Capitolo 71: Dettagli

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Trascorro l'intera giornata camminando senza meta attraverso il centro cittadino, mentre nuvole sempre più minacciose si addensano scurendo il cielo. Provo a schiarirmi i pensieri e a calmarmi, ma a quanto pare il tempo atmosferico cupo non è di grande aiuto e così continuo a camminare per non so quanto, percorrendo i margini delle strade provinciali secondarie che conducono in periferia. Verso sera inizia a scendere una pioggia torrenziale da cui non faccio il minimo sforzo per ripararmi. Senza che ne abbia coscienza mi ritrovo davanti all'elegante villa che ormai mi è fin troppo familiare. Non ho la forza né la lucidità di chiedermi il perché io sia qui e men che meno se sia giusto oppure no. Suono e attendo che l'imponente porta di ingresso decorata in ferro battuto si apra, sperando di non venire allontanata.

Non passa molto prima che Riccardo compaia sulla soglia. L'espressione inizialmente distratta si tramuta ben presto in stupore inatteso. Indossa dei pantaloni di tuta e una t-shirt aderente, i capelli castani sono leggermente mossi e porta un paio di occhiali dalla montatura scura che non mi aspettavo di vedere; gli stanno bene. Osserva i miei capelli fradici di pioggia, il volto disorientato e la felpa inumidita che si appiccica al mio fisico minuto. Me ne sto appoggiata alla colonna della tettoia di mattonelle che protegge l'ingresso. Lo guardo inespressiva e non dico nulla; non trovo le parole e, in ogni caso, non credo avrei la forza di pronunciare niente. "Entra" si limita a dire con voce roca, dopo aver scrutato attentamente il mio aspetto pietoso. 

Senza dire una parola mi prende per mano e mi conduce al piano superiore. Mentre siamo sulle scale accenna: "Usa pure il bagno per sistemarti." Con la galanteria che lo contraddistingue decide di non infierire sullo stato in cui mi sono ridotta. Giunti sul pianerottolo del primo piano faccio per dirigermi verso il bagno degli ospiti, ma Riccardo mi ferma: "Dove vai? Vieni." Mi mette una mano dietro la schiena e mi conduce verso la sua camera da letto, in modo che possa usufruire del suo bagno personale. Resto sorpresa della confidenza che mi accorda con una simile concessione, nonostante tutto.

Entro in bagno lasciando la porta aperta, mentre Riccardo cerca nel suo armadio qualcosa di asciutto da farmi indossare. Mi guardo allo specchio: Dio, come sono ridotta! Occhiaie, volto segnato e pallido, aspetto esausto. Sono un disastro!

Faccio per togliermi la felpa armeggiando con la zip, la quale però si incastra. Tento di sbloccarla, ma non ci riesco. Provo e riprovo, finchè non comincio a perdere la pazienza. I capelli mi gocciolano sul viso, provo a tirarli indietro, ma continuano a ricadermi sugli occhi. Senza neppure rendermene conto, comincio a singhiozzare e le lacrime non fanno altro che offuscarmi ulteriormente la vista. Mi sento emotivamente stremata.

Riccardo si accorge del mio pianto frustrato e sopraggiunge alle mie spalle. "Ehi, lascia faccio io" prova a tranquillizzarmi con voce pacata. Inizialmente mi rifiuto di mollare questa stupida zip, ma alla fine mi arrendo. Riccardo mi fa girare verso di sé e mi fa appoggiare il sedere contro il lavandino, dando le spalle allo specchio. Prima con delicatezza, poi con un colpo secco, sblocca la cerniera e mi aiuta a togliermi questa vecchia felpa bagnata di dosso.

Continuo a tenere lo sguardo basso, imbarazzata per l'eccessiva emotività di cui ultimamente sono preda e stanca per l'incapacità di reazione di cui sembro essere vittima, finchè Riccardo mi mette due dita sotto il mento per fare incontrare i nostri occhi. "Va tutto bene" mi rassicura serio e dolce al tempo stesso, con un tono profondo a cui non posso non credere.

