Settembre

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Settembre ha sempre quell'aria di assurda malinconia.
Il caldo stava lasciando lo spazio al vento e alla pioggia. Le vacanze alla routine quotidiana. Io tornai ad insegnare danza e Zumba nella palestra dove Maya faceva la segretaria. Fabrizio stava concludendo il suo tour. Mio padre era tornato insieme alla madre di Aurora. Benedetta. Aurora aveva scoperto di aspettare una femminuccia, Sara. Federica cominciò a uscire con Mirco, il cameriere che l'aveva aggiunta su Facebook. Il mese precedente avevo conosciuto la famiglia di Fabrizio. Anche Libero e Anita. La sua ex compagna, Giada, sembrava molto carina. Non saremmo diventate migliori amiche, ma almeno saremmo andate d’accordo.
Uscendo dalla palestra sentii una sensazione strana. Stava per succedere qualcosa. Salii in macchina con quella sensazione che mi stringeva il petto facendomi respirare a fatica. Percepii un’aria strana sotto casa. La strada era insolitamente poco trafficata. Il silenzio si poteva toccare per quanto era forte. Cercai le chiavi in borsa. “Apro?” chiese una signora dietro di me, “grazie” risposi. “C’è stato un rumore come se è scoppiato qualcosa e poi silenzio…” spiegò la signora,  “ci sono le sirene” dissi entrando. Per pochi minuti si sentì il suono di più sirene. Entrai in ascensore con la signora. “Piano?” chiesi educatamente, “quinto” rispose la signora sorridendo. La accompagnai al suo piano. “Vuole una mano a salire?” chiesi sorridendo, “no, grazie cara” rispose uscendo. “Buonasera” mi salutò chiudendo la porta dell’ascensore. Scesi al piano inferiore. Entrai in casa con il telefono di casa che squillava. “Papà” risposi stanca, “Ninni, come stai?” chiese con voce squillante, “tutto bene, tu?” chiesi sedendomi a terra davanti alla porta per togliermi le scarpe. “bene…” una voce fuori mi fece sconnettere dal discorso, “Salvatò, ne parliamo domani, ora sto andando a casa” una voce fin troppo familiare. “Papà ti richiamo” attaccai aprendo la porta. Fabrizio era davanti a me, aveva un labbro spaccato e sangue sulle mani, la maglietta grigia era piena di sangue sulla palla. “Fabrizio” sussurrai lentamente. “Nicole, rilassati” disse sedendosi su una sedia. Chiusi la porta seguendolo. “Che è successo?” chiesi inginocchiandomi, “un coglione mi è venuto addosso, stava andando contromano… è scoppiato l'airbag. Lo sportello del passeggero è entrato tutto dentro, il muso non c’è più” spiegò, “aspetta” andai in bagno a prendere il disinfettante con dei batuffoli di cotone. Mi seguì in bagno mettendosi dietro di me, aprì l’acqua del lavandino e si lavò le mani togliendo il sangue. Mi girai baciando la sua guancia. “Siediti” dissi indicando la tazza, posai il batuffolo imbevuto sul suo labbro, “ah” spostò la testa di scatto, “brucia, lo so” dissi accarezzandogli i capelli. Lui sorrise. “Amore” sussurrai cominciando a disinfettare la sua spalla. “Dimmi” rispose sorridendo, “devo dirti una cosa” farfugliai prendendo la sua mano, “dimmi” mi strinse la mano delicatamente. La portai lentamente sulla mia pancia. Senza parlare. Avevo studiato un discorso diverso ogni sera. Un modo diverso per ogni situazione. Eppure le parole non uscirono. Lui mi guardò negli occhi, era emozionato. Posò la fronte sotto il mio seno baciando la pancia. “Sei sicura?” chiese rimanendo così, “sì” risposi accarezzandogli i capelli. “Hai fatto la visita?” chiese alzandosi, “sì, ho smesso di fumare… a lavoro mi stanco più velocemente. E a volte mi devo fermare. Ma è tutto a posto” risposi scrollando le spalle. Mi abbracciò forte, ricambiai. “Domani lavori?” chiese baciandomi la fronte, “sì, come il resto dei giorni” risposi sciogliendo l’abbraccio. “Perché? Non puoi stare a casa?” chiese seguendomi in cucina. “No, non è prevista maternità nel mio contratto” risposi sorseggiando l’acqua nel bicchiere. “Per quale motivo?” chiese posando la schiena al muro, “perché non ho un contratto, e comunque dato che non ho eseguito prestazioni non vengo pagata” dissi posando il bicchiere nel lavandino. “ed è indispensabile che