Capitolo 38

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La musica si spense non molto tempo dopo, insieme al chiacchiericcio sommesso degli invitati a quella strana festa. Il rumore di una serratura che scattava annunció il termine definitivo della festa, lasciando me e Dimitri nel silenzio.
Eravamo rimasti soli.
Le lacrime avevano continuato a scorrermi lungo le guance per tutto il tempo, pizzicandomele. I singhiozzi mi avevano scossa per tutto il tempo, attutiti soltanto dalla confusione creata dagli ospiti e dalla musica.
Era strano, per me, avere un po' di silenzio, dopo tutto il frastuono che mi aveva avvolta, per tutto quel tempo. Non era solo un frastuono proveniente dall'esterno, ma anche dall'interno, mentale. Non riuscivo a formulare un collegamento tra i miei pensieri, uno piú sconvolgente dell'altro, tante piccole rivelazioni e domande senza risposta, che mi affollavano la mente stanca.
Cercai, con le mani, di pulirmi il viso bagnato, senza grandi risultati, dato il fiume che mi usciva dagli occhi.
Il sapore salato delle lacrime mi bagnó anche le labbra.
Non avrei potuto reggere un'altra risposta indesiderata. Prima, avrei voluto risolvere i miei problemi, senza che se ne aggiungessero altri.

"Hai finito di frignare?" sibiló Dimitri.
Non fu il suo tono tagliente ad offendermi, nè il fatto che mi stesse polverizzando con lo sguardo. Fu proprio quello che mi aveva detto a farmi smettere di piangere.
Bloccai le mani poco lontane dal viso, mentre stavano ancora tentando di pulire il disastro sul mio viso bagnato. Anche le lacrime si fermarono, avvertendo quell'insulto come uno dei piú gravi che avessi mai ricevuto, pur avendone ricevuti di molto peggio.
Alzai lo sguardo verso Dimitri, che era seduto con la schiena alla parete, la mano sul buco nel petto e la pelle madida di sudore. Il suo sguardo turbinoso, peró, era sempre lo stesso.
Non aveva la forza per reggersi in piedi, non aveva nemmeno la forza per respirare, come dimostrava il suo petto, che si alzava ed abbassava lentamente, eppure aveva la forza per insultarmi.
Io mi ero cacciata nei guai per lui, per liberarlo da quella prigionia, e lui mi ringraziava in quel modo?
Avevo voluto io tutto quello, sí, ma stavo cercando di porvi rimedio. Non sapevo nemmeno da dove cominciare e il solo fatto che Dimitri mi avesse detto che mi avrebbe uccisa, non appena fossi diventata sua sposa, mi gravava sul petto come non aveva mai fatto niente, prima di allora.
Aveva il coraggio di avanzare pretese, che io non piangessi.
Mi alzai lentamente, prendendo le forze necessarie per avvicinarmi a lui.
Lui non fece una piega, manteneva gli occhi nei miei, sfidandomi ad avanzare di un altro passo.
Ma, d'altronde, che avrebbe potuto farmi lui? Uccidermi? Bere il mio sangue? Erano tutte cose che aveva già programmato da tempo.
Mi chinai su di lui, lentamente come mi ero alzata, mantenendo anch'io il contatto visivo, ma per il solo motivo di distrarlo, perchè non mi fermasse.
Alzai la mano e il braccio, presi velocità, ma mi fermai.
"Avanti, perchè non mi colpisci?" mi sfidó.
Non mi muovevo, mi ero bloccata con il braccio a mezz'aria. Non ne sapevo bene il perchè, ma non me ne preoccupai.
Non meriti di ricevere punizioni.
Le punizioni si ricevono. E, quando si ricevono, fanno molto piú male di quanto si pensi, ma non fisicamente, quanto interiormente: si delude una persona, si fa qualcosa di sbagliato, si va contro le regole, tutto ció su cui si basa ció che viene insegnato. Ricevere una punizione significa automaticamente essere perdonati: la punizione insegna a non agire piú in un certo modo, ció significa che la persona punita è autorizzata a riprovare nel suo intento, cercando di non commettere piú lo stesso errore. E questo è l'errore piú grande che uno possa fare, perchè, mentre si è concentrati a non combinare un guaio, automaticamente, se ne combina un altro. L'avevo imparato a mie spese.
Lasciai ricadere il braccio lungo il fianco, facendogli perdere forza.
Non meriti un'altra, ultima possibilità. Te ne ho concesse fin troppe.
Non avrebbe nemmeno meritato la risposta a quel mio gesto improvviso.
Mi limitai a fissarlo a lungo negli occhi, facendogli capire che non avevo paura di lui.
"Che c'è? Ho detto qualcosa di sbagliato?" ebbe il coraggio di chiedere.
Se fossi stata una ragazza impulsiva, l'avrei già scaraventato dall'altra parte della stanza, disinteressandomi delle sue ferite.
Ho anch'io le mie ferite, gli ricordai mentalmente.
Fortunatamente per lui, avevo imparato a riflettere, prima di agire.
Non sempre.
Quindi, lasciai solo che una risata mi sgorgasse fuori dalla bocca, una risata rauca e carica di ironia e sarcasmo.

