Capitolo 12: Esibire

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"Nancy, ti dispiacerebbe riportare tu l'ambulanza alla base questa sera?" domando alla mia collega, rivolgendole un innocente sguardo di supplica

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"Nancy, ti dispiacerebbe riportare tu l'ambulanza alla base questa sera?" domando alla mia collega, rivolgendole un innocente sguardo di supplica. "Il mio ragazzo ha detto che sarebbe passato a prendermi per fare un giro in moto" le spiego. Nancy scherza e si finge esasperata, ma alla fine acconsente: "Certo non ti preoccupare, a patto che tu resti qui ad aspettare di consegnare l'inventario" propone e io accetto sorridente. Così Nancy mi saluta soddisfatta e lascia l'ampio atrio d'ingresso dell'ospedale, uscendo da una porta di servizio laterale.

Oggi, finito il turno, siamo dovute passare a ritirare le scorte del materiale necessario per le ambulanze, da trasportare poi alla Guardia Medica e distribuire in tutti i veicoli.

Attendo di fronte al vetro oltre cui si colloca l'ufficio di ricevimento, per consegnare la lista di tutto ciò che abbiamo prelevato.

Non mi dispiace fare le cose con calma. Mitch mi ha detto che, dopo le prove sulla pista da cross, sarebbe passato a prendermi per trascorrere la serata fuori e, conoscendolo, bisogna sempre aggiungere un buon quarto d'ora all'orario in cui lui assicura di farsi vivo.

Mi piacciono le nostre fughe sulla sua moto: non so mai dove andremo a finire, ma so che per un po' possiamo allontanarci da tutto e tutti e mettere in pausa le nostre vite. Seduta sulla sella dietro di lui, con le braccia strette attorno ai suoi fianchi, il capo appoggiato sulla sua schiena e il vento tra i capelli, chiudo gli occhi e mi sento libera, mi sembra di non appartenere ad alcun luogo e contemporaneamente di aver trovato il mio posto.

Le impiegate dell'ufficio sono sedute dietro le loro scrivanie e tutte occupate al telefono. Così, mi volto appoggiando la schiena alla parete della vasta hall e osservo il via vai di medici, pazienti e visitatori attraverso l'ingresso pulito e ordinato dell'ospedale.

Infilo una mano nella tasca dei pantaloni ed estraggo la logora busta di pelle in cui è contenuto il mio tesserino di paramedico. All'interno vi ho riposto anche un rametto di lavanda, proveniente dal mazzo recapitatomi al SIN. Ovviamente, non ho potuto portare i fuori a casa; non mi andava di fare i conti con i sospetti di Mitch. Ho preferito collocare il mazzo nel camerino dove noi ragazze ci cambiamo; a tutte ha fatto piacere poter concentrare l'attenzione su qualcosa che provasse ad abbellire quel posto. Mi piace il profumo di lavanda, per questo ne tengo un ramoscello in tasca; non c'è nessun altro motivo e di certo non mi faccio intortare da un po' di sfoggio ipocrita – mi convinco.

Come se la sorte volesse punirmi, quando alzo lo sguardo dopo aver riposto il tesserino in tasca, noto un uomo dal portamento fiero parlare con un paio di dottori, dopo aver firmato alcuni moduli presso il banco delle dimissioni. La voce roca è inconfondibile così come il tono sicuro con cui Riccardo parla, senza preoccuparsi di abbassare la voce in un luogo pubblico. Indossa un paio di pantaloni cachi e una camicia azzurrina; su un braccio tiene piegata una giacca elegante.

Mi volto di scatto, sperando di riuscire a camuffarmi e passare inosservata. Finalmente una delle impiegate si avvicina al vetro e io le passo il foglio dell'inventario nella fessura sottostante. Tengo la schiena rigida e stringo la penna un po' più del necessario mentre firmo la consegna, nello stesso istante in cui sento passi rapidi raggiungere l'uscita dietro le mie spalle.

Quando mi volto, tiro un sospiro di sollievo nel constatare la quiete che è tornata ad attraversare l'atrio. Riccardo infatti pare rendere l'aria che lo circonda carica di elettricità.

