Capitolo 27

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Breve ma intenso, si dice. Proprio come la nostra gita al campeggio, siamo tornati da qualche giorno ed è tutto cento volte più stressante di prima.
<<Allora? Te l'ha data?>> Harry sbuca dal nulla affiancando il mio armadietto.
Lo spintono scuotendo la testa.
<<Smettila di parlarne. So come sei fatto. Va a finire che le dici che te l'ho detto.>> lo rimprovero.
<<No che non glielo dico. Era giusta la mia ipotesi?>> prendiamo a camminare per il corridoio. <<Non ti dirò nulla.>> sollevo le spalle.
<<Come no?! Allora ti servo solo al momento del bisogno?!>> mi spinge, facendomi colpire un ragazzo che passava di lì per i fatti suoi.
<<Sono cose private e già ti ho detto troppo.>> lo saluto e vado a casa.

Nel pomeriggio decido di andare a trovare Jessie.
<<Ma tu sai di avere una casa vera e propria?>> le chiedo ironico una volta raggiunta la casetta di legno.
Le lascio un bacio all'angolo della bocca.
<<Meglio non averla..>> sussurra, riponendo il suo computer nella borsa.
<<Non dirmi, oltre ad avere un mostro nella tua stanza, ci sono i fantasmi che girano per casa..>> mi fingo stupito spalancando gli occhi, rubandole un sorriso.
<<Può darsi.. Comunque, questo weekend torna ED!!>> esclama euforica, questa volta è lei a rubarmi un sorriso.
<<Come mai "ED"?>> curioso.
<<Eiden Duncan, Sapientino!>> mi da un colpetto alla fronte.
<<Quando ci siamo trasferiti, avevamo questa fissa di un'identità diversa dall'originale.. così io iniziai a chiamarlo ED, lui JD me..>> conclude tirando dei fili di stoffa dalla sua coperta.
Mi guarda dritto negli occhi per quelli che credo minuti.
<<Non ti ho abbandonato perché volevo.. sono dovuta andare via.>> si passa una mano dietro il collo.
<<Ti ho già detto che non devi avere fretta..>> annuisce distratta e mi lascia un tenero bacio sulla guancia.
Mi volto piano fino a fare sfiorare le nostre labbra, la guardo e per la prima volta è lei ad un unire le nostre labbra per prima.
Le dita si mescolano tra i miei capelli, la sua lingua batte piano sulle mie labbra.
Con le mani le apro le cosce, i palmi delle mie mani come attratti da una calamita si appiattiscono sui suoi glutei, sussulta e spalanca un po' di più la bocca, ne approfitto per andare alla ricerca della sua lingua. Stringo i palmi e lei si sposta piano più vicina per poi mettersi a cavalcioni su di me.
Con la bocca scendo sulla gola, le lascio un bacio umido alla clavicola, le mani salgono insinuandosi sotto la maglia.
<<Fermo.>> mi immobilizzo con la testa poggiata al suo petto. Vorrei ucciderla per averlo fatto ancora.
<<Ti prenderei a schiaffi oltre che a prenderti in un altro senso..>> mi volto leggermente e stringo la carne tra i denti.
<<Lo so. Scusami.. voglio anch'io farlo e non sai quanto. Ma..>> non capisco, se lo vuole anche lei, perché continua a fermarsi? Provo a baciarla, ma mi irrigidisco quando noto una lacrima solcarle il viso.
<<Hey. Perché piangi?>> passo il pollice sul suo viso per ripulirla.
<<C'è una cosa che devo dirti e che mi spaventa a morte...>> continuo ad accarezzarle il viso.
<<S-sei vergine?>> chiedo in un sussurro.
<<No! Fosse stato così semplice da spiegare te l'avrei detto immediatamente!>> mi colpisce il petto.
<<Puoi seguirmi..? Vieni.>>
Faccio come mi dice e mi porta a casa sua. La casa sembra pulita mantenuta in ordine, ha un buon profumo. È arredata perfettamente in ogni particolare, ma più seguo Jessie più percepisco la sensazione che la casa non è "vissuta". Il bello di una casa è proprio viverla, foto, souvenir dai viaggi che hai fatto. Non dico che la mia è migliore, ma io personalmente cerco di renderla il più familiare possibile.
Percorriamo un corridoio, ricco di quadri che raffigurano paesaggi, attaccati alla parete.
Apre una porta ed entra dentro la seguo. In un primo momento osservo ma non guardo. Difronte alla porta una parete nera, la finestra e sotto il letto. Di fianco un armadio. Poi mi volto verso Jessica e noto sui muri laterali tanti fogli attaccati. La stanza non è grande, e non sono i colori a renderla opprimente, bensì i fogli. In alcuni vi sono dei disegni infantili, in altri scritte, documenti. Mi volto a guardare la ragazza dai capelli corti. Il viso rivolto al pavimento.
<<Quando sono andata via, era stato detto a mia madre che potevo ammalarmi. Presto o tardi, sarebbe successo per via ereditaria, più o meno.>> solleva lo sguardo per un istante su me.
<<Sono stata controllata da diversi dottori, e le probabilità erano basse. Non c'era nulla di strano secondo i medici. Poi sono stata da un medico, il più bravo, penso. Lui ha insistito che dovevo tenermi sotto controllo. Così mia madre in un primo momento si è infuriata con il dottore. Secondo mio padre era il momento di andare a chiedere parere altrove, e in quel momento più che mai dovevamo stare uniti..>> tira su con il naso e solo adesso posso capire che sta piangendo.
<<Mia nonna era stata curata a New York, mia zia Josie.. così mio padre convinse tutti ad andarcene.>> fa un passo indietro come a voler lasciare la stanza, ma resta sulla soglia.
<< i primi anni sono stati duri, volevo sempre chiamarti, mia madre continua ad inventarsi delle scuse, "non risponde nessuno, sono al lavoro".. poi questa -si avvicina ad una radiografia appesa alla parete che non avevo notato prima- dopo questa, non ho capito più niente. Tutto buio, sola. Dolore, lacrime, nessuna speranza, mi sentivo come un anima morta nel mondo dei vivi.>> tira la radiografia che svolazza e finisce al centro della stanza.
<<Quell'uomo.. il dottore.. era mio padre?>> riesco solo a chiedere. Non oso dire altro per paura di dire troppo. Ma anche ciò che ho detto mi sembra inopportuno e di troppo.
Annuisce.
<<Loro.. avevano litigato. Per questo non ci facevano parlare insieme?>> annuisce ancora una volta. Mi sento tremendamente in colpa per quello che hanno fatto. Per colpa loro non sono riuscito a starle vicino.
Mi avvicino al foglio buttato sul pavimento poco prima.
Lo osservo attentamente, è il busto, si nota la colonna, la cassa toracica e altre varie ossa. Una macchia al seno destro.. mi cade il foglio dalle mani. Senza accorgermene la vista mi si appanna e le guance si bagnano.
Sussulto quando una mano si poggia sulla mia spalla.
Non so che dire, che fare. Mi volto e noto la ragazza corrugare la fronte e guardarmi interrogativa, come ad attendere risposta.
<<Tumor->>
<<Mi dispiace così tanto.>> mi abbandono alle sue braccia.

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