"Certo che no." gli risposi, ironica.
Speravo capisse la mia presa in giro e che non mi prendesse alla lettera.

"È per qualcosa che ho fatto, allora?" mi prese alla lettera.
Se non la smetti di prendermi in giro, apro quella porta e lascio che i licantropi facciano di te quello che vogliono. Non mi importa di quella ragazza presuntuosa.

"Mi avresti uccisa. Perchè non farlo subito? O, meglio, perché non dirmelo subito, prima ancora di dare il via a quel triangolo amoroso? Avresti potuto davvero avere una possibilità, sai?" gli sbattei in faccia la realtà ed alcune delle domande che mi tormentavano.
Gli conveniva rispondermi, per il suo bene.
Il suo viso, da pallido e sofferente, sorprendentemente, si coloró appena di un rosa tenue e si trasformó in una risata.
Non rise, peró. Sorrise e basta, troppo dolorante per poter ridere davvero.

"Avanti, Lilith, non dirmi che non avevi preso in considerazione quest'eventualità. Che ti aspettavi? Bouquet, vestito da sposa bianco e riso lanciato per gli sposi?" mi derise, con una nota, altamente percepibile, tagliente.
Dire che ero rimasta senza parole era un eufemismo.

"Che ne è successo del Dimitri che ha ballato con me?" domandai, sorpresa.
Da una parte, sapevo che non stava dicendo sul serio, quando mi aveva sussurrato quelle frasi dolci, in quell'enorme sala. Dall'altra, speravo fosse vero quell'amore.
Non mi ha mai detto che mi ama.
Come avevo potuto essere cosí stupida?

"È stato abbandonato nel bosco, insieme ai licantropi." mi aggredí a parole.
Quelle parole mi trafissero come una lama affilata nel petto, creando un buco grande come il suo.
"Perchè? Ci eri affezionata?" sorrise, beffardo.
Era troppo. Deridere il mio amore non gli avrebbe giovato. Per niente.

"Tra mille volti, tra mille umani, tra mille vampiri, avrei scelto te. Avevo scelto te." sussurrai, con la voce rotta dal pianto.
Sapevo che non era mai stato nulla di vero, quello tra me e lui, e io non ci tenevo poi tanto, perchè, insomma, era un vampiro, un mio nemico. Eppure, perchè mi veniva da piangere? A cos'era dovuto quel vuoto immenso nel mio petto, invisibile agli occhi, ma visibile alla mente?

"Ma non mi dire! Perchè? Non mi sopporti, lo vedo benissimo.".

"Ti ho amato." confessai.
Costrinsi di nuovo le lacrime a non scendere.
Non piangere.
"Ti ho amato. Ma ora non piú." ammisi, con uno sforzo immane.

"So quanto mi hai amato: tanto da abbandonarmi nelle mani dei nemici senza rimorso." rispose, acido.

"Tu non lo sai, non puoi saperlo, ma io ti ho pensato per tutti questi giorni, durante ogni minuto che trascorrevo senza di te. Ma tu non puoi neanche immaginare come ci si possa sentire senza la persona che si ama.
Tu non sai amare." sibilai, con la sua stessa acidità.
Lui non mi amava. Non poteva sapere quello che avevo passato durante due giorni di lontananza da lui.

"No, non so amare. Non so amare come Mike ama Stacey: si lascia trascinare al guinzaglio come il cane che è.".

"Non nominare quel nome!" urlai, tappandomi le orecchie ed alzandomi di scatto.
Stacey.
Quel nome mi rimbombava in testa, un pensiero troppo doloroso da reggere, cosí come ció che mi aveva detto la ragazza con il mantello rosso.
Sylver non esiste. Sylver non esiste. Sylver non esiste.
Sentivo di essere sull'orlo di una crisi di nervi, l'unica amica che avessi mai avuto era solo un'illusione, una finzione, un'invenzione.
Stacey è Sylver. Non esiste nessuna sorella. Sylver è Stacey. E Stacey è viva.

"Che c'è? So che ti dà fastidio e te ne ha sempre dato, ma ne hai cosí paura da non poter nominare il suo nome?" chiese, scettico.
Calmati.
Lo avrei preso a schiaffi, se non fosse stato per il fatto che ero distrutta.
Ma lui come poteva sapere che avevo piú cicatrici di quante immaginasse?
Mi rifiondai su di lui, sedendomi sulle sue ginocchia stese, provocandogli un'altra smorfia di dolore.

"Smettila." scandii lentamente.
Non ci mise molto, solo una frazione di secondo guardandomi negli occhi.

"Che ti ha detto? Avevo detto di non credere ad una parola di quello che diceva. Perchè non mi hai ascoltato?" chiese, quasi dolcemente.

"Sei solo un vampiro egoista e viziato." gli dissi in faccia.

"Voi umani siete cosí stupidi.".

"Voi vampiri siete cosí superbi.".
Per un attimo, per un singolo attimo, mi venne voglia di baciarlo. Per un solo attimo.
Forse sono davvero stupidi gli umani.
Gli avrei dato quello che si meritava: con calma, non badando al dolore di Dimitri, mi alzai, tornando nella mia postazione di poco prima, accompagnata da un verso di dolore rauco, proveniente dal vampiro che tanto avevo amato, tanto, ora, avrei combattuto.

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