Capitolo 40

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Durante la notte, qualcosa, dentro di me, si mosse. Ne ero sicura.

Ció che mi sveglió non fu il dolore al collo, nè la fastidiosa sensazione di umido sul collo e sulle braccia, per cui erano state alzate le maniche del maglione azzurro. Non fu nemmeno la fame a destarmi, ma il rumore di una chiave che scattava nella serratura di una porta.
Aprii lentamente gli occhi, cercando di capire dove mi trovassi.
Il tendone bordeaux alla mia sinistra era leggermente spostato, permettendo ad un filo di luce elettrica di oltrepassare quel suo strato spesso e di giungere fino a noi, illuminando appena la stanza, quel tanto che bastava per permettermi di vedere un paio di occhi turbinosi che mi scrutavano il viso e la sua espressione. Forse, mi sbagliai, ma mi sembró di vedere un piccolo accenno di preoccupazione, nel suo sguardo sicuro, arrogante e scontroso.
Uno sguardo poteva essere arrogante e scontroso?
Dietro la porta alla mia destra, si sentirono dei passi metallici, come quelli della sera prima.
Il cambio del turno di guardia.
Avevamo poco tempo a disposizione, per cercare di parlarci, prima che qualcuno avesse potuto sentirci. Ma parlare di cosa? Ragionare con lui era inutile.

"Buongiorno, Bella Addormentata." esordí, confermando i miei pensieri su di lui.
Razza di vampiro presuntuoso.
Non ero la Bella Addormentata, nè la sua principessa.
Ora, capivo perchè avesse usato quel nome: la Bella Addormentata era una principessa che continuava a dormire e che sarebbe stata svegliata dal principe.
Sussultai, realizzando quel concetto solo allora: in un certo senso, io ero la sua Bella Addormentata, perchè, dato il cambiamento che desiderava avere il mio corpo, per diventare vampiro, avevo continuamente bisogno di dormire; e aveva scelto il nome di una principessa, per salutarmi, perchè credeva ancora nel suo regno, credeva che io sarei potuta diventare la sua principessa e lui il mio principe. Quanto si sbagliava.

"Non sono la tua Bella Addormentata." scandii, lentamente, per mettergli bene in testa quella cosa.
Se avesse anche solo alluso un'altra volta a quella storia, avrei ufficialmente dichiarato il mio favore per i licantropi.

"Sai, dovresti ringraziarmi." disse, in modo saccente.
"Almeno, non devi controllare un regno intero, anzi due riuniti, insieme alla persona che detesti di piú.".
La sua mano era ancora posata al petto. Notai che il buco al petto si era rimpicciolito un po'. Era inquietante.
Dimitri sembrava essere tornato in forze, il suo respiro non era pesante come quello del giorno precedente, riusciva a parlare senza troppa fatica e, sicuramente, ora era in grado di rimanere sveglio senza rischiare di svenire.
Stava recuperando le forze, ció significava che avrebbe potuto vendicarsi a breve. E io ero lí, insieme a lui.

"Io avrei scelto te. Ero già pronta ad essere la tua principessa. Perchè non me l'hai detto prima? Avremmo potuto risparmiarci tutto questo." mi lamentai, cercando di farlo ragionare.

"Tu non capisci, vero? Certo che no. Ormai, non esiste piú il mio regno, ma solo quello dei licantropi e degli umani. I vampiri hanno le ore contate." sospiró, sconfitto.

"Questo non è vero." protestai.
Il suo regno esisteva. Perchè non riusciva a capirlo?

"È inutile che cerchi di convincermi del contrario, perchè so guardare in faccia la realtà, al contrario di quanto pensi. Perchè pensi che, ieri, ci fossero anche umani, a quella festa? I licantropi hanno bisogno di seguaci. E quali seguaci migliori dei ribelli? Certo, sono difficili da domare, poi, ma loro hanno tutte le carte in regola per farlo. E, soprattutto, hanno gli strumenti e le potenzialità per farlo.
Ormai, il mio, è un regno pieno di ribelli, nulla che tu possa controllare, nemmeno al mio fianco." disse, tutto d'un fiato, protendendosi verso di me, in un modo cosí umano che, quasi, non lo riconoscevo.

"Non tutti i tuoi sudditi sono ribelli." sussurrai, cercando di fargli capire che non avrebbe risolto niente abbattendosi in quel modo.

"Nel regno conta la maggioranza. Anche in una monarchia. Il mio è un regno ribelle. Tienilo a mente." mi zittí, folgorandomi con lo sguardo, piú di quanto avesse mai fatto fino ad allora.
Sembrava ci tenesse molto al suo regno, ai suoi sudditi. Eppure, con me, non si comportava cosí premurosamente come sembrava intenzionato ad essere.
La nostra conversazione venne interrotta dallo schianto di una porta, quella affianco a me, che, per fortuna, si apriva all'interno verso destra e non verso sinistra, altrimenti mi avrebbe schiacciata la muro. Di certo, non un bello spettacolo.
Mi arrivarono subito alle orecchie i tacchi alti e fini della sera prima, con il loro rumore sordo.
Sia Dimitri sia io ci girammo verso la porta, in attesa di vedere chi sarebbe entrato, anche se entrambi sapevamo che una sola persona avrebbe potuto indossare tacchi altissimi ed avere una sicurezza come la sua.
Un vestito rosso, stretto ma lungo, coperto da un mantello altrettanto rosso, fece capolino dalla porta, insieme al rumore sordo dei tacchi di poco prima. Una treccia rosso-ramata, che cadeva sulle spalle della ragazza, ci annunció definitivamente il suo arrivo.
Miss. Mantello Rosso, come l'avevo soprannominata mentalmente io, entró come una furia nella stanza, diretta al lato opposto della cella, dove si trovava Dimitri, che la guardava senza fare una piega, anzi, con atteggiamento di sfida.
Ma che fai? Ti farai ammazzare!
La ragazza non aspettó molto, prima di infilare una mano sotto il mantello rosso.

"Allora, pronto per la razione di oggi?" chiese, con un sorriso beffardo sul volto.
Dimitri ricambió il sorriso.
Se avessi potuto, l'avrei preso a schiaffi: perchè cercava di mettersi nei guai in quel modo?

"Avresti intenzione di farlo di fronte alla tua amata?" chiese, ufficiando la sua sfrontatezza e la sua mancanza di prudenza.
Sta' zitto!
Non mi sfuggí, peró, quel la tua amata.

"Sai che non mi faccio scrupoli." rispose la ragazza, poi agí.
Tiró fuori dal mantello un appuntito e lungo paletto di legno, lucido, e lo alzó contro Dimitri.
No!
Era troppo tardi: la punta aguzza del paletto colpí e fendette il petto già abbastanza martoriato di Dimitri, colpendolo alla destra del buco nel suo petto.
Il vampiro spalancó gli occhi, ma non urló.
Il legno del paletto si sporcó di un colore rosso scarlatto, creando un altro buco, quando si levó dal corpo del vampiro.
A questo punto, l'urlo di Dimitri si sentí, eccome se si sentí, accompagnato dal corpo agonizzante del vampiro, che si contorse, non appena l'ultimo pezzo di legno uscí dal nuovo buco creatosi.
Quell'urlo mi scosse, mi fece rabbrividire, urlare, piangere, girare la testa, portare le mani alla bocca dalla sorpresa.
Sembrava che Dimitri stesse per cadere a terra, senza vita, ma non lo fece: si appoggió sui gomiti e sputó sangue sul pavimento di pietra, tossendo.
Il mio cuore batteva troppo velocemente, per starci dietro, il mio corpo si strinse contro il muro, mentre vedevo che i suoi canini crescevano, crescevano davvero, bianchissimi e lucidissimi, troppo affilati per essere innocenti canini.
Emetteva versi gutturali profondi e rochi, quasi mostruosi. Sembrava che, dentro di lui, vivesse un qualche tipo di mostro.
Fu come essere colpita io stessa dal paletto di legno: Dimitri si giró verso di me, ad una velocità tale da farmi girare la testa.
Poi, peró, scosse la testa.
A quel punto, la ragazza prese un coltellino, quello del giorno prima, e mi prese un braccio, quindi mi fece un taglio sull'avambraccio.
Strinsi i denti per non urlare.
Guardai spaventata Dimitri quando cominció a ringhiare, i canini belli in vista e gli occhi spaventosamente aggressivi. Si tiró su, a sedere, con una forza che non proveniva da lui.
Improvvisamente, si prese il collo con le mani, urlando, agonizzante e contorcendosi su se stesso. I suoi occhi erano chiusi, ma avvertivo la sua sofferenza.
Ora, capivo perchè mi avevano messo in una stanza con il mio presunto alleato: qualora mi avessero fatto del male, Dimitri avrebbe sofferto, non volendomi nè mordere nè uccidere.
E solo allora capii lo sforzo immane che aveva compiuto il giorno prima, sul palco, contenendosi dal mordermi, davanti a tutti.

"No!" urlai, allungandomi verso di lui con il braccio sano.
La ragazza mi prese per quel braccio e mi fece alzare in piedi, perentoriamente, poi mi tenne per il bacino, mentre mi allontanava da Dimitri, in preda alle convulsioni.
"No! Fatelo smettere!" urlai, cercando aiuto.
Fummo fuori prima che potessi anche solo capire che stavo camminando all'indietro, su ordine e forza della ragazza.

"Ora, andiamo a prendere lezioni di galateo." mi sussurró all'orecchio quest'ultima.
Ormai, non capivo piú niente.

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