tu lavori?” chiese stringendomi fra le braccia, “sì. Non voglio chiedere niente a nessuno, e poi voglio farlo fin quando riesco” risposi baciandolo, “va bene, ordino la pizza?” chiese baciandomi il collo, “va bene” risposi cercando disperatamente una felpa. “Che cerchi?” chiese avviando la chiamata. “Una felpa” risposi alzandogli la mano posata sullo schienale della sedia. “Se me lo dicevi te la passavo, e comunque è mia” disse ridendo, “ancora non rispondono?” chiesi infilando la felpa, lui scosse la testa avvicinandomi. “Vado a prenderle al volo. Che pizza vuoi?” chiese andando in camera da letto, “rossa” risposi seguendolo. Indossò un bermuda nero e una maglietta a mezze maniche bianca. Le scarpe da ginnastica. Prese il portafoglio infilandolo in tasca e uscì dalla stanza. “Mi porto il telefono, qualsiasi cosa chiamami.” Si chiuse la porta alle sue spalle.
“Maya” risposi al telefono sedendomi sul divano. “Nì, con Federica stavamo pensando di passare a trovarti, dopo cena o a cena” disse d'un fiato. “Come preferite. Se venite a cena chiamate Fabrizio che sta in pizzeria” dissi guardando fuori, stava piovendo. “Ok, allora sentiamo lui” disse Maya attaccando. Sentii un tuono cadere vicinissimo. Apparecchiai per quattro.
“Amore” Fabrizio mi chiamò entrando, “ei” lo raggiunsi, aveva quattro pizze fra le mani e dietro di lui c’erano Maya e Federica con un miliardo e mezzo di cose fra le mani. “Ma che è sta roba?” chiesi a Maya che stava mettendo giù uno scatolone. “Dovresti chiedere cos'ha Federica in braccio” rispose sorridente. Federica spostò la copertina scoprendo un cucciolo di Amstaff dormiente. “e lui?” chiesi accarezzando il musetto, “lei, ed è tua… i genitori di Mirco hanno l’allevamento e siccome tutti sappiamo quanto ami questa razza… abbiamo deciso di regalartelo. Fabrizio ovviamente è d’accordo” mi porse la cucciola che spalancò i grandi occhi celesti. Lei scodinzolò leccandomi il viso, “ciao” risposi ai suoi bacini. La misi giù mandandola a ispezionare casa mentre io andai in bagno a lavarmi per mangiare.
“Ma quindi l’incidente?” chiese Maya, “lascia perde” rispose Fab posando una mano sulla mia gamba, “ti sei spaventato?” chiese Maya guardandolo negli occhi, “no, però mi rode il culo per la macchina” rispose sorseggiando un bicchiere di birra, “vabbè, però meglio la macchina che tu no?” chiese Federica, “quello sì… però…” scrollò le spalle. “Dai” gli accarezzai la nuca delicatamente. Il telefono di casa riprese a squillare,  risposi rimanendo con la mano sulla spalla di Fabrizio e la sua sulla mia gamba. “Nicole, non mi hai più richiamato” mio padre sembrava preoccupato, “mi è passato di mente, è arrivato Fabrizio quando eravamo al telefono” risposi, “aaaah, volete venire a cena domani sera?” chiese dolcemente. “Va bene” risposi, “Dai, non ti disturbo… buonanotte” attaccò senza darmi tempo di rispondere. “Mio padre, domani ceniamo da lui” annunciai, “mmmh” a Fabrizio andò di traverso la birra. “Che c’è?” chiesi guardandolo, lui mi guardò di rimando, “dai, seriamente?” chiesi ridendo, “beh, tuo padre questa volta mi odierà” disse preoccupato. Dimenticammo che non eravamo soli, “Fabrì, serio, non te n’è mai fregato niente mo ti fai problemi?” chiesi sorridendo, “beh, non è una cazzata. Sai come la prende che avrà un nipote da me?” chiese fissandomi. “Perché cos’hai che non va?” chiesi incrociando le braccia, nel frattempo Maya e Federica avevano spalancato le bocche per lo stupore. “Per tuo padre sono proprio ciò che dovresti evitare. Musicista, tatuato, romano. Cresciuto a San Basilio” disse serio, “e quindi? Per me sei perfetto, e dovrà accettarlo” risposi poggiando la testa sulla sua spalla, “Ole” sussurrò, “mi ero dimenticata di come mi chiamavi” dissi sorridendo. “Scusate, abbiamo sentito bene?” Maya ci guardò, “sì” rispondemmo in coro, “sei…” Federica mi guardò, ed io annuii,  “piccola mia” Maya corse ad abbracciarmi, la strinsi anche io. Cominciò a piangere emozionata. “Auguri Fabri” abbracciò anche lui. “Auguri piccolina” Federica mi abbracciò anche lei, abbracciò Fabrizio tornando seduta.
