Si muoveva con decisione, sapeva ció le spettava e non si sarebbe fatta problemi a chiedere niente a nessuno. Ma, soprattutto, era viva.
La sua chioma bionda ossigenata mi derideva, mentre io mi tenevo aggrappata alle sbarre di ferro. Mi aveva mentito. D'altronde, l'aveva sempre fatto.

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