Esco dalla porta di servizio laterale e, una volta sul marciapiede esterno, lo vedo poco distante. È solo e controlla l'orologio, probabilmente in attesa di un taxi.

Senza riflettere, mi lascio guidare dal mio solito istinto impulsivo e faccio esattamente ciò che ho tentato di evitare fino ad ora. Con passo deciso mi dirigo verso di lui e lo affronto ancor prima di averlo raggiunto: "Ehi scusa" attiro la sua attenzione e vado dritta al punto: "Mi era parso di capire che non volessi raggiungermi in posti come lo Strip Club in cui lavoro. Ma a quanto pare sei la persona più incoerente di questo mondo. I tuoi fiori mi hanno messa in imbarazzo. Il gesto è stato carino, ma l'esagerazione ostentata era del tutto superflua. Mi hai messa in difficoltà sul mio luogo di lavoro. Di nuovo" pronuncio tutto d'un fiato.

Mentre parlo ho l'impressione di ascoltarmi dall'esterno e mi accorgo dell'assoluta insensatezza che le mie parole improvvisate assumono. Questo tizio mi mette a disagio, eppure ora sono io che lo aggancio, rifiutando di stargli alla larga come mi ero ripromessa. Sono io la prima a contraddirsi. Non pensavo di essere un caso tanto disperato! – penso, mentre mi mordo la lingua.

Riccardo si volta e appare sorpreso solo per un istante, poi riacquista subito la sua compostezza e mi rivolge un sorriso compiaciuto. "Ciao" mi dice, come se niente fosse. "Sono felice di sapere che i fiori ti siano piaciuti, devo ammettere che lo avevo previsto" si vanta, ignorando completamente il mio sfogo. Lo guardo senza capire a cosa si riferisca. Così fa un passo verso di me e inclina la testa. "I tuoi capelli profumano di lavanda. Ho immaginato fosse una fragranza che ti piace" mi spiega orgoglioso. Abitualmente, considererei il fatto che un uomo abbia indovinato il tipo di shampoo che utilizzo come una strana forma di feticismo. Eppure ora tutto ciò che provo è uno stupore sorpreso.

Riccardo fa un altro passo verso di me e abbassa il capo, tanto che il suo naso potrebbe sfiorare la mia fronte. Riconosco il suo profumo di pulito, che ha su di me lo stesso potere rinvigorente di una ventata di aria fresca. "E le peonie rosa pallido hanno la stessa sfumatura della tua pelle chiara" rivela con quella voce roca che, inspiegabilmente, smuove qualcosa nella mia pancia. Improvvisamente, mi sento debole, privata della mia consueta carica travolgente.

Faccio un passo indietro e mi schiarisco la voce. "E' stato un pensiero gentile, ma te lo detto: non sono abituata a tanto. Inoltre hai scomodato il tuo amico per così poco. Ti stima molto, ma sei tu che dovresti imparare da lui le maniere più appropriate e opportune con cui relazionarti. Un simile esibizionismo non mi piace" borbotto, senza incontrare il suo sguardo. "Davvero? Esibirsi è qualcosa che non fa per te?" mi provoca pungente, con quel sorrisetto caparbio a cui per la prima volta cedo. Scuoto la testa e sorrido a mia volta, accettando questa parziale sconfitta.

"Ti senti meglio?" gli chiedo, ritenendo che sia più opportuno cambiare argomento. Riccardo annuisce: "Sì grazie. Non si tratta di nulla con cui non si possa convivere" commenta. Credo gli piaccia costringere qualsiasi interlocutore a dover interpretare il significato criptico di ogni sua frase. Io però non mi tiro indietro e decido di insistere: "E' da molto che soffri di dolori alla schiena?" "Abbastanza da sapere che a tutto ci si abitua." Ecco che lo fa di nuovo. Presuntuoso! Mi rivolge quel sorriso compiaciuto e pericolosamente affascinante, che smaschera la sua consapevolezza circa le sue capacità persuasive. "Non proprio a tutto" mormoro tra me un po' amareggiata, distogliendo lo sguardo e voltando il capo.

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