Capitolo 24

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Scesi dal divano velocemente e mi diressi verso la cucina. Aprii la porta che divideva la sala dalla cucina ed attraversai il piccolo corridoio.
Da subito, fin da quando avevo aperto la porta della sala, avevo notato qualcosa di strano, qualcosa che mancava: mia madre. O Mike. Mancavano entrambi.
Nella mia mente, si era raffigurata una scena in cui mia madre era a bocca aperta, con la mano davanti, stupita, sconvolta e confusa. Davanti a lei ci sarebbe dovuto essere Mike, ancora fuori dalla porta.
Invece, non c'era nulla, di quella scena immaginaria, che fosse accaduta veramente.
Anzi, mia madre entró in cucina subito dopo il mio arrivo, scendendo dalle scale.
Quindi era al piano di sopra.
La guardai confusa, tanto quanto lei.

"Tesoro, tutto bene? Hai risolto con...ehm...?" non osava ancora pronunciare il nome del vampiro, non in quelle situazioni alquanto pericolose.
Di certo, non sapeva che James aveva già tentato di uccidermi o trasformarmi. E non gliel'avrei detto nemmeno io: l'ultima cosa che volevo era preoccuparla ancora di piú. Inoltre, ero sicura che, non appena l'avesse saputo, avrebbe cacciato da casa nostra James. Sarebbe stata capace di farlo.
Ma non era quello il punto, o, meglio, non era cosí che mi aspettavo di trovare mia madre, cioè lei che scendeva dalle scale, preoccupata solo dalla conversazione tra me e James.
Guardai la porta di casa, preoccupata. Era chiusa.
"C'è qualcosa che non va?" chiese, non capendo.
Tutto. Tutta questa conversazione non va.

"Mamma, hai, per caso, urlato o visto qualcuno?" le domandai, tenendo sempre lo sguardo fisso sulla porta, come se, da un momento all'altro, sarebbe potuto comparire davvero Mike.
Ma è morto.

"No. A dire il vero, ho sentito voi due urlare. Sicura che non ci sia qualcosa che non va?" insistette.
, ma non l'avrei coinvolta.
A quel punto, mi voltai verso James, per avere la conferma che anche lui avesse sentito quel grido, ma, quando lo feci, vidi che non c'era nessuno dietro di me.
Ancora piú stupita e quasi arrabbiata, nonchè preoccupata, ritornai in sala, dove notai qualcuno sul divano, seduto, a braccia incrociate. James.
Era rimasto lí?!
Stavo cominciando a pensare che avessi di nuovo avuto le allucinazioni, mentre mi avvicinavo al divano, quando notai un particolare, nel suo sguardo caldo e familiare: era freddo ed annebbiato, sconosciuto, ma era uno sguardo che avevo già visto altre volte.
Mi chinai vicino a lui, continuando ad osservare come fosse assente. Le sue labbra erano socchiuse, il suo corpo era immobile. Guardava un punto fisso davanti a sè. O, per lo meno, sembrava che stesse guardando qualcosa, ma io sapevo che, in realtà, non stava facendo altro che ripercorrere anche lui i suoi ricordi.
Mi presi un attimo per guardarlo davvero, per osservare come i suoi occhi fossero spalancati e come le sua labbra tremavano, ogni tanto, come se volesse dire qualcosa, ma non ci riuscisse. Non si muoveva. Sembrava che nemmeno respirasse.
Aspetta, non stava respirando.
Il suo viso divenne rosso, cosí tanto che sembrava quasi arrabbiato.
A quel punto, le sue mani cominciarono a tremare e, pian piano, anche tutto il corpo, scossi da fremiti incontrollabili, che fecero agitare non solo me, ma anche lui: si portó una mano alla gola, come se davvero qualcuno lo stesse strozzando e non riuscisse piú a respirare.
Mi rialzai, non sapendo cosa fare. Non era mai successa una cosa del genere! Che balbettasse il nome di Reina sí, ma che venisse preso cosí tanto dai suoi ricordi, come se ne venisse soffocato no.
Che cosa faccio?
Mi guardai intorno, sperando nell'aiuto di qualcuno o qualcosa, ma non trovai nulla.
Cominciai ad agitarmi davvero, mentre James si contorceva sul divano.

"James." sussurrai, quando finí sdraiato sul divano, tanto che era scosso.
Gli toccai un braccio lievemente, con la punta delle dita, impaurita dalla sua reazione. In quello stato, era imprevedibile.
Appena la mia pelle toccó la sua, un fremito mi colpí la mano, come una scossa elettrica, facendomi provare, per un attimo, quello che stava provando lui.
Levai subito la mano, sussultando al contatto.
Poi, la riavvicinai, non volendo arrendermi.
"James." Mormorai, con un po' piú di voce. "James, calmati." Lo presi per una spalla, ma lui continuava ad essere travolto dalle convulsioni ininterrottamente.
"James, basta." parlai, con un volume di voce normale, prendendolo anche per l'altra spalla, non risolvendo, tuttavia, nulla.
"James, smettila! Finiscila! Sono qui! Guardami!" urlai, disperata.
D'istinto, mi fiondai su di lui, sulle sue labbra, su una delle poche porte che mi permetteva di aprirmi davvero con lui.
Premetti la mia bocca contro la sua, con forza, perchè si svegliasse da quei ricordi di agonia.
Sentii che le sue labbra si aprivano di piú, accogliendo il mio bacio, poi venni spinta via dalle sue mani.
Caddi per terra di sedere, facendomi malissimo, nonostante il tappeto pesante e spesso, che adornava il pavimento della sala, ma mantenni comunque l'attenzione su James, che, nel frattempo, aveva cominciato a tossire ed ansimare rumorosamente, come se fosse appena stato in apnea. I suoi occhi erano arrossati, il suo viso paonazzo, il suo petto di abbassava ed alzava velocemente, mentre i polmoni riprendevano a svolgere il proprio compito. La sua mano era ancora sul collo, lo massaggiava.
Mi riportai subito in piedi, pronta ad intervenire se si fosse sentito male, quindi mi avvicinai lentamente a lui, che stava riprendendo un colorito normale e stava calmando i propri respiri.
Quando i miei piedi entrarono nel suo campo visivo, James alzó lo sguardo, terrorizzato e stanco.
Non aveva bisogno di dirmi che gli dispiaceva, sapevo che me l'avrebbe detto, ma non aveva da scusarsi di niente. Non era stata colpa sua, se aveva avuto quell'attacco di panico.

"Mi dispia-".

"Non dirlo." lo fermai.
"Non è stata colpa tua. So che non è cosí. Quindi, non scusarti per qualcosa che non hai fatto.".
Lui abbassó lo sguardo, sembrava distrutto sia fisicamente, sia, soprattutto, a livello emotivo.

"Ma è vero. Davvero, Lilith, mi dispiace, non so cosa sia successo. Dopo aver sentito l'urlo di tua mamma, mi sono venuti in mente dei ricordi-".

"Il fatto è che mia mamma non ha proprio fatto niente." lo interruppi.
Il suo sguardo si alzó su di me, non capendo quello che avevo appena detto.
Ne so quanto te.
"Sono andata di là, per vedere che, effettivamente, ci fosse Mike, qui.".
Ció che faceva piú male era ammettere che mi ero illusa, per qualche secondo, che Mike fosse ancora vivo.
"Quando sono entrata in cucina, peró, mia mamma non c'era: era la piano di sopra e, sentendo il mio arrivo in cucina, è scesa a chiedermi se stava andando tutto bene, come se non fosse successo niente.".

"Aspetta un attimo, quindi tua madre non ha urlato?" domandó, senza parole.
Annuii.

"Sí, anzi, era solo preoccupata per noi due. Ha detto che ci ha sentiti litigare.".

"Peró hai detto anche tu che l'hai sentito.".

"Sí, ma-" mi bloccai, realizzando cosa aveva appena detto James: non ero stata l'unica a sentire quell'urlo.
Lo guardai, cercando, nel suo sguardo, una spiegazione.
Entrambi avevamo appena sentito un urlo che non era mai stato fatto.
"Precisamente, cosa diceva quell'urlo?" chiesi.

"Il nome di Mike." mormoró.
Possibile?
Era impossibile: avevamo appena avuto la stessa sensazione, nello stesso, identico momento. Ma era stata tutta un'illusione. Allora, com'era stato possibile?
James cominció a riflettere con me, portandosi una mano alla testa.
Subito, si strinse a pugno, insieme ai suoi occhi strizzati ed alla sua bocca, che disegnava, sul suo volto, una smorfia di dolore.

"Ho mal di testa." si lamentó appena.

"Andiamo a farci una doccia?" proposi.
Lui mi guardó strano, come se avessi appena detto una cavolata.
"Cioè, vai. A me, da piccola, serviva, quando stavo male: mi aiutava a far scivolare via i mali e le preoccupazioni." spiegai.
Lui ci riflettè un attimo, poi annuí, alzandosi debolmente.
Lo affiancai, temendo che potesse cadere da un momento all'altro, ma lui mi liquidó con un cenno della mano.

"Ce la faccio, grazie comunque." disse, accompagnando il tutto con un sorriso.
Gli concessi il fatto di poter salire le scale da solo.
Una volta al piano di sopra, entrai nella sua stanza, mentre lui entrava in bagno.
Quando chiuse la porta alle sue spalle, cominciai ad aprire i cassetti, in cerca del cambio che avrebbe potuto mettere, dimenticandomi, peró, che non aveva portato niente, con sè, se non i vestiti che aveva addosso e la felpa che stavo ancora indossando.
Sí, direi che è arrivato il momento di cambiarmi.
Mi diressi verso la porta, diretta in camera mia, quando una macchia rossa attiró la mia attenzione.
Spostai lo sguardo verso il letto, dove giaceva la macchia rossa, ricordandomi anche di quel dettaglio.
Sí, dovró sistemare anche questo. Prima, peró, cambiamoci.
Uscii dalla camera degli ospiti, chiudendo accuratamente la porta, perchè mamma non vedesse il disastro che avevamo combinato, quindi andai in camera mia.
Chiusi la porta e non persi tempo a pensare a tutto quello che era avvenuto nelle ultime ventiquattro ore, cominciando a cercare dei vestiti piú comodi e caldi, nei miei cassetti.
Quando il primo cassetto si aprí, rivelando pile e pile di pantaloni di tutti i colori, sorrisi. Ricordavo ancora tutti i vestiti, appesi alle grucce, al castello. A dire il vero, un po' mi mancavano, ma non mi dispiaceva essere tornata alle vecchie abitudini. Quello era il mio mondo. Niente a che vedere con lo sfarzo e i vestiti da sera.
Afferrai un paio di pantaloni stretti e neri, ma caldi, ed una maglietta a tinta unita, bianca, a maniche corte, a vita alta, ed un maglioncino di lana azzurro, a maniche lunghe e corto.
Fortuna che i pantaloni erano a vita alta, altrimenti sarei congelata di freddo.
Mi tolsi la felpa di James e la posai sul letto.
Sentendomi improvvisamente nuda, decisi di vestirmi il piú in fretta possibile, perció infilai in fretta i pantaloni, la maglia ed il maglione.
Cosí andava decisamente meglio.
Ora, vediamo se James sta meglio.
Stavo per andare a chiedere come fosse messo James, quando un soffio fortissimo attiró la mia attenzione; mi avvicinai alla finestra, coperta dalle tende, quindi la spalancai, curiosa di sapere cosa fosse.
Non appena i gancetti della finestra si aprirono, mi arrivó la risposta: un vento fortissimo e freddissimo stava soffiando, facendo piegare gli alberi, ad ogni folata.
Sapevo cosa stava a significare, avevo già avvertito un vento del genere, con James, ma ne ebbi la conferma quando un luccichio dorato comparve, poco lontano dal limitare della foresta.

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