Capitolo 43

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Seguii la ragazza per i corridoi angusti, in quella base, che doveva fungere da casa, per la maggior parte dei licantropi.
Forse, vivevano tutti lí.
Anche se le pareti mi sembravano tutte uguali, avevo come la sensazione di aver già visto quelle rocce, quei corridoi, come se fossi già passata di lí, prima.
Il nostro cammino era silenzioso e sicuro, senza interruzioni. Niente e nessuno osava mettersi tra la ragazza davanti a me ed il suo obiettivo. Non che ci fossero molte persone in giro.
Ben presto, arrivammo in un luogo che avevo visto già due o tre volte: il posto di guardia davanti alla cella di Dimitri.
Che stavano facendo? Volevano riportarmi dentro quella stanza? Quanto, ancora, avrebbero voluto torturare Dimitri? Ma, soprattutto, io avevo voglia di vederlo?
Avrei dovuto ucciderti. Se mi avessi sposato.
Erano tutte frasi sue, uscite dalla sua bocca, con una sicurezza tale da spaventarmi, quasi: non mi avevano spaventata, ma sconvolta.
Sapere ció a cui sarei andata incontro, senza ritorno, era molto peggio che sapere che Dimitri stava soffrendo per mano mia.
O, forse, no.
In effetti, le due cose non potevano essere comparate o messe su due piani diversi, perchè l'una equivaleva l'altra.
No, non avevo molta voglia di vedere quel vampiro. Ma, alla ragazza, non sarebbe importato comunque nulla.
Ci avvicinammo alle guardie, che erano in piedi, impettite ed eleganti.
Senza che la ragazza dicesse nulla, le guardie aprirono la porta. Davanti a noi, come un fiore appassito, comparve Dimitri.
Era lui. Come l'avevamo lasciato. Non l'avevamo lasciato da molto tempo, ma sembrava comunque deperito molto.
La testa dondolava penzoloni sul collo; la mano al petto, che stringeva la camicia sporca di sangue e bucata, era debole; la schiena minacciava di farlo chiudere in avanti, come una valigia. Era terribile.
Mi fiondai dentro, correndo verso di lui e prendendogli il viso tra le mani. Apriva a malapena gli occhi. Anzi, ce li aveva chiusi e non si sforzava nemmeno di provare a socchiuderli. Era in condizioni molto peggiori di come lo avevamo lasciato. Mi accorsi solo allora del suo viso smunto e delle sue occhiaie, segni che non avrei mai pensato addosso a un vampiro. La sua pelle era cosí fragile, da farmi paura. Sembrava sul punto di spezzarsi da un momento all'altro.

"Dimitri." sussurrai, sperando che aprisse le palpebre e mi guardasse con i suoi occhi turbinosi.
Ed eccoli lí, pronti a divorarmi viva, sotto le palpebre che si aprirono un po' troppo velocemente.
Fui colta da una felicità cosí grande da volerlo baciare.
Avvicinai le labbra alle sue, avvertendo già il calore irradiato dal mio amore per lui, da lui contro di me fisicamente.
Non avvenne niente di tutto ció, anzi, al contrario, avvertii una leggera pressione al petto, tra i due seni, che mi spingeva nella direzione contraria rispetto a Dimitri.
Aprii gli occhi, che avevo chiuso, ed osservai le mani di Dimitri, che mi stavano respingendo, insieme ai suoi occhi trapelanti fastidio e rabbia.
Che significava? Perchè mi stava respingendo? Avevo fatto qualcosa che non andava?

"Bene. Ora, che sei sveglio, ti avverto: ha tre domande a disposizione. Tu puoi rispondere come vuoi a queste tre domande. Avete dieci minuti. Finito tutto questo, dille pure addio." intervenne la rossa, fuori dalla stanza, prima di chiudere la porta.
Dimitri mi guardó, confuso.

"Sta dicendo sul serio?" chiese, con voce roca e stanca.
Io scossi la testa.

"Non ne sapevo niente. Davvero. Non sapevo nemmeno che ti avrei rivisto." confessai.

"Peró, te ne andrai." mi ricordó.
Dille pure addio.
Che cosa aveva voluto dire?

"Non so che cosa significhi." dissi, con voce calma e dolce.
Averlo lí, con me, anche senza parlare, mi dava calma ed una strana sicurezza. Sentivo che, con lui, avrei potuto affrontare qualsiasi cosa. O quasi.

"In ogni caso, abbiamo pochi minuti. Pensa a cosa domandarmi." arrivó al punto, fin troppo secco.
Annuii, riconoscendo che aveva ragione.
Dunque, cosa avrei potuto domandargli?

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