“Kira” chiamai la cucciola prendendola in braccio. Si accoccolò su di me. “Volete il caffè?” chiese Fab accendendosi la sigaretta e aprendo la finestra. “No, ti scrocco solo una sigaretta e poi ce ne andiamo” disse Maya alzandosi. Fabrizio le passò il pacchetto. Mi misi seduta sul divano con Kira in braccio. “La porti giù tu domani mattina?” chiese Fabrizio guardandomi dalla finestra, “comincia a andà, ti raggiungo dopo” risposi ridendo. “Kira” la chiamò Fabrizio, lei scattò correndo da lui. “Vedi, quando chiamo, bisogna scattare” disse ridendo. “Credici” risposi scaldandomi le mani tra le gambe. “Kira” la chiamai battendo sul divano, scattò in avanti saltando affianco a me. Feci il dito medio a Fabrizio giocando con la cucciola.
“Domani pomeriggio vieni  a lavoro?” Maya mi guardò sedendosi, “non penso” risposi accarezzando il cane sulle mie gambe, “perché?” Fabrizio mi guardò, “perché se ti serve a te la macchina te la lascio” risposi guardandolo, “no amore, al massimo mi accompagni da qualcuno che mi può accompagnare a fare i giri” rispose accarezzandomi il viso passando dietro di me, “fatti lasciare la macchina, fidati di me” Federica rise. “Perché?” chiese lui ridendo, “perché? Ha chiesto perché?” Maya si finse disperata, “il suo istruttore di scuola guida era Vin Disel, ne sono sicura” disse ridendo, “magari” bofonchiai, “eh?” Fabrizio mi guardò, “niente” risposi ridendo. “Guarda che t ho sentito” mi puntò un dito sula guancia spingendo. “Serio, Fabrì, ha preso la patente facendo lezione con i video di Fast and Furios” disse Maya ridendo. “E domani vediamo” Fabrizio mi prese il viso tra le mani spostandomi la testa all’indietro baciandomi. Passai una mano sul suo braccio. “Perché io sono zitella?” borbottò Maya. “Perché stai sempre con noi” urlò Federica scherzando. “beh, è più bello vivere relazioni sentimentali dall’esterno. Prendi solo il buono e ti convinci che l’amore è una cosa magnifica” bevve altra birra, “Dio, dobbiamo andare Maya!” Federica si portò le mani sul viso. “Buonanotte bellissimi” si alzò Maya, “ciao” mandai dei baci. Fabrizio le accompagnò alla porta salutandole.
