Capitolo 25: Diversamente

85 4 0
                                    

           


"Stai tranquillo, non è successo nulla di grave." Rassicuro con voce pacata il bimbo di otto anni che è seduto davanti a me, sul lettuccio di uno degli ambulatori di accoglienza del pronto soccorso. "Adesso arriva il dottore per sapere quello che ti è successo e verificare che tu stia bene, poi le infermiere si occuperanno di te. Sono gentilissime e ho sentito dire che portano sempre in tasca qualche caramella per i pazienti più bravi" gli faccio l'occhiolino e finalmente lo vedo abbozzare un sorriso tenero.

Si tiene il ghiaccio premuto su una tempia e dondola i piedi nel vuoto. Indossa la divisa della squadra di baseball del suo quartiere e ai piedi ha ancora le scarpe da gioco sporche di sabbia. I suoi genitori, da poco sopraggiunti in ospedale, stanno parlando con Nancy e l'allenatore del bimbo, il quale lo ha accompagnato in ambulanza dopo aver chiamato il pronto soccorso per via di una palla ricevuta male. Per fortuna si tratta di una squadra di bambini e i lanci non sono effettuati con troppa foga. Portarlo in ospedale è stata più che altro una precauzione e io sono felice quando il medico, dopo essere sopraggiunto, conferma che, invece di un punto per la propria squadra, il bambino ha guadagnato solo un bel bernoccolo.

"Ciao Trilly" mi saluta con una tenera vocina flebile, agitando la manina paffuta, quando lo lascio insieme ai suoi genitori, in attesa dei risultati di alcuni esami e di venire dimesso dal pronto soccorso. Mi volto, rispondo al suo saluto e sorrido quando vedo un'infermiera porgergli un leccalecca.

Raggiungo Nancy, la quale ha già firmato i moduli informativi presso il bancone di checkin, e insieme ci dirigiamo verso l'uscita per tornare all'ambulanza. "Grazie per avergli fatto compagnia tu. Era un bimbo adorabile, ma io proprio non ci so fare con i bambini. Mi blocco. Non so perché, ma ho paura di fare qualcosa di inopportuno che possa sconvolgerli o di finire per interfacciarli come se fossero degli adulti" mi confessa Nancy, la quale infatti, durante viaggio verso l'ospedale, ha preferito guidare e ha lasciato me nel retro dell'ambulanza. "Ma no!" provo a rassicurarla "Non devi preoccuparti, anzi. I bambini sono le persone più spontanee che puoi incontrare, con loro puoi essere te stessa senza vergogna, puoi lasciarti andare sapendo che la loro concezione di stranezza è ben diversa da quella degli adulti e per questo non ti giudicano" le assicuro con tono leggero, scrollando le spalle. Nancy in effetti è una ragazza chiaramente timida, ma anche molto gentile, per questo mi stupisco un po' del modo in cui percepisce se stessa. "Be', tu prima sei stata fantastica, davvero. Sai essere così dolce, pacata e tenera" replica lei.

Io non aggiungo altro, ma la osservo di sbieco e mi accorgo che è pienamente convinta di quanto sostiene. Adesso sono io a vedermi diversamente e a reputare la sua idea strana: non mi sono mai considerata in tal modo e così mi domando se Nancy sappia davvero troppo poco di me per conoscermi davvero oppure se, proprio per questo motivo, è in grado di vedere aspetