Capitolo 33: Oasi

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Con forza, forse troppa se si considera la mia abituale irruenza, spingo la porta a vetri che, al termine del corridoio del reparto di ortopedia, introduce al terrazzo che si affaccia sul giardino retrostante l'ospedale

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Con forza, forse troppa se si considera la mia abituale irruenza, spingo la porta a vetri che, al termine del corridoio del reparto di ortopedia, introduce al terrazzo che si affaccia sul giardino retrostante l'ospedale.

Alcuni divanetti di vimini, sovrastati da cuscini in tela bianca, sono disposti intorno a un tavolino basso in ferro battuto. Il perimetro del vasto balcone è percorso da pesanti vasi di terracotta, contenenti alcune piante alte dalle foglie verdi e rigogliose, le quali regalano intimità ai pazienti che vogliono respirare aria fresca e trovare ristoro riposando un po' all'aperto. Il pavimento è costituito da mattonelle rosse, le quali sembrano intonarsi ai colori sgargianti dei fiori posti in alcuni cestini.

Il mio sguardo si perde in questo angolo ameno, un'oasi in un luogo che solitamente è di sofferenza, volta a dare pace a chi è costretto a trascorrere intere giornate in ospedale. Tuttavia vengo subito distratta da un odore pungente che mi pizzica il naso. Mi volto verso l'estremità del terrazzo, dove scorgo un tavolino bianco da tè affiancato da due sedie. Su una di esse è seduto Riccardo. Indossa una giacca da camera, tiene le gambe incrociate e tra le dita ha un sigaro. Il suo sguardo era perso nel paesaggio oltre la balconata, ma, non appena ha avvertito il mio arrivo, si è concentrato su di me e ora i suoi occhi limpidi mi scrutano silenziosi e sorridenti.

Senza nemmeno accorgermene, tiro un sospiro di sollievo nel vedere il suo volto rilassato. Senza dire nulla, mi avvicino a lui con passi cauti. "Ciao" mi saluta con voce profonda, senza scomporsi, mentre un sorriso felice gli si dipinge sulle labbra. La sua espressione appare sicura come al solito, ma nel suo sguardo scorgo un accenno di meravigliato stupore, che le parole seguenti mi confermano. "Non mi aspettavo tornassi. Hai finito il turno sull'ambulanza?" mi domanda. Credo di avvertire una sfumatura di timidezza nella sua voce e non posso fare a meno di esserne sorpresa e un po' divertita, ma mi convinco non possa essere vero. "No. Sono venuta a trovarti" rispondo seria, sollevando una spalla. Ma come? Credevo volesse rivedermi – mi trovo a pensare, un po' delusa. "Ho incontrato Matias e lui mi ha detto che ti avrebbe fatto piacere" mi affretto ad aggiungere. Con stupore, vedo Riccardo abbassare il capo e lasciarsi andare in un sorriso. "E' così, infatti. Non immagini quanto" mormora e la sua voce sembra attraversarmi la pelle fino a farla vibrare, procurandomi dei brividi.

Mi fa cenno di sedermi sull'altra sedia accanto al tavolino e io obbedisco. "Come ti senti?" gli domando subito. Lui continua a sorridermi. "Sto bene" replica tranquillo. La sua voce resta bassa e appare più dolce di quanto io l'abbia mai sentita. Eppure, qualcosa mi suggerisce che Riccardo fornisca questa risposta come se fosse un automatismo, come se non distinguesse nemmeno se sia vera o falsa. Non ha l'aria disinvolta e fiera delle altre volte, sembra più fragile. "Di certo però fumare non ti manterrà su questa strada" gli faccio notare con sguardo di rimprovero, accennando al sigaro che tiene tra le dita.

Io e Mitch fumiamo da quando siamo ragazzini; lo facciamo continuamente, anche in casa, e il fumo di sigaretta non mi ha mai dato fastidio. Adesso scopro invece di non sopportare l'odore di sigaro e vedere Riccardo che ne tiene uno in mano, mentre è ancora chiaramente in convalescenza, mi innervosisce più di quanto mi sarei aspettata.

"Concedere ad un uomo alcune contraddizioni e qualche vizio gli impedisce di impazzire" mi spiega, alzando un sopracciglio e rivolgendomi uno sguardo furbo. "Che strano, mi eri stato descritto come un uomo incorruttibile e incapace di scendere a compromessi. Non so se trovare rassicurante o deludente il fatto che non sia così. Un po' volevo crederci" ribatto, rivolgendogli lo stesso sguardo di intesa. Poi torno seria: "Non potresti almeno concederti un vizio che non sia nocivo per la tua salute e che non ti comprometta?" provo, ma Riccardo mi interrompe: "Se facesse bene non sarebbe più un vizio. Tu dovresti saperlo, considerati gli uomini con cui hai a che fare" mi fa notare. Io mi arrendo con un'alzata di spalle. "Credevo tu fossi diverso" butto lì, fingendomi indifferente. Ormai però ho capito che l'orgoglio è il suo punto debole. Infatti trattengo un sorriso soddisfatto quando vedo Riccardo allontanare il sigaro da sé. Appare ancora incerto nello spegnerlo, così insisto: "L'odore mi dà la nausea." Questo basta a far sì che prema subito il sigaro contro la ceramica del posacenere.

Noto che sul tavolino è appoggiato un taccuino di pelle marrone, dall'aspetto un po' vissuto, e sopra di esso c'è la famosa penna stilografica che ormai conosco. Senza riflettere, la prendo tra le dita, sorridendo tra me. "Che c'è?" mi domanda curioso Riccardo. "E' che nessuno usa più questo genere di cose. Almeno così credevo. Ma, come ti ho detto, tu sei diverso. E mi piace; non me l'aspettavo, ma è così" confesso sincera. È la prima volta che mi sento così confidente nel parlare con lui. "Così come mi sono piaciute le parole che mi hai scritto. Seppure io le trovi del tutto inopportune, soprattutto se rivolte ad una come me" aggiungo. "Una come te?" Riccardo si acciglia; si è girato verso di me e ha appoggiato le braccia sul tavolino. "Non credo di meritare la profondità di quelle riflessioni né di riuscire a comprenderla fino in fondo" ammetto, sempre alzando una spalla. "Tu non devi capire proprio nulla" mi dice Riccardo, assottigliando lo sguardo serio. "Tu devi sentire. Devi poter sentire quello che meriti, quanto vali. Si tratta di ciò in cui gli altri finora non sono riusciti" afferma convinto. Lo osservo confusa e un po' allibita. Il mio cuore perde un battito nel capire che Riccardo ritiene di essere la persona in grado di farmi provare ciò che gli altri non sono in grado di trasmettermi. In effetti è così.

Si tira indietro sulla sedia. "Aprilo." Rivolge un cenno del capo al taccuino posto davanti a lui. Mantenendo uno sguardo interrogativo, faccio come mi dice e dentro trovo un foglietto occupato da alcune parole, scritte elegantemente.

Dietro quel seno, quelle labbra da baciare al sapore di pesca, si chiudeva a chiave e si portava dentro una piccola dispettosa bambina di cinque anni. Lei, che non voleva crescere, che non aspettava altro che le rimboccassero le coperte calde. Lei era magia incompresa, ma io l'avevo capita. – Charles Bukowski

Leggo la citazione e, quando alzo gli occhi, credo di essere arrossita e di avere un'espressione meravigliata, lusingata, ma anche diffidente. "Che significa? E' per me? Hai scritto queste cose pensando a me?" ipotizzo quello di cui tuttavia sono ormai abbastanza sicura. "Ti da fastidio?" mi domanda Riccardo, con un tono così delicato che mi porta a rispondere immediatamente. "No" lo rassicuro. Poi faccio una pausa e deglutisco. "E' che non capisco il perché." Ho il coraggio di spiegare, mentre la mia voce si fa sottile e i miei occhi si abbassano. "Perché no?" ribatte pronto e io non posso trattenere un sospiro di fronte al suo fastidioso modo enigmatico di conversare. "Perché non scrivere quello che sento e fartelo leggere, per scoprire che magari lo senti anche tu. Pensi ci sia qualcosa di sbagliato in questo?" prosegue.

Sono sempre più confusa. Ecco che la mia iniziale sicurezza si dissipa, lasciando posto ad una timidezza che non credevo mi appartenesse. E' buffo, mi sento una bambina a cui qualcuno sta facendo scoprire il mondo, godendosi il privilegio di vederlo nuovamente per la prima volta tramite lo stupore dei suoi occhi. Una bambina, proprio come mi chiama Riccardo.

"Sbagliato no. Però risulta un po' strano" ammetto. "Strano è qualcosa di diverso e tu hai detto che io lo sono. Pensavo lo intendessi con un'accezione positiva" mi fa notare lui. Ed ecco che torna ad assumere quell'espressione fiera e provocatoria che lo contraddistingue e che mi strappa un sorriso. Se non altro, sono felice di cogliere questo atteggiamento come un segnale positivo circa le sue condizioni.  

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