Capitolo 35: Sopravvalutare

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Dopo aver chiuso la porta e accostato la zanzariera, infilo le chiavi in borsa e trascino i piedi nella terra polverosa che circonda la casa

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Dopo aver chiuso la porta e accostato la zanzariera, infilo le chiavi in borsa e trascino i piedi nella terra polverosa che circonda la casa. In realtà non so quanto possa risultare utile la vecchia serratura in ferro arrugginito, dal momento che basta una spallata per buttar giù la porta ed entrare. In ogni caso io e Mitch non ci siamo mai preoccupati di incursioni non autorizzate nella nostra abitazione, perché in fondo non abbiamo nulla di valore da perdere. 

È strano: mi era parso di sentire sopraggiungere la motocicletta di Mitch poco fa, ma lui non si è fatto vedere. I miei sospetti vengono confermati quando svolto l'angolo della casa e vedo la moto riversa su un fianco e malamente buttata a terra. La mia speranza è che Mitch, appena tornato dalle prove presso pista di motocross, non abbia bisogno del pickup oggi pomeriggio. In questo modo mi sarà più facile raggiungere l'ospedale, senza dover pedalare in bicicletta lungo la strada provinciale. Inoltre potrò tornare a casa dopo il turno di stasera al SIN senza dover camminare al buio.

Ovviamente però, non posso dire a Mitch il motivo per cui questo pomeriggio esco così presto rispetto al solito né dove ho intenzione di recarmi. Mi dovrò inventare una scusa, come ho fatto spesso negli ultimi tempi, sentendomi sempre più in colpa. È la prima volta che nascondo qualcosa a Mitchell; non riesco ancora ad ammettere il vero motivo per cui non voglio parlargli dell'aiuto che sto dando a Riccardo. Non ho mai temuto la rabbia di Mitchell, fino a questo momento. La verità però è che, se fossero solo le mie azioni a farlo arrabbiare, allora non mi importerebbe. Ma Mitch non è stupido e capirebbe subito che, dietro i miei comportamenti, si cela un sentimento che io per prima non sono ancora in grado di riconoscere. È questo a spaventarmi.

Nelle settimane appena trascorse, dopo aver parlato con Riccardo in terrazza, sono tornata a trovarlo in ospedale. Non ho potuto ignorare la convinzione che mi spinge a credere sia io quella in grado di farlo stare bene di nuovo. Non ho mai ritenuto di peccare di presunzione, ma Riccardo, con quel sorriso luminoso e lo sguardo intenso che mi rivolge ogni volta che mi vede, riesce a convincermi di essere importante, quasi indispensabile. Mi fa credere che io possa fare la differenza. È bello sentirsi utili, sapere di poter aiutare qualcun altro. Ho scoperto la bellezza della gratuità della vicinanza. Riccardo non mi chiede niente e io non devo fare nulla per compiacerlo; ho capito che basta io trascorra del tempo insieme a lui per renderlo felice e, con mio stupore, mi sono accorta che questo rende felice anche me. Ed era tanto che non mi sentivo così serena. Forse non mi era mai capitato prima d'ora. È buffo che sia proprio un ospedale il posto in cui posso dimenticarmi, almeno momentaneamente, della tensione che mi attraversa continuamente, quella di cui non mi ero mai resa conto finchè non ne sono stata liberata.

A dire la verità, durante le mie visite, io e Riccardo non ci perdiamo in lunghe e significative conversazioni. Lui si limita a leggermi alcuni libri di aforismi e brevi poesie, cose che non sapevo neppure esistessero. La cosa che mi piace però è che non pretende di farmi da maestro e di insegnarmi quello che non so, quasi si trattasse di un'opera di bene nei miei confronti, come inizialmente temevo. Riccardo ride e si diverte per via dei miei continui commenti impertinenti e stupidi circa l'eccessivo carattere astratto e smielato di alcuni passaggi.

Quando è troppo stanco, sono io a leggere per lui e allora mi accorgo che forse le parole criptiche di quei libri, molto simili al suo modo di parlare, un po' di fascino ce l'hanno. Riccardo se ne sta sdraiato sul letto reclinato, con le mani congiunte e la testa leggermente riversa all'indietro, appoggiata al cuscino. Tiene gli occhi chiusi, tanto che a volte ho creduto si fosse addormentato ascoltandomi leggere. Del resto, non ho a che fare molto spesso con i libri e la mia lettura è non è delle più espressive. Così mi sono silenziosamente avvicinata a lui, per osservare il suo viso più da vicino. Il contorno delineato delle labbra; alcuni piccoli nei sulla mandibola; le sottili rughe espressive intorno agli occhi; la barba accennata; le basette perfettamente regolate; le sopracciglia folte e le ciglia castane. Ma, quando lui si è accorto che la mia voce si era interrotta, ha aperto gli occhi e mi ha colta intenta ad osservarlo. Senza dire nulla, mi ha rivolto uno sguardo d'intesa, per poi invitarmi a proseguire, assicurandomi che non si era addormentato. Non vuole perdere neanche un'instante della mia presenza – dice. 

Insomma, far visita a Riccardo pare migliorare le sue condizioni e sembra rinnovare anche me. E questo è ciò che conta. Per questo motivo preferisco agire senza pensare troppo ed evito di sopravvalutare i miei comportamenti.

Tuttavia, considerato che non sono brava ad organizzare il mio pensiero, non me la cavo tanto bene neppure con le parole, quindi ho preferito evitare di raccontare a Mitch qualcosa che non saprei nemmeno spiegare. Che cosa potrei dirgli, quando io per prima non so motivare il mio atteggiamento? In realtà, finora, agire indisturbata è stato piuttosto semplice. Ultimamente infatti Mitchell è via sempre più spesso. Si reca in centro città più del solito e persino le prove di motocross sembrano passate in secondo piano. Inizialmente mi ero convinta andasse a trovare suo fratello, ma questo non spiega l'umore cupo e nervoso che avvolge Mitch come una nebbia sempre più fitta, dietro la quale si nasconde la tempesta pronta a scatenarsi all'improvviso.

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