7-TESSA

490 26 0
                                    




Mi passai la mano sotto gli occhi, togliendo le lacrime incastrate tra le ciglia. Mi sentivo sporca, ero sporca.

Che diamine mi era successo?

Ero seduta a terra nel bagno sudicio e la sola cosa alla quale pensavo era che volevo tornare a casa mia. Non capivo cosa ci facessi lì. Cosa mi era accaduto? Attorno a me tutto si faceva sfuocato e più cercavo di ricordare qualcosa più la mia mente veniva cancellata come il gesso sulla lavagna. A fatica mi alzai, sentendo le gambe tramare e cedere. Chiusi gli occhi e ritentai, riuscendo finalmente a raggiungere la porta del bagno. Lentamente l'aprii e venni immediatamente investita dall'odore di alcool, fumo, e sudore. La musica era assordante e le luci mi causavano dolore agli occhi e alla testa. Mi premetti forte le mani sulle tempie senza riuscire a far smettere quella sensazione che cresceva in me. Che qualcosa era andata male, che io ero il male. Ci misi tutta la mia forza e aprii gli occhi senza però riuscire a vedere la mia amica. Decisi di scriverle un messaggio breve ma conciso su dove stessi andando, ovvero a casa. Uscii da quell'inferno e presi un taxi. Finsi di non notare lo sguardo indagatore dell'asiatico che guidava quella macchina bianca e gli diedi il mio indirizzo senza troppo interesse. Salii in casa mia e mi accasciai a terra.

Mi sentivo male, stavo male.

Non mi ero mai sentita così.

Raggiunsi il bagno e tentai di vomitare, senza riuscirci. Improvvisamente tutto si fece confuso e caddi a terra, priva di sensi, di nuovo.


Quando aprii gli occhi mi trovai in una stanza con i neon appesi al soffitto e l'odore di disinfettante impregnava l'aria.

Ruotai gli occhi notando una flebo attaccato al mio braccio. Tentai di toglierlo ma qualcuno me lo impedì. «Sta ferma, ti serve per riprenderti», mi ordinò con tono fermo mia madre.

Mamma...

Era qui, affianco a me, mi voleva bene, era con me. Si ma dove eravamo? In ospedale, ecco dove.

«Mamma, cosa... cosa ci faccio qui?», domandai e lei scosse la testa perfettamente in piega.

«Non ricordi nulla?», chiese scorbutica.

Scossi la testa. «Non ricordo niente...», mormorai cercando di sedermi.

In quel momento un medico in camice bianco entrò e mi venne a visitare. «Abbiamo trovato dei residui di extasy nel suo stomaco, abbiamo fatto una lavanda gastrica e...»

Il suo sguardo saettò verso mia madre la quale mi fissò coi suoi occhi chiari e gelidi allo stesso tempo.

Aprii la bocca scioccata da ciò che sentii uscire dalle labbra del medico.

Due giorni dopo fui dimessa dall'ospedale.

Entrai in casa sentendomi sudicia, arrabbiata e delusa da me stessa.

Perché a me? Perché? Mia madre mi raggiunse in camera, una valigia tra le sue mani. La gettò ai piedi del letto.

«Cosa dovrei farci?», domandai con il panico nella voce.

«Riempila poi te ne vai, ti trasferirai in Toscana nel casolare e lì ti riprenderai», sentenziò con voce incolore.

«Mamma ti...»

«No! Non esiste nessun mamma ti prego. Ho chiamato tuo padre e dopo l'ultima te ne vai. Ti avevo avvisata, non ci avresti più umiliato in questo modo. Te ne andrai e, quando sarai cresciuta potrai tornare!»

«Posso... posso portare con me tutte le mie cose?», domandai con gli occhi appannati dalle lacrime.

«Certo, in questo modo non sarai costretta a tornare prima del dovuto. Verranno con te Luciano e Agata, per quanto riguarda il resto, vedi di non deluderci più», disse con disgusto uscendo dalla stanza.

Non potevo crederci, non era vero, non poteva esserlo.

I miei genitori mi avevano... cacciata? Mi ero rovinata la vita per far si che loro si accorgessero una volta per tutte di me ed io cosa avevo ottenuto? Nulla, avevo perso su ogni fronte.

Salii sulla BMW, appoggiai la nuca al poggiatesta e chiusi gli occhi protetti dietro un paio di spessi occhiali da sole.

Una lacrima mi cadde sulla guancia mentre la macchina lasciava il parcheggio sotterraneo del mio appartamento.

Le macchine affianco alla mia sfrecciavano alla velocità della luce e io mi chiedevo dove si stessero dirigendo, quali fossero le vite di chi le popolava. Se stavano raggiungendo qualcosa o scappando lontano da essa.

Sospirai e chiusi gli occhi.

Volevo solo... dimenticare, di nuovo.

Quando mi svegliai, la macchina era posteggiata davanti ad un enorme casolare di mattoni. La luce del sole batteva sulla ghiaia e i miei tacchi affondarono in essa.

Mi raddrizzai lisciando il miniabito bianco e oro di Versace. Aprii la borsetta di Gucci e tirai fuori una sigaretta. La portai alle labbra accendendola e riempiendomi i polmoni della sua essenza. Per un attimo il mio sguardo saettò attorno e notai un'unica casa poco distante dalla mia. Per il resto nulla, ero isolata dal mondo. Questo era quello che mi meritavo? Scossi la testa e riportai l'attenzione sulla mia nuova dimora. Luciano mi tese una mano e mi accompagnò all'ingresso.

Varcai la soglia di quella che mi sembrava un set per film dell'orrore e deglutii una saliva inesistente.

All'entrata c'era un salotto enorme e una cucina altrettanto spaziosa, mentre al piano di sopra c'erano due bagni e sei stanze da letto.

Luciano e Agata avrebbero vissuto al pian terreno mentre il primo era esclusivamente mio.

Scelsi la mia stanza, la più grande e mi gettai sul letto morbido.

Chiusi gli occhi e sospirai.

Li riaprii solo quando sentii qualcuno bussare alla porta. «Avanti.»

Agata apparve sulla soglia, i capelli tendenti al grigio raccolti in uno chignon basso. «Mi perdoni signorina, ma se vuole posso sistemare le sue cose, le ho preparato un bagno caldo», m'informò con un sorriso e io annuii sovrappensiero.

Mi alzai dal letto e mi diressi lungo il corridoio. Entrai nel bagno e vidi la vasca con le zampe di leone al centro della stanza. Mi voltai verso lo specchio e fissandomi iniziai a spogliarmi dei miei averi. Una volta totalmente nuda scivolai tra la morbida schiuma. Adoravo fare il bagno e in quel momento mi sembrò di essere come ad un battesimo, la mia nuova rinascita, la mia nuova vita. Con l'asciugamano attorno al corpo e uno in testa, raggiunsi la mia stanza. Mi asciugai i capelli lisci e indossai un top bianco e dei pantaloni verde smeraldo. Ai piedi i miei sandali verdi.

Se dovevo rincominciare sarei stata al meglio. Non avrei permesso a nessuno di interferire, sarei presto tornata alla mia vita, ne ero certa.

Era quasi giugno e il caldo si faceva già sentire parecchio.

Raggiunsi la cucina dove trovai Luciano ed Agata intenti in una discussione accesa. Appena si accorsero di me si ricomposero immediatamente.

Luciano si schiarì la voce e mi chiese cosa desiderassi.

«Nulla, solo cenare», borbottai raggiungendo il salotto.

«Non vuole che l'accompagni fuori?», mi domandò sorpreso.

«No, non ho intenzione di rimanere in questo inferno. Forse faccio un giro dopo, ora non ne ho voglia», sentenziai e dopo di che sparii.


Come il Faro nella Notte (5- The Lovers Series)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora