1-TESSA

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«Fammene un altro!», gridai al barista il quale mi stava guardando con aria divertita mentre mi passava il sesto bicchiere colmo di Tequila.

Lo afferrai tracannando il liquido trasparente che mi bruciava la gola. Wow, era semplicemente fantastico.

Mi voltai osservando la sala piena di luci colorate e sconosciuti, che mi circondava. Come c'ero arrivata lì? E soprattutto perché non lo ricordavo? Non aveva importanza.

 Riportai l'attenzione sul barista dagli occhi chiari e gli feci un sorriso sghembo. «Lo sai cosa ti dico? Sei bellissimo!» sbiascicai e lui ricambiò.

«Davvero lo pensi piccola?» chiese e io annuii sicura di ogni mia parola.

Appoggiò entrambi i gomiti sul bancone d'acciaio e si sporse di più verso di me. «Allora ti do un consiglio, chiama un taxi e fatti venire a prendere.»

Scossi la testa energicamente. «No, assolutamente no! Voglio ballare!», gridai alzando le braccia al cielo e ridendo come una cretina.

La musica attorno a me mi riempiva le orecchie e l'alcool che avevo in corpo mi aiutava ad attutirne l'effetto. Mi spostai barcollando sulle mie scarpe costosissime al centro della pista, dove riconobbi una testa amica. Luisa era avvinghiata ad un tizio tatuato che le stava praticamente succhiando le tonsille. Lasciai perdere e incominciai a ballare. Muovevo la testa a destra e a sinistra senza un senso logico, guidata solo dall'istinto.

Sentii due mani stringermi delicatamente i fianchi e sorrisi gettando la testa sulla spalla dello sconosciuto.

«Ti va di venire da me?», chiese il ragazzo che mi stava abbracciando e io annuii.

Mi prese per mano trascinandomi via da quell'afflusso di gente, conducendomi in un monolocale nella periferia di Roma. Aprì la porta di legno, trascinandomi all'interno di una stanza con un letto matrimoniale nel centro. Non feci in tempo ad osservare ciò che avevo attorno perché lo sconosciuto si avventò sulle mie labbra, baciandomi. «Non potevo immaginare di essere così fortunato e incontrare te stasera», mi sussurrò leccandomi l'orecchio.

Non capivo cosa mi stesse dicendo ma andava bene. Volevo solo divertirmi e dimenticare tutto quanto. Tutto ciò che mi circondava.

«Sono Angelo», si presentò facendomi sdraiare sul materasso morbido.

«Io Teresa», sbiascicai mentre mi slacciava il corpetto nero.

«So benissimo chi sei Teresa e, devo dire che sei proprio figa!»

«Grazie», risposi senza troppo interesse.

Era ovvio che sapesse chi fossi, proprio come ero abituata a commenti di questo tipo che su di me non facevano effetto. Non più ormai, non dopo di lui.

Mi accasciai contro il corpo dello sconosciuto il cui nome era Angelo, o qualcosa del genere, e mi lasciai trasportare, dimenticando tutto.


La luce del mattino mi feriva gli occhi come una lama conficcata nel costato. Mi alzai e il mal di testa mi colpì. Spostai lo sguardo sulla stanza chiedendomi dove diavolo fossi finita. Sentii un corpo caldo accanto a me e voltandomi vidi il volto addormentato di un uomo. Ma che diavolo...?

Due occhi azzurri si scagliarono su di me. «Ciao dolcezza», sussurrò e io ricambiai, ancora confusa da quella situazione.

Imbarazzata, mi alzai e mi rivestii in tutta fretta. Salutai Angelo e chiamai il mio autista il quale venne a prendermi immediatamente. Sospirai, accasciandomi contro i sedili in pelle della BMW nera sulla quale stavo viaggiando.

«Signorina se posso permettermi, credo che non dovrebbe girovagare in questo modo tutte le sere, insomma è pericoloso», sostenne Luciano tenendo lo sguardo fisso sulla strada.

Senza aprire gli occhi risposi. «Se non sbaglio sei pagato per portarmi in giro, non per fare supposizioni.»

Luciano non rispose, limitandosi ad annuire. «Mi dispiace signorina Minelli, le prometto che non interferirò più con la sua vita privata o pubblica che sia», giurò.

«Sarà meglio.»


Entrai nel maestoso attico nel quale abitavo assieme ai miei genitori. A dire il vero non li sopportavo proprio, sempre presi dalla loro immagine, dall'etichetta. Cos'era poi un'etichetta? Ah giusto un modo di identificare qualcosa o qualcuno.

Aprii il mio armadio fissando l'intera collezione che avevo: Valentino, Armani, Prada, Versace, Gucci... c'erano proprio tutti. Possedevo più scarpe di un negozio e i miei gioielli occupavano un'intera cassettiera di ben venti piani. Bvulgari, Damiani, Cartier... tutti ammassati uno sull'altro.

Mi spogliai e mi diressi in bagno. Aprii l'acqua della vasca e la riempii fino all'orlo. Entrai, sedendomi al centro di quel paradiso. Chiusi gli occhi mentre un dischetto dei Coloniali si dissolveva creando tante piccolissime bollicine bianche attorno ad esso. Una volta consumato, l'acqua assunse il colore verde e io mi rilassai attratta da quel profumo che mi avvolgeva.

Stavo facendo la cosa giusta?

La mia vita era uno schifo, un emerito schifo! La sola cosa positiva erano i soldi. Non avevo uno straccio di fidanzato che volesse realmente stare con me, per i miei genitori non ero altro che una seccatura ed ero certa che prima o poi si sarebbero ribellati, per quanto gliene importasse. Erano ormai quattro anni che conducevo uno stile di vita basato sul divertimento, sulla vendetta.

Per mia madre e mio padre io non contavo nulla, non valevo nulla, così una mattina avevo deciso di andare contro tutto ciò che credevano, ciò che mi avevano insegnato. Avevo iniziato a bere, ogni tanto a fumare e spesso e volentieri mi capitava di svegliarmi in letti sconosciuti. Sapevo che mi stavo in un qualche modo rovinando la vita ma non mi importava, la cosa che desideravo più di tutte era quella di ferirli, oppure di far si che si accorgessero di me.


Come il Faro nella Notte (5- The Lovers Series)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora