11-TESSA

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Erano circa le otto e trenta quando, senza sapere che fare, mi sedetti al pianoforte. Era nero, lucido e maestoso. Si trovava proprio vicino alla finestra, dalla quale entrava una leggera brezza. Il sole caldo picchiava sull'intera casa la quale si era trasformata in un forno. Fissai il salotto, le lunghe pareti bianche, ai cui lati vi erano mattoni incastonati nel muro. Il soffitto in legno, il televisore al plasma. Il tavolo enorme, il pianoforte.

Appoggiai le dita sui tasti ed espirai. Lentamente le mie dita scivolarono dolcemente sui bianchi e sui neri, perdendosi tra le note di Per Elisa.

Adoravo questa melodia, il crescere della musica, gli accordi. Mi piaceva ogni singola parte di essa.

Chiusi gli occhi, continuando a suonare.

Le mie dita conoscevano esattamente la posizione dei tasti, senza bisogno di vederli. Lo spartito ormai non lo usavo più da tempo.

Terminai la canzone ed espirai chinando la testa verso il basso.

«Però... sei bravissima», disse una voce e alzando lo sguardo notai un ragazzo sulla porta.

O meglio, il ragazzo, lo stesso che ieri sera mi aveva riaccompagnata a casa dopo avermi spaventata a morte. Non risposi, ero troppo concentrata su di lui. Aveva addosso dei jeans sgualciti e una canotta bianca larga dalla quale si vedeva perfettamente un fisico atletico.

Per la miseria...

«Cosa ci fai qui?», domandai seria fingendo di essergli indifferente.

Il ragazzo era ancora sulla porta. «Come stai?», domandò appoggiando la mano sinistra sullo stipite.

«Puoi anche entrare, non ti mangio mica», ribattei abbassando il coperchio del pianoforte.

Sorrise, facendomi sentire le farfalle svolazzare nel mio stomaco. «Aspettavo l'invito», ammise e io aggrottai la fronte.

«Cosa sei, un vampiro?», scherzai con le braccia al petto.

«No, semplicemente mi hanno insegnato ad aspettare prima di entrare in casa di sconosciuti.»

Annuii. «Capisco, comunque sto meglio grazie», sussurrai con un sorriso tirato.

Il ragazzo si avvicinò a me. Dal mio posto sembrava altissimo. Spostai lo sguardo sul suo addome e poi più in basso. In quel momento lui infilò una mano nella tasca dei jeans ed estrasse qualcosa. Nel movimento alzò la spalla, sollevando un po' la canotta e rivelando una V perfettamente scolpita che conduceva a...

Oddio, dovevo assolutamente smetterla.

«Ti ho riportato questo», disse porgendomi il mio orecchino, quello che ieri sera avevo perso.

Sgranai gli occhi e mi alzai di scatto, abbracciandolo. Lui rimase sorpreso da quel mio gesto e appena mi accorsi cosa avevo fatto, mi ritrassi bruscamente.

«Oddio, scusami è solo che sono così... così...»

«Felice?», chiese e io annuii.

Sorrise e indietreggiò. Le mani in tasca, lo sguardo fisso nel mio. Lentamente raggiunse la porta.

«Sappi che questo non cambia nulla, okay?», ribattei tornando seria.

Aggrottò la fronte. «Cosa dovrebbe cambiare? Ti ho semplicemente riportato l'orecchino che hai perso da sola», mi fece notare e io scoppiai a ridere.

«Be' grazie ancora, non so come avrei fatto altrimenti.»

«Ci credo, con quello che vale avrei potuto farmi la villa!», scherzò e io feci un sorriso tirato.

Il ragazzo si fermò e io lo raggiunsi sulla soglia. «Posso sapere a chi ho riportato l'orecchino oppure dovrò chiedertelo domani?», sussurrò scrutandomi attentamente.

Alzai gli occhi al cielo esasperata. «Perché ti interessa saperlo?», domandai seria.

Più che altro ero abbastanza sorpresa che non lo sapesse già. Come faceva a non conoscere la fantomatica Teresa Minelli?

Alzò le spalle. «Perché non dovrei saperlo? Siamo vicini, anzi sei l'unica vicina che ho. Non mi sembra una cosa così fuori dal mondo, ti pare?», chiese e io annuii.

«Sono...», stavo per dire Teresa ma mi bloccai.

Se questo ragazzo non aveva idea di chi fossi allora forse potevo iniziare una nuova vita, essere qualcun'altra.

«... Tessa.»

I suoi occhi divennero dolci e un sorriso leggero si dipinse sulle sue labbra.

«Tessa... dunque», sussurrò.

Si voltò incamminandosi verso una staccionata. Si arrampicò e la scavalcò entrando ufficialmente nel suo pezzo di terra.

«Ehi, tu come ti chiami?», gridai.

Il ragazzo si voltò verso di me e con un angolo della bocca sollevato disse: «Chiedimelo domani!»

Rimasi a bocca aperta e scossi la testa rientrando in casa. Chiusi la porta e mi appoggiai ad essa.

Ma che diavolo?

Scoppiai a ridere. Agata mi raggiunse.

«Signorina tutto bene?», chiese e per la prima volta mi resi conto che effettivamente era proprio così.


Come il Faro nella Notte (5- The Lovers Series)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora