Mi occorre la forza posseduta da entrambe le mie braccia per spingere l'imponente porta a vetri e fare il mio ingresso nel vasto atrio di questo grattacielo nella periferia di Las Vegas. Lo spazio è molto luminoso grazie alle vetrate che ne delimitano il perimetro e il pavimento di marmo scuro riluce; ci sono alcune poltrone e dei divanetti di pelle bianca, dove è possibile accomodarsi per attendere di essere ricevuti in uno dei numerosi uffici che si trovano in questo palazzo.
Mi dirigo senza indugio verso l'enorme bancone della reception, il quale mi arriva all'altezza del petto e contribuisce ad alimentare la mia aria smarrita di ragazzina in jeans e top all'interno di questo lussuoso edificio. La giovane segretaria, con i capelli raccolti in uno chignon da cui non sfugge nemmeno una ciocca, il tailleur grigio stretto sui fianchi, la camicetta sbottonata per lasciar intravedere il girocollo di perle e gli occhiali dalla montatura scura, mi accoglie con fare professionale e mi fornisce le indicazioni di cui ho bisogno.
Mentre mi trovo sola in ascensore metto una mano nella tasca posteriore dei pantaloni e mi mordo le unghie dell'altra, tenendo lo sguardo fisso sul display che indica il susseguirsi dei piani e facendo respiri profondi man mano che si avvicina quello da me richiesto. Quando le porte si aprono mi precipito fuori, prima che l'ansia finisca per sopprimermi tra quelle quattro pareti.
Mi ritrovo in un atrio più piccolo, in cui convergono due corridoi che costituiscono un angolo retto. Le pareti bianche sono tappezzate da fotografie promozionali che immortalano l'inaugurazione di complessi residenziali e da planimetrie che annunciano i progetti futuri da realizzare. Davanti a me si susseguono diversi uffici, facili da distinguere per via delle pareti di vetro che li separano dal corridoio e che permettono di osservarne gli interni. L'ufficio verso cui sono diretta è il primo che si affaccia sul pianerottolo di ingresso.
Oltre il vetro, scorgo Riccardo seduto alla sua scrivania. L'arredamento alterna la pelle nera delle sedie poste di fronte al tavolo all'acciaio lucente delle intelaiature. La parete alle sue spalle è occupata da un'imponente mobile che immagino funga da archivio. Sul fondo della stanza c'è un tavolo circolare, probabilmente riservato alle riunioni e ai consulti e occupato da diversi fogli accatastati disordinatamente e da alcuni progetti arrotolati meticolosamente. Appesi al muro scorgo alcuni attestati e foto di Riccardo in giacca e cravatta. Addossato alla parete di fronte alla scrivania c'è un divano in pelle.
Resto ferma fuori dalla porta e aspetto che Riccardo alzi gli occhi dalla sua agenda, rilassandosi sulla sedia imbottita. Quando ciò accade e il suo sguardo incontra il mio, mi rivolge un sorriso luminoso, che purtroppo quest'oggi mi infonde solo tanta malinconia. Per questo rispondo con un semplice cenno della mano. Riccardo mi invita ad entrare e tiene la porta del suo ufficio aperta per me. Varco la soglia ascoltando il rumore attutito dei miei passi sulla moquette chiara e poi mi soffermo a guardarlo. So che oggi aveva una riunione importante, per questo porta la cravatta e indossa i pantaloni eleganti e un gilè scuro abbinato con delle sottili righe bianche sopra la camicia di un azzurro chiaro, le cui maniche sono risvoltate sui gomiti. I capelli pettinati, la barba curata, gli occhi azzurri in grado di stregare ed esaudire qualsiasi desiderio. È bellissimo, ma oggi non posso permettere al batticuore che mi procura di avere la meglio.
"A cosa devo questa piacevole sorpresa?" chiede, con quella voce roca che mi fa ancora tremare, e, senza darmi il tempo di reagire, mi lascia un leggero bacio sulle labbra, cingendomi con un braccio dietro la schiena. Arrossisco e mi ritraggo di poco. "Che fai? Questo è il tuo ufficio, ci vedono tutti" mormoro timida, accennando alla parete di vetro. "Sono felice che le persone con cui lavoro vedano il tesoro prezioso di cui vado fiero e che è motivo della mia felicità" replica Riccardo, con la sua consueta incrollabile sicurezza. Distolgo lo sguardo e i miei occhi notano un piccolo mazzo di lavanda raccolto in un grazioso vasetto sulla sua scrivania, mentre un nuovo sorriso malinconico torna a dipingersi sul mio volto.
Faccio un respiro profondo e mi decido a fissare il volto meraviglioso di Riccardo. "Mi dispiace di essermi presentata all'improvviso qui, nel tuo ufficio, ma devo dirti una cosa importante." Faccio una pausa e lo sguardo gentile e buono che Riccardo mi rivolge in attesa che io prosegua mi fa stringere il cuore. "Mitchell è tornato" pronuncio in un soffio e, senza neppure chiedere il permesso, mi siedo sul divano con i gomiti appoggiati sulle ginocchia divaricate e le mani tra i capelli.
Riccardo inizialmente non replica nulla e io capisco che il suo silenzio è carico di una tensione inattesa. "Lui come sta? E tu come ti senti?" chiede dopo un po' con voce controllata. Soltanto Riccardo poteva uscirsene con una simile domanda, la quale rivela la sua maturità, la razionalità e il sangue freddo, ma anche l'altruismo e la generosità che so muovono ogni suo gesto. Lo osservo intensamente per qualche secondo, poi scrollo le spalle. "Mitch sembra essersi rimesso in piedi, ma non so per quanto durerà" resto generica e non me la sento di aggiungere altro, ma Riccardo, come era prevedibile, non mi lascia scampo. "Di te invece che mi dici?" insiste. Sbuffo e replico evasiva: "E che ne so" mormoro "Non posso negare di essere felice di sapere che sta bene, ma so con certezza che le cose non potranno tornare come erano prima. Non voglio che accada. Mitch però ha deciso di illudersi del contrario, a quanto pare."
Non lascio il tempo a Riccardo di aggiungere altro, perché mi alzo decisa e mi piazzo davanti a lui con le braccia conserte. "In realtà però non sono venuta qui per dirti questo. Non solo, per lo meno. Sono venuta perché devo chiederti una cosa e vorrei che tu mi rispondessi sinceramente, dicendo le cose come stanno, senza giri di parole. Vorrei una risposta diretta tanto quanto lo è la mia domanda: hai pagato tu i debiti che Mitchell aveva contratto con Lou, il proprietario del SIN?" La mia voce è ferma e l'espressione che rivolgo a Riccardo è dura. Tengo il mento sollevato e le labbra contratte.
Riccardo fa un respiro profondo, appoggia le mani sui fianchi e si volta, facendo qualche passo davanti alla sua scrivania. "Sì" risponde secco, ma senza guardarmi negli occhi.
Lo sapevo, lo avevo già capito. Lo avevo intuito dalle parole che il vecchio Lou mi aveva rivolto nel suo ufficio e le informazioni telegrafiche che Mitch si è limitato a darmi hanno avvalorato la mia tesi. Ma questa è una conferma e mi travolge con più forza di quanta mi immaginassi. Mi vergogno per il fatto che il mio ragazzo sia sceso tanto in basso da ricevere la carità da parte dell'uomo di cui mi sono innamorata e che l'abbia persino accettata senza sapere nulla e senza preoccuparsene minimamente. Mitchell non è scemo, sa che i favori non piovono dal cielo, ma ha deciso di non indagare perché gli faceva comodo che qualcun altro avesse sistemato i suoi casini. Tuttavia dubito la penserà allo stesso modo quando scoprirà chi è davvero Riccardo e perché lo ha fatto. Perché Mitch, prima o poi, lo dovrà sapere; io devo dirglielo e voglio farlo.
Mi sento improvvisamente priva di forze; lascio cadere le braccia lungo i fianchi e getto il capo all'indietro. "Perché?" domando con un filo di voce. "L'ho fatto per te, non per lui. Meriti di meglio che finire travolta da problemi che non sono tuoi" sentenzia Riccardo con voce decisa, tornando a guardarmi. Ma io non ci casco. "No, non è vero" ribatto. "Tu non lo hai fatto solo per me. Lo hai fatto anche per Mitchell, perché nonostante lo odi per il modo in cui mi ha trattata, non ti arrendi a lasciare che si autodistrugga. Ormai ti conosco Riccardo: non riesci ad essere indifferente ai problemi degli altri, soprattutto in una situazione del genere, che riaccende dentro di te un dolore antico" dico, riferendomi alla vicenda di Paul. Poi concludo tutto d'un fiato: "Ed è anche per questo che io mi sono innamorata di te." Gli confesso ciò che non ero ancora riuscita ad esplicitare fino a questo momento.
Riccardo mi fissa meravigliato, si avvicina con passi lenti e mi prende il volto tra le mani per farmi incontrare i suoi occhi, in cui scorgo una gioia viva e profonda, la quale mi ricorda la grande responsabilità di cui sono stata investita nei suoi confronti. Mi bacia delicato e io questa volta non mi ritraggo, ma assaporo tutta la dolcezza di questo contatto.
"Non era necessario tu lo facessi. Non dovevi farlo" mi lamento, senza alcuna traccia di convinzione nella voce che avvalori le mie parole. "Sshh" mormora Riccardo, baciandomi il naso, le guance, gli occhi socchiusi. "Ho paura" confesso per la prima volta in un sussurro. "Ho paura dell'intensità con cui mi sento legata a te e ho paura del modo in cui tu ora mi hai legata a te, finendo addirittura col coinvolgere Mitchell. Ho paura di lui, di come reagirà e di cosa succederà dopo. Ho paura di quello che potrebbe succedere adesso." Farnetico frasi sconclusionate, mentre Riccardo mi stringe a sé abbracciandomi, permettendomi di nascondere il volto contro il suo torace e mettendomi una mano sulla nuca.
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VITE DI SCARTO
RomanceLa vita di Trilly è dominata dalla legge del dare per ricevere. È quello che ha imparato interagendo con i clienti dal Night Club in cui lavora, alle porte di Las Vegas. E lo accetta. Sa come sopravvivere in quel mondo. Glielo ha insegnato Mitchell...