Capitolo 30

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Sentivo una melodia, calda, leggera, quasi quasi sembrava profumasse. Era la musica piú bella che avessi mai sentito. Non vedevo nulla, solo bianco. Anche se mi sentivo vagamente sola, la musica riempiva completamente il vuoto dentro di me, come una corrente d'acqua, fluida e fresca. Mi era familiare, ma, come al solito, non ricordavo dove l'avessi già sentita. Sembrava un mistero, per la mia memoria, riuscire a riconoscere l'origine di quell'incanto.
Non c'era altro che un'unica voce, soave e morbida, che inondava tutto ció che avrebbe potuto inondare, con la sua calma e la sua acutezza. Non era acuta e tagliente, ma acuta come campanellini, deliziosa. Le sue parole non erano completamente comprensibili, anche perchè non prestavo loro molta attenzione, piuttosto mi facevo cullare da loro, eppure ne sapevo ogni singola lettera. Avrei potuto cantarla senza pensarci.
Mi sentivo volare, niente di me era attaccato a terra, niente di tutto ció di quel che era successo sembrava reale.
A proposito, che fine ha fatto James?
Come se mi avessero fatta affondare nel mare, con i pesi legati alle caviglie, mi sentii sprofondare nel vuoto, schiacciata da un peso enorme, simile ad un macigno. Lentamente, ogni parte di me si sentí sempre piú vuota, la musica cominció a scomparire, la luce bianca tutto attorno a me diventó piú scura e tutto diventó molto piú concreto, piú reale.
Fin troppo reale.
La luce era scomparsa del tutto, vedevo solo nero, la musica era stata sostituita da un silenzio lugubre, interrotto solo dal rumore di alcuni passi e di alcune voci sommesse, che parlavano e se ne andavano, non permettendomi di riconoscerle. Una mano prese ad accarezzarmi i capelli. Sentivo di essere sdraiata su qualcosa di fastidiosamente duro, se non per la testa, poggiata su qualcosa di morbido, ma, allo stesso tempo, setoso e ruvido, ma comunque molto meglio di quella scomodissima superficie su cui era posato il mio corpo, dal collo in giú.
Una fitta dolorosissima mi colpí la testa, come una lama affilata, non appena riuscii a ricordare qualche sprazzo di ricordi: una foresta, casa mia, spari e fango. No, c'era anche qualcun altro, ma chi?
Pensare faceva troppo male, quindi rinunciai nell'intento, lasciando che un altro dolore mi riempisse il corpo: ogni parte di me, dalle mani, alle braccia, al petto, alle gambe, ai piedi, bruciava come se fossero stati appena piantati dei coltelli in ogni angolo di me, in ogni vena ed arteria. Era troppo doloroso anche muoversi: me ne accorsi non appena tentai di alzare le dita della mano, per toccarmi i punti in cui il dolore diventava piú accentuato, per capire da dove provenisse tutta quella mia sofferenza.
Intanto, la solita mano continuava ad accarezzarmi i capelli, facendo alternare il male ed i giramenti di testa a momenti di tranquillità. Avrei voluto rimanere sotto quel tocco per tutto il tempo possibile. Mi sentivo a casa, con quelle dita sottili ed affusolate, che mi prendevano i boccoli rossi e li lisciavano, per poi renderli di nuovo boccolosi. Anche quel tocco mi era fin troppo familiare.
Non seppi con quale forza, ma riuscii ad aprire un occhio.
No, non è vero: subito dopo, lo richiusi, incapace di reggere la pesantezza delle palpebre.
Strinsi di nuovo gli occhi, che bruciavano, come il resto di me.
Sentii che il piano su cui poggiavo la testa, irregolare, si irrigidí e si rilassó nello stesso momento, come se fosse stato vivo. Mi sentii rabbrividire al pensiero di appoggiare la testa su qualcosa di vivo che non fosse un mio braccio.
Svegliati! Apri gli occhi e levati di lí!, mi ripetevo, ma muoversi richiedeva cosí tanto sforzo, che inizialmente pensai di rinunciarci e di rimanere in quella posizione per un altro po'.
La mano che mi accarezzava i capelli si fermó, posandosi sul mio collo e massaggiandomi il punto in cui la spina dorsale si univa alla testa, aiutandomi ad alleviare la sofferenza del mio corpo.
Grazie a quel massaggio inaspettato ed estremamente delicato, riuscii ad aprire gli occhi, solo per un secondo, ma fu abbastanza per intravedere una parete fatta di pietre scure ed unite tra di loro in un modo abbastanza irregolare. Ancora stordita, richiusi gli occhi.
Le dita affusolate erano morbide, ma secche in alcuni punti, specialmente sui polpastrelli e sulle nocche. Nonostante questo, sapevano eseguire al meglio il loro compito, cioè quello di rilassarmi e di farmi recuperare le forze.
La vista mi si schiarí di nuovo, resistendo un po' di piú, rispetto a prima, permettendomi di rivedere la parete di pietre ed una piccola fiamma rossa, che scomparve velocemente com'era comparsa.
Richiusi gli occhi.
Un'ultima volta.
Stavolta, riuscii a recuperare abbastanza forza fisica e mentale per poter mantenere abbastanza salda la vista su qualcosa che non fosse il buio. Sbattei le palpebre un paio di volte, prima di riuscire a recuperare completamente coscienza.
Come sempre, c'era la parete di pietre, ma, stranamente, si trovava sopra di me. Io ero sdraiata, con un telo bianco, pesante, che mi copriva, che copriva la superficie su cui poggiavo la schiena e le gambe: la parete di pietre era il soffitto di una piccola stanza quadrangolare.
Pensare faceva ancora troppo male, per poterlo fare veramente, ma riuscii a capire qualcosa: ero sdraiata sulle stesse pietre dure e fredde che costituivano il soffitto, me lo dimostró una mia mano, ripresasi dal dolore fisico, toccando la superficie accanto a me. Il problema era, ora, capire dove fosse appoggiata la mia testa, che veniva ancora massaggiata, insieme al collo, da quelle mani delicate. E stranente familiari. Stava diventando tutto troppo strano.
Alzai lo sguardo al di sopra della mia fronte, notando una piccola fiammella rossa. No, non era una fiamma, ma una treccia corta, si un color rosso ramato, similissimo al mio colore di capelli, legata ad una testa pallida e magra.
Non riuscivo a vedere i suoi occhi, perchè il viso della persona su cui posavo la testa, era rivolto a qualcosa davanti a me, che, al momento, non mi interessava piú di tanto: l'importante era capire chi fosse lei. I tratti del viso, gli zigomi appena accennati e le piccole labbra sottili definivano il viso di una donna, non sapevo dire se fosse una donna sulla cinquantina o una ragazza sulla ventina.
Il suo collo era pallido come il viso, pulitissimo e privo di ogni schizzo di fango o di sangue.
Per un attimo, rividi il viso di tre licantropi che mi inseguivano nella foresta.
Proprio quando stavo per scuotere la testa, per cancellare quell'immagine inquietante, il viso della donna si abbassó, permettendomi di vedere i suoi occhi azzurrissimi, come l'acqua di un lago, e limpidi. Mi sorridevano, erano estremamente accoglienti e fluidi. Mi ricordavano qualcuno.
Non fu tanto la vista di qualcuno che arrivava, di cui non sapevo nemmeno il nome e che non avevo mai visto, ma tanto la voce di quella donna, che rivolse lo sguardo ai due uomini che arrivavano, che mi sorprese.

"È lei." ripetè la frase del capitano, nella mia memoria, con la stessa voce che avevo sentito tante volte, nella mia testa, terribilmente familiare.

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