Capitolo 60

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Non sapevo dove avessero portato James. Non mi importava piú di tanto. Ció che mi interessava davvero era il perchè di quella sua espressione triste e delusa. Non si addiceva al suo volto allegro e spensierato. Era come se io avessi compiuto un danno irreparabile.
Seguii la rossa fuori dalla porta, affiancata dalle guardie che erano rimaste fuori dalla porta, fino a quel momento.
E, ora, dove mi vuole portare?
Cominciavo a non sopportare nemmeno piú i suoi giri all'interno della struttura, cosí estranea a me. Avrei dovuto escogitare un piano di fuga.
Un altro, rammentai a me stessa. Un altro dopo quello che avevo già quasi organizzato, al castello di James. Quasi, mi mancavano quei momenti tutto sommato tranquilli.
Ci stavamo dirigendo all'archivio dove, non molto tempo prima, la rossa aveva provato a mordermi, causando la macchia viola sul mio collo. Era un segno tangibile della sua superiorità e sul suo potere su di me. Non lo avrei accettato.
Devo allontanarmi ed esplorare il posto.
Mi guardai attorno, notando, purtroppo, che, nel corridoio che stavamo percorrendo, non c'erano porte nè incroci. Era una via in cui si passava a malapena in tre, contando che i due uomini che mi affiancavano erano degli energumeni e mi schiacciavano tra le loro spalle. Spostai, allora, lo sguardo sulla rossa, girata di spalle. Se fosse rimasta voltata cosí, avrei potuto facilmente prendere una strada alternativa. Se solo fossi stata piú forte. Piú agile. Piú scaltra. E piú pronta di riflessi. Invece, non ero nulla di tutto ció, o, almeno, non molto. Ero riuscita a malapena a farmi aprire la porta della mia stanza da quei due. L'idea di stordirli, come James aveva detto di aver fatto, era molto lontana dalle mie reali possibilità. Portai l'attenzione sull'uomo alla mia sinistra. Sembrava piú convinto di quando l'avevo visto inginocchiato, con il labbro tremante. Era colui che mi aveva aperto la porta. Forse, sarei riuscita ad ingannarlo anche ora.
Lasciai che il mio peso versasse quasi completamente su di lui. Immaginai che lui mi avrebbe presa e fatta rialzare, magari chiedendomi se stessi bene. Invece, tutto ció che fece fu rialzarmi e spingermi lungo il corridoio, sempre piú vicina alla rossa, che, nel frattempo, non si accorgeva di nulla. Dopo un attimo di stupore, mi voltai e lo fulminai con lo sguardo.
Traditore.
Capii, cosí, che non sarei riuscita ad ingannare nessuno. Sapevano tutti del pericolo imminente, senza inventare altre scuse come una rivolta dei vampiri e degli umani o proporre idee migliori. Sapevano ció di cui avevo bisogno. Non potevo nemmeno inventare una nuova procedura dei vampiri. Ormai, non appartenevo piú a loro. Peró, avrei potuto fare qualcos'altro.
Mi fermai quasi improvvisamente e mi portai una mano alle braccia, strofinandole, come se avessi freddo, poi alla fronte, come per asciugarmi il sudore, poi sul collo. Era un misto di sintomi tutti insieme.
Come avevo sperato, i due uomini ci cascarono e si fermarono subito, con aria preoccupata. In un attimo, richiamarono l'attenzione della rossa e di Stacey, che si trovava proprio dietro di lei.

"Sta bene?" mi domandó l'uomo a sinistra.
Sembrava stesse cercando di nascondere qualcosa, col sudore sulla fronte.
Stai cercando di nascondere la spinta che mi hai dato poco fa?
Proprio grazie al suo timore, decisi di esagerare un po' la scena e feci qualche verso strozzato, come se fossi in preda a qualche dolore reale e fisico.
La rossa si avvicinó in un attimo, facendosi spazio tra le spalle dei due energumeni. Sul volto, aveva dipinta un'espressione preoccupatissima. Anche lei era caduta nella mia trappola.

"Che succede?" chiese, guardando i due che mi avevano scortato, pretendendo risposte.

"Non lo sappiamo. Stavamo camminando, quando si è fermata e ha cominciato a lamentarsi." disse calmo, l'uomo di sinistra.
Bugiardo.
Era stata una mossa astuta, da parte sua, omettere la spinta: non sarebbe stato punito.

"Dimmi, Lilith, ti senti bene?" mi domandó la rossa, avvicinandosi a me premurosamente.
Lasciai che un altro verso strozzato mi uscisse dalla gola, poi scossi la testa debolmente.

"Credo di aver bisogno..." presi tempo, "...di andare....".
Non riuscii a concludere la frase.
Andare in camera? In bagno? La rossa non mi avrebbe mai permesso di girare per la struttura, a meno che non fossi diretta in una specifica stanza.
"Devo andare in bagno." dissi, infine.
Senza aspettare altro, la rossa annuí.

"Vai." mi disse solo.
Mi ci volle tutta me stessa per non mettermi a sorridere, trionfante. Era astuta, molto astuta. Ma era troppo sensibile. Troppo debole.
L'amore rende deboli.
L'avevo imparato a mie spese.
Mi voltai lentamente, mantenendo le apparenza, rimanendo piegata e facendo pochi passi alla volta. Non sapevo dove fosse il bagno, ma l'avrei trovato. Speravo di non aver sbagliato direzione.
Mi stavo allontanando.

Ero già a qualche metro di distanza, quando sentii Stacey urlare:"La accompagno io!".
Mi irrigidii sul posto. Mi fermai e mi voltai, lentamente.
Attorno alla rossa, c'erano i due uomini, Stacey e la serva. Stavano parlando. Stacey aveva la mano alzata, in bella vista, come una bambina che vuole essere chiamata per rispondere alla domanda dell'insegnante. Tutti gli occhi erano puntati su di lei.
Ogni parte di me rimase immobile, per un secondo, mentre la rossa annuiva. Non avrei dovuto avere l'accompagnatore, altrimenti non avrei potuto visitare la struttura per fuggire.
Ma, soprattutto, non lei.

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