Dopo che essermi lavata la faccia e aver fatto una doccia veloce, indosso un accappatoio bianco e mi guardo intorno nell'ampio e luminoso bagno di Riccardo. Senza badare a ciò che faccio, osservo i suoi effetti personali posti sui ripiani del mobiletto accanto al lavandino. Mi soffermo a studiare il set da barba, rigorosamente con lamette, schiuma artigianale e pennello e non mi trattengo dall'annusare la crema dopobarba, in cui riconosco il profumo distintivo di Riccardo. Poi ci sono il pettine e un'acqua di colonia. Sorrido tra me mentre passo delicata le dita su questi dettagli improvvisamente così intriganti, finchè un colpetto alla porta mi fa ritrarre.

Riccardo mi chiede il permesso di entrare; mi fa sedere sulla piccola panca imbottita posizionata contro la parete del bagno e mi convince a restare ferma, mentre mi passa un asciugamano asciutto sui capelli appena lavati. Non ci siamo praticamente detti nulla da quando sono piombata in casa sua e l'accortezza che Riccardo ha dimostrato nell'avermi accolta senza chiedermi spiegazioni mi commuove.

Così mi sento in dovere di rompere il silenzio mesto che è calato tra noi. "Ho chiuso con Mitchell. È finita" annuncio con voce monocorde. Riccardo resta in silenzio per qualche secondo e io non riesco neppure ad immaginare la sua espressione alle mie spalle. "Lui lo sa?" chiede solo. Resto un po' perplessa da una simile domanda che inizialmente non capisco, ma poi ci rifletto su. "Ho paura sia del tutto privo di razionalità al momento. E' crollato, proprio come temevo, ma è successo all'improvviso. Non credo si renda più conto di niente" racconto, restando generica. Riccardo annuisce, ma non dice più nulla.

Sono io ad incalzarlo: "Riccardo, mi dispiace così tanto. Per tutto. Ti prego, dì qualcosa, parlami!" lo supplico con voce tremante, voltandomi verso di lui. Mi prende il volto tra le mani e si china, per farmi incontrare il suo sguardo in cui scorgo un certo tormento. Tuttavia si limita a dire: "Non ancora. Adesso devo finire di scrivere alcune importanti mail e devo fare qualche telefonata di lavoro. Tu aspettami; vai in cucina, Tatiana ti preparerà qualcosa da mangiare." Decido di non obiettare e faccio come mi dice mentre lui si dirige verso il suo studio.

In cucina saluto Tatiana, la quale mi serve gentilmente la cena in grado di restituirmi un po' di energia. Lascia la casa dopo che l'ho aiutata a sistemare le stoviglie. Rimasta sola, mi aggiro per il salotto: osservo la bottiglia di Martini appoggiata sul tavolino di vetro, accanto ad un bicchiere vuoto; noto il mozzicone di sigaro spento appoggiato nel posacenere di pieta; sfilo alcuni volumi di poesie dalla libreria e li sfoglio, soffermandomi a leggerne dei passaggi; poi osservo le foto di Paul sopra la mensola del camino e infine mi avvicino al pianoforte.

Mi siedo e appoggio delicatamente le dita sopra i tasti bianchi. Non me la cavo un granché a suonare, ma conosco le basi, così inizio a improvvisare una semplice melodia che mi ricorda quella canzone di Eminem che ha unito me e Mitchell nei momenti più drammatici. Ripenso al ritornello e alle parole dure delle strofe e mi stupisco di come la melodia che improvviso sappia richiamarle, pur essendo molto più dolce. Comincio a cantare, ma sostituisco al brano originale nuove parole; parole mie, con le quali riesco inaspettatamente a descrivere come mi sento in questo momento: svuotata, ma al tempo stesso più libera e soprattutto consapevole.

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