“Vado al bagno” mi alzai. Lui annuì sedendosi sul divano. Doccia, capelli, denti, pigiama. Tornai in salone sedendomi affianco a lui. “Kira?” chiesi guardandomi intorno, “sta dormendo” indicò un fagotto di coperte. Mi abbracciò avvicinandomi a lui. “Perché ho l’impressione che mi stai evitando?” chiese vago, “non ti sto evitando” risposi guardandolo, “ma se mi stai trattando come se ci fossimo visti anche stamattina” si stava innervosendo. “Fabrì, non ti sto evitando, e poi sei venuto qui che sembravi essere tornato dal Vietnam” risposi guardandolo alzarsi. “Scusa, non sarei dovuto tornare” sbottò. “Sai benissimo che non è così” risposi rimanendo seduta, il tono piatto. “Posso sapere qual è il tuo problema? Perché sembra tu abbia un estraneo davanti…” rispose serio, “non c’è alcun problema, te lo stai ponendo tu, e sono stanca” mi alzai andando in camera da letto. “Dove vai?” chiese prendendomi la mano delicatamente, il cuore mi balzò fuori dal petto. I suoi occhi erano indagatori, stava cercando qualcosa nel mio sguardo. “Non voglio litigare” risposi con la voce tremante. “Neanche io, ma ti prego, dimmi che c’è… perché io così non ce la faccio ad andare a dormire” rispose spostandomi i capelli umidi dal viso. “Prometti che non ti arrabbi?” chiesi abbassando lo sguardo. “No” rispose alzandomi il viso con l’indice. “Allora non te lo dico” mi girai. “Nicole, se già parti con prometti che non ti arrabbi, io m’incazzo da subito. Ti conviene parlare” disse fissandomi. “Non è importante” risposi evitando il suo sguardo. Il rimorso mi stava logorando. “Cazzo Nicole, parla o esco da quella porta” urlò. Mi girai, era nero di rabbia. “Sono successe delle cose… ma non ti arrabbiare, ti prego” lo pregai. “Troppo tardi” rispose incrociando le braccia. “La prima è che ho perso l’anello che mi avevi regalato” dissi chiudendo gli occhi per non vedere la sua reazione. Una risata isterica riempì l’aria. “Cioè tutto ‘sto casino per un cazzo di anello? Dimmi che scherzi” disse fissandomi, “no, io ci tenevo” risposi sedendomi sul divano. “Spero per te che la seconda sia più grave” disse ridendo. “La seconda è che ho firmato un contratto. Giuro che il mio manager mi aveva detto che l’aveva letto” dissi guardandomi intorno, lui si mise seduto affianco a me, “e io che pensavo che mi stessi dicendo che mi avevi tradito” rise. “Non ridere, ora arrabbi di nuovo” dissi torturandomi le unghie. “Qualsiasi cosa sia, ti aiuterò. Dimmi” rispose guardandomi con preoccupazione. “Devo posare nuda per una rivista. Cioè in intimo. Ma nuda. La penale è salata. Ormai ho firmato” risposi sedendomi meglio. “Effettivamente un po’ mi da’ ai nervi” ammise. “Non ti arrabbiare” sussurrai, “dovrei avercela con te, Nicole cazzo la prima cosa che ti insegnano è di leggere prima di firmare qualcosa” disse alzandosi, “dovresti… quindi…” sorrisi,  “non lo so se sono incazzato con te” rispose guardandomi. Guardai fuori dalla finestra. I lampi illuminavano il cielo a intervalli regolari. Mi strinsi nelle spalle aspettando il tuono. Lo sentii sbuffare, mi girai ma in realtà stava sorridendo. “Che c’è?” chiesi fingendomi offesa. Lui scosse la testa guardandomi con uno sguardo strano. Dolce. Il tuono arrivò forte. Corsi verso di lui abbracciandolo. Kira ululò. “Mi hai abbracciato per il tuono o perché avevi voglia?” chiese ridendo. Mi strinse forte dandomi un bacio sui capelli. “Per il tuono. Regolare” risposi sorridendo. Mi prese in braccio stringendomi. “Non mi piace litigare con te” ammisi infilando le mani nei suoi capelli. “Sì, però Nicole… pure te” rispose ridendo. “Mi ha garantito di averlo letto lui. Che era solo un servizio fotografico. Ne ho fatti tremila” farfugliai. “Nicole, puoi fidarti quanto vuoi di una persona. Ma prima di firmare devi leggere tu. È la base” rispose tenendomi ancora in braccio. “Mettimi giù, che sei vecchio” dissi ridendo. “Vai a dormire” disse mettendomi giù. “Perché tu do’ vai?” chiesi guardandolo prendere il cellulare. “A fare una chiamata” rispose, “quello è il mio… è pure rosa eh… a meno che non sei passato a nuovi orizzonti” scherzai, “vai a dormire, ti conviene stasera” rise anche lui baciandomi. “Non la puoi fare domani la chiamata? Vorrei tanto che tu venissi a letto con me” mormorai sedendomi sul tavolo. “Devo fare questa…” lo baciai di nuovo, “ma infondo non è importante” disse stringendomi i fianchi. Con una mano mi fece stendere sul tavolo. “Poi però devi ripetere che sono passato a nuovi orizzonti come dici tu” sussurrò accarezzandomi le gambe.
“Confermi?” chiese guardandomi rimanere seduta sul tavolo. “No” scesi giù recuperando i miei vestiti. “Rimarrà tutto così quando nascerà?” chiesi baciando la sua spalla. “Vuoi che menta?” chiese guardandomi. “No” risposi tranquilla. “Non sarà così” rispose accarezzandomi il viso. Notò il terrore nei miei occhi. “sarà diverso, forse anche più bello. La passione sarà sostituita, non che non ci sarà. Cambierà. Non si potrà fare ovunque e sempre. Dovremmo essere bravi a ritagliare piccoli momenti per noi. Mantenere i nostri spazi. E le nostre piccole attenzioni. Concederci lo spazio per noi” mi baciò. “E se non ne saremo capaci?” chiesi sedendomi sul bracciolo del divano. “Andrà tutto bene. Non ti mentirò dicendo che non potrà finire. Ti prometto solo che mi impegnerò perché tutto rimanga così.” Incrociò il mio sguardo. Annuii seria. “Dai, leva questo muso” sorrise baciandomi di nuovo. “Stavo pensando ad una cosa” dissi alzandomi. “Cosa?” chiese seguendomi in camera da letto. “Dovrò lasciar perdere Vasco, Ligabue… i concerti… I spettacoli” mi buttai sul letto. “Perché?” chiese ridendo della mia testata sulla spalliera del letto. “Non ride” borbottai accarezzandomi la testa. “Dimmi” si mise seduto affianco a me, “perché se tu stai in tour e io sto in tour chi ci sta?” chiesi incrociando le braccia, “beh, mi sembra ovvio che quando sarà neonato dovrai starci tu… ma quando sarà più grande o lo porti con te o lo tiene qualcuno… Dio Nicole, tutte ‘ste pippe mentali oggi?” chiese ridendo. “Scusa, è che ho paura… fa male partorire?” chiesi guardandolo, “non ho mai provato” sorrise. “La smetti di prendermi in giro?” chiesi impaziente, “sdrammatizzare… preziosa arte” rise di nuovo. Posai la testa sul suo petto. “Sei proprio insopportabile” risi anche io. Prese il cellulare sbloccandolo, “che devi fare?” chiesi alzando la testa, “ma che voi?” chiese ridendo riposando la mia testa sul suo petto, “devi rispondermi male?” chiesi ridendo anche io. “Dormi, caspita. Non ti sopporto già più” rise. “Va bene. A domani” mi girai di spalle. “Mo’ fa l’offesa” mi abbracciò girandomi. “togliti” lo spinsi. Mi strinse fra le braccia, “orsacchiotto” mi strinse con la testa sul suo petto, “ma che cavolo…” borbottai ridendo. “Non respiro” lo spinsi, si mise sopra di me. “Non serve” rise anche lui posando la testa sul cuscino, affianco alla mia. “Non sei una piuma” lo spinsi in vano. “Che palle! Stai zitta” mi strinse. “Ma che ti è preso” gli accarezzai i capelli tenendolo fra le braccia. “Mi sei mancata tantissimo” sussurrò sul mio collo. “Amore” risposi baciandolo. Si spostò di lato dandomi la buonanotte e si addormentò come un bambino.

“Buongiorno” lo salutai versandomi il succo di frutta nel bicchiere. “Buongiorno” mi baciò dolcemente sedendosi. “Come va?” chiese versandosi il caffè. “Bene, tu?” chiesi sedendomi affianco a lui. “Bene” rispose sorseggiando il caffè. “C’è il sole” guardai fuori la finestra. Eravamo silenziosi più per il sonno che per altro. Ci andammo a preparare. Indossai pantaloni neri strappati sulle ginocchia, una maglietta bianca a maniche corte e un giacchetto di pelle. Dtt.r Martens nere e occhiali da sole. “Scusa, girati un attimo” Fabrizio mi fece girare. Sbottammo a ridere. “Mi hai copiato” disse fingendosi arrabbiato. “Tu” risposi prendendogli il viso, lo baciai. Sapeva di dentifricio e sigaretta. “Hai fumato” dissi puntandogli un dito sul petto, “che voi, mica non devo fumare pure io” rise spingendomi. “Vabbè, per solidarietà no?” chiesi prendendo le chiavi della macchina. “Ciao Kira” salutai la cucciola dandole un buffetto sulla testa. “Muoviti” Fabrizio mi tirò ridendo. Uscii di casa chiamando l’ascensore. “Fabrì allora…” il vicino uscì dalla porta,  “guarda, devo scappare. Chiamami stasera” Fabrizio entrò subito in ascensore, lo guardai basita seguendolo. “Che bisogno impellente hai?” chiesi incrociando le braccia mentre lui premeva il tasto per scendere. “Niente in particolare” scosse le spalle, “e allora perché non ti sei fermato?” chiesi alzando un sopracciglio, “perché vuole lamentarsi di qualcosa ed io non lo sopporto” rispose uscendo dall'ascensore. “Pessimo” scossi la testa seguendolo fuori al portone. Mi bloccai vedendo la macchina nera parcheggiata davanti a me. Era praticamente distrutta. “Fabri” indicai la macchina, lui annuì. Come faceva a star bene, se quella macchina era totalmente distrutta. Gli presi la mano camminando affianco a lui. “Non l’hai mai fatto” mi guardò sbattendo gli occhi. Sorrisi stringendola. Aprii la macchina porgendo le chiavi a Fabrizio. “No, tu… vediamo un po’” rise salendo al posto del passeggero.  “Ti fidi?” chiesi ridendo, “beh, oltre a qualche strisciata la tua macchina è integra no?” chiese ridendo anche lui. Si allacciò la cinta. Lo imitai ed uscii dal parcheggio.
“Per ora niente male” disse dopo un po’. “Mi sembra di star facendo le guide” borbottai ridendo. “Tutte e due le mani sul volante signorina” scherzò, “guarda ‘sta scema se me deve prende” dissi guardando lo specchietto retrovisore. Lui rise. Il semaforo era ancora rosso. La macchina dietro di me continuava ad avanzare. “Se me prendi ti meno” feci segno allo specchietto. “Nicole” mi guardò stupito. “Eh, mi sta spingendo” risposi partendo al verde. Sentii il cellulare squillare. Lo presi attivando il vivavoce. “Fè” risposi, “Nì, quando puoi vieni da me al negozio” la sua voce era strana, “arrivo, tanto stavamo in zona” risposi attaccando.
“Crì, esco a fumare” urlò Federica, rimasi ferma davanti alla porta, “ciccia” mi abbracciò forte, “che è successo?” chiesi preoccupata. “È una merda! Mirco è una merda” trattenne le lacrime, “eh?” chiesi confusa, “ieri sera quando sono tornata a casa, mi ha cominciato a mandare tutti messaggi, adesso te li leggo” disse prendendo il cellulare. “Aspetta, ma perché avete ancora il cuscino stampato in faccia?” chiese ridendo, “abbiamo dormito poco” risposi stringendomi nelle spalle, Fabrizio si accese la sigaretta. “Vabbè, il primo a mezzanotte” disse cercando di capire se la stavamo ascoltando, la guardai annuendo. “Mi chiedevo se, per caso, tu scoprissi che sono sposato? E ha fatto la faccina che ride con le lacrime” spiegò, “ho risposto: ti rovinerei. Ovvio” era nera di rabbia, “e poi ha risposto dicendo: addirittura? Mi spaventi. Non ho più risposto. Stamattina è venuta una cliente. Indovina?” chiese indicandomi, “cosa?” chiesi confusa, “è la moglie” Fabrizio mi guardò, “dai, è palesemente uno scherzo! Dopo averti fatto quel discorso spunta la moglie qui? Dai” mi misi seduta su un vaso. “Nicole” Cristina la collega di Federica mi salutò, “ciao bella” la salutai, “come stai?” chiese accendendosi la sigaretta. “Bene” risposi posando la testa sul fianco di Fabrizio. Lui allungò la mano accarezzandomi la guancia. “È lei?” una donna si avvicinò urlando seguita da un uomo. “Qual è?” urlò avvicinandosi. “Lei?” mi indicò, “scusi?” chiesi alzandomi. “Voglio sapere qual è la zoccola che si è portata a letto mio marito” urlò. “Scusi, io non sto urlando. Come nessuno di noi” risposi pacata. “Dimmi chi è” urlò di nuovo. “Non credo di essermi spiegata” dissi tirando un sospiro. Lei mi si avvicinò al viso. “Spostati prima di subito o ti metto al posto dell’insegna” dissi mentre una mano mi tirava. “Tanto ho capito che sei tu, ce l’hai la faccia da puttana” disse avvicinandosi ancora di più, “che hai detto?” chiesi scattando in avanti, Fabrizio mi tirò. “Nicole” mi prese la mano bloccandomi. “Ah, non sei Federica” disse con aria di scuse. “Eh, no” tuonai. Fabrizio sembrava più arrabbiato di me. “Sono io” Federica guardò Mirco schifata. La donna cominciò a urlare. Entrai dentro al negozio. “Ciao ragazze” salutai le nuove stagiste. “Ciao, ha appuntamento?” chiese una ragazza di loro. “No, ma Federica ha tempo?” chiesi andando dove prendevano appuntamenti. “Sì” rispose un’altra. “Quanto?” chiesi guardando Fabrizio fuori. Stava difendendo Federica. Sorrisi. “Più o meno tre ore” rispose guardandomi. “Segnami. Metti mani due ore” dissi sedendomi sulla sedia. “Te la chiamo?” chiese la prima che mi aveva parlato, “no, tranquilla tesoro” risposi sorridendo. Federica entrò dentro furente. “Ti devi fare qualcosa?” chiese guardandomi rimanere seduta. “Ti stupisce?” chiesi seguendola in cabina. “Andiamo di cera” disse guardandomi spogliare, “e va bene” risposi infilando lo slip monouso. “Guardami” sussurrai, lei si girò, “ti ha difesa?” mossi le labbra salendo sul lettino, lei annuì sorridendo.
“Che colore vuoi fare?” chiese Federica sedendosi difronte a me, Fabrizio mi guardò. “Vieni qui, mio amore” dissi ridendo, lui si alzò avvicinandosi. “Ti porto una sedia?” chiese una stagista, lui scosse la testa. “Che colore faccio?” chiesi guardando la palette. “questo” indicò un pesca molto delicato. “Vada per questo… aspetta però… me lo posso fa?” chiesi ritirando la mano, lei sorrise. “Sì” rispose tranquilla. “Cucciolo” accarezzai il fianco di Fabrizio. Lui sorrise giocherellando con i miei capelli. “Maya” disse Federica guardando la porta. “Qualcuno apre la porta?” urlò. Le ragazze corsero alla porta accogliendo Maya. “Tranquille, non sono una cliente” disse camminando verso di noi. “Prima cosa… avete dormito in lavatrice? Guarda che facce” si riferì a me e Fabrizio, ovviamente. “Seconda cosa, dove stanno ‘sti due deficienti? A lei una manata in faccia e a lui un calcio sui gioielli” disse prendendo la sedia e avvicinandola a noi. “A che ora vi siete addormentati?” chiese guardandoci con aria maliziosa, “alle tre e mezza forse, anche quattro” ammisi guardando Fede lavorare. “Vedi? A che serve stare in coppia?” chiese Maya fissando Federica. “Non voglio sentire parlare di coppie per almeno due millenni” disse ridendo. Sentii il cellulare squillare. “Sta in borsa” guardai Fabrizio affianco a me. Accettò la chiamata avvicinandomi il telefono all’orecchio.
“Pronto” risposi. “Ciao Nicole, volevo parlarti di quel minimo problema del contratto” il mio manager parlò, scaturì una reazione pelle d'oca facendomi innervosire all’istante. “Minimo problema? Mi hai fatto firmare un contratto che sapevi benissimo non avrei accettato. Risolvi questo problema prima di domani. Altrimenti con me hai chiuso” il tono uscì pacato con sommo stupore. “Credo di aver risolto, ho contattato l’azienda e mi ha detto che puoi pagare la penale o altrimenti, posare con i capi dell’azienda” sembrava agitato. “Mi sembra ovvio! È quello che è scritto nel contratto! Se mi devi prendere per il culo ulteriormente, la chiamata finisce qui” alzai il tono della voce. “Non per forza in intimo” rispose alzando anche lui la voce. “Sai che c’è? Che ti ho mezza giornata per risolvere al meglio. Senza contattarmi. O te ne vai a casa e mi paghi tu la penale” dissi attaccando. I presenti mi guardarono tra la confusione e lo stupito.

Un amore è reale quando torna. -Fabrizio Moro-Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora