Capitolo 14: Incontrarsi, confrontarsi, scontrarsi

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"Mitch! Cazzo, mi ero presa male!" esclamo, non appena sento la porta d'ingresso aprirsi e richiudersi

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"Mitch! Cazzo, mi ero presa male!" esclamo, non appena sento la porta d'ingresso aprirsi e richiudersi.

La casa è immersa nel buio e sulle pareti grezze di cartongesso i lampioni della strada proiettano le ombre notturne. E' mezzanotte passata e io ho trascorso l'intera serata rannicchiata sulla vecchia e scomoda sedia a dondolo del nostro salotto, in compagnia di un cuscino morbido e di una trapunta.

Non ho fatto altro che fumare qualche sigaretta e rigirarmi tra le mani il mio accendino, tormentandomi circa dove fosse finito Mitchell e i guai in cui avrebbe potuto cacciarsi.

Inizialmente, quando questo pomeriggio sono rientrata a casa e non l'ho trovato, ho dato per scontato si trovasse al Bar, a fare baldoria con i suoi amici; così ho improvvisato un sandwich e ho cenato da sola. Man mano che le ore passavano però ho cominciato a preoccuparmi: Mitch non fa mai così tardi quando è fuori da solo. A meno che...

"Aspetta, fammi capire: non dirmi che stavi giocando? Ti prego Mitch, no! Sei rimasto tutto questo tempo attaccato alle slot?!" Mi alzo di scatto e gli vado incontro nell'angusto ingresso della nostra casa, ma lui fa in tempo ad evitarmi e si infila in cucina.

Il suo muoversi silenzioso e la reticenza nel dire qualsiasi cosa sono un chiaro indizio e un segnale d'allarme. Inoltre, l'assenza della sua solita irruenza mi fa capire l'esito della serata, che avrei potuto indovinare ad occhi chiusi: Mitch ha perso un bel po' di soldi giocando alle macchinette.

"Mitchell, mi rispondi o no?!" lo spintono, costringendolo a voltarsi.

Con le spalle basse e il capo chino, si appoggia al piano cottura un po' scrostato della nostra minuscola cucina. Si passa il dorso della mano sulla bocca e poi mormora cupo: "Ho giocato a carte con i ragazzi al Bar e ho vinto, così ho deciso di fare qualche giro alle slot. Il tempo è volato" prova a giustificarsi, ma la sua voce flebile denuncia come lui per primo si accorga dell'inconsistenza delle sue scuse.

Mi piazzo davanti a lui, ma Mitch appare schivo: si volta e continua a camminare avanti e indietro sulle piastrelle sporche. La sua tensione nervosa è percepibile: appare un animale in gabbia. Io lo afferro per un braccio e lo costringo a voltarsi di nuovo, poi gli prendo il mento tra le dita per osservarlo bene in faccia.

La luce fioca della lampada illumina il livido rossastro sul suo zigomo. "E questo come te lo saresti fatto?" lo assalisco subito con tono spazientito.

La statura imponente di Mitchell gli consentirebbe di scansarmi agilmente con uno spintone e di andarsene. Ma ciò che ho sempre riscontrato in lui è l'ostinazione a non abbandonare mai un confronto. È sempre pronto ad affrontarmi, non si tira mai indietro e io faccio lo stesso. Forse è per questo che, più che incontrarci, io e lui non facciamo altro che scontrarci.

Mitch non mente mai, non importa quanto pessima sia la verità che ha da confessare. "Quelle cazzo di macchinette avevano qualcosa che non andava. Secondo me erano truccate. L'ho detto a Jimmy e lui ha dato in escandescenza e mi ha sbattuto fuori" racconta quella che si convince essere la realtà dei fatti. Ma questa scena si è ripetuta troppe volte perché io non ne abbia memorizzato il copione. Mitchell avrà cominciato ad inveire contro le slot, creando casino, così Jimmy avrà preferito allontanarlo, reagendo al modo in cui Mitch gli si sarà scaraventato addosso.

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