Capitolo 19

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James entró nella stanza, chiudendo la porta dietro di sè con cura, con debolezza.
Quando mi guardó, la scintilla di speranza nei suoi occhi era sparita. Sembrava solo stanco.

"Lilith," disse, avvicinandosi al letto, "mi dispiace.".
Si sedette sulle coperte chiare, come se avesse paura di spiegazzarle o sporcarle. Forse entrambe le cose.
La sua mano scivoló sulla stoffa ruvida, fino ai miei piedi nudi, che cercavano il caldo, tra le coperte e la felpa, troppo corta per poterli coprire. Le sue dita erano ruvide e morbide allo stesso tempo, fredde e calde contemporaneamente. Entrambi i nostri occhi osservavano il movimento delle sue dita tremanti e leggere.
Appena queste toccarono la mia gamba, sentii i la pelle d'oca: mi aveva già toccata in quel punto. No, piú in alto. Mi aveva toccata in un punto solo nostro. Solo mio.
Sul suo viso apparve un sorriso debole, di tristezza.
Lo guardai, aspettando che proseguisse.
Lui prese un attimo per riordinare le idee, poi continuó con il suo discorso.
"Non penso...mi dispiace. Le probabilità che possano essere vivi...", la sua voce vacilló, "sono molto poche, quasi nulle. So che puó essere dura, ma bisogna affrontare la cosa.".
Un sottile velo di lacrime ricoprí i suoi occhi già di per sè tristi.
Sapevo a cosa stesse pensando: non si preoccupava piú di tanto di Dimitri, nè, tantomeno, di Mike; era Sylver la persona a cui stava pensando.
Anche se non le aveva mai rivolto piú attenzioni di quel che avrebbe meritato la mia migliore amica, le aveva voluto bene. Forse aveva provato anche di piú, per lei. In ogni caso, non avrebbe potuto piú dirle niente. Questo lo sapevamo entrambi.
Mi abbracciai le ginocchia, stringendole al petto. Piú schiacciavo, piú mi mancava aria, ma non ne sentivo molto la differenza, perchè era da giorni che mi sentivo priva di aria, attorno a me.

"Ho visto Mike." sussurrai, guardando la sua mano ferma, sulla mia gamba.
Non osavo guardarlo negli occhi, sapevo che i suoi erano spalancati e stavano pensando che fossi pazza. In effetti, non mi sentivo piú io da un po'.

"Cosa hai visto, esattamente?" mi sorprese, ponendomi quella domanda come se fossi stata una bambina che si confida con la mamma, dopo aver avuto un incubo.
Alzai la testa, quasi indignata.

"L'ho visto, James. Perchè non mi credi?" sussurrai, a denti stretti.

"Perchè so cos'ho visto. E ho guardato la tua stessa finestra per tutto il tempo che l'hai guardata tu.
Lilith, forse sei stanca." ipotizzó, come cercando di risolvere un problema.
Lo fulminai con lo sguardo, non credendo alle mie orecchie.

"Mi credi pazza?!" alzai il volume della voce.
Non potevo crederci: proprio James stava rivolgendo simili accuse contro di me?
Pazza?!

"Lilith, vieni giú?" chiamó papà, dal piano di sotto, interrompendo quella litigata.
James ed io non avevamo ancora litigato veramente, ma l'avremmo fatto presto, se non ci avesse interrotti mio padre.
Scesi dal letto con una velocità tale da farlo rimbalzare, attenta a non rovesciare la cioccolata rimasta nella tazza, cioè quasi tutta.
Spalancai la porta e mi fiondai giú dalle scale, appoggiandomi con la mano libera al muro, per mantenermi in equilibrio, dopo lo slancio.
Scesi le scale pesantemente, arrabbiata sia con James sia con papà, per essersi intromesso.

"Cosa c'è?" domandai, stizzita, ancora mentre ero sulle scale.

"Perchè c'è la mia bottiglia di vino preferita sul tavolo ed è stappata?" chiese papà, severo.
Era un tono che non accettava scuse e sapevo anche perchè: una sua mania era sempre stata quella del vino, piú per collezione. Teneva tantissime bottiglie, anche vuote, di tutti i tipi di vino, di cui io non sapevo minimamente il nome. Ecco perchè mi aveva detto solo bottiglia di vino, risparmiandomi il nome completo di quel liquido denso.
Scesi completamente le scale, avvicinandomi al tavolo della cucina, su cui c'era una bottiglia e, lí vicino, il suo tappo. Davanti alla bottiglia, c'era una sedia spostata, girata verso le scale. Quella sedia era quella di papà.
L'odore dell'alcol, gli occhi annebbiati e la disinvoltura con cui beveva James mi invasero la memoria.
Per un attimo, mi mancó il respiro. Spalancai gli occhi. Mi girai di scatto, verso James, che era esattamente dietro di me, sconvolta.

"Eri ubriaco?!" gridai, con una forza, nella voce, che non sapevo nemmeno di avere.
Dal canto suo, James si limitó a spalancare gli occhi a sua volta, sbiancando lentamente, ma inconfondibilmente, mentre realizzava ció che stavo realizzando anch'io, in quel momento.
Eravamo andati a letto insieme.
Mi aveva preso qualcosa che mi apparteneva.
Io l'avevo accettato per mio volere, perchè lo amavo.
Lui l'aveva fatto solo perchè era stato ubriaco.
Un senso di nausea mi attanaglió lo stomaco, i polmoni, la gola, la bocca.
Mi portai una mano alla bocca, per evitare di...urlare? Singhiozzare? Vomitare? Non lo sapevo nemmeno io. Sapevo solo di avere dei fortissimi giramenti di testa, insieme ad un desiderio di urlargli contro, di piangere, di tornare indietro nel tempo di poche ore, quelle che bastavano per non commettere quell'enorme errore.
Gli avevo dato una delle mie cose piú preziose. E lui l'aveva sprecata.
Cercai di prendere aria, con la bocca aperta ed il labbro tremante. Lo guardavo negli occhi, ma lui non sapeva fare altro che guardare incredulo, o spaventato, la bottiglia stappata, sul tavolo.
Sentivo le lacrime che bruciavano, avrei voluto farle cadere a terra, ma rimanevano attaccate ai miei occhi stanchi.
Il gusto della cioccolata mi tornó in bocca, come un getto d'acqua, facendomi muovere dal punto in cui mi ero fermata, sconvolta.
Ritrovai subito la strada per il bagno al pian terreno. Mi chiusi dentro velocemente ed aprii l'asse del water, svuotandomi di quel poco che avevo mangiato negli ultimi giorni.
Mi sentivo vuota. Mi sentivo debole. Sudavo. Ogni parte di me, dalla pelle al sangue, era quasi un rimpianto. Sarei voluta tornare indietro nel tempo.

Non venne nessuno ad aiutarmi, perchè, nella furia, avevo chiuso a chiave la porta.
In ogni caso, non mi serviva nessuno. Una delle poche persone a cui avevo chiesto aiuto mi aveva privata di qualcosa di estremamente importante, senza nemmeno chiedermi scusa.
I maschi sono tutti uguali.
Mi rannicchiai contro la porta di legno, chiara come il mio viso, abbracciandomi le gambe; poi, nascosi il viso contro le gambe.
A quel punto, il mio viso cominció a bagnarsi, dapprima lentamente, poi sempre piú velocemente, inondando la felpa di James.
Se non fosse stato per il fatto che sarei rimasta nuda, l'avrei strappata.
Qualcuno bussó, lievemente, alla porta.

"Vattene via!" urlai.
Chiunque fosse stato, non avrebbe avuto la mia attenzione, nè mamma, nè papà, nè Theo, nè Priscilla, nè, tantomeno, James.
Dovevo essere sembrata convincente, perchè, poco dopo, sentii dei passi leggeri allontanarsi dalla porta del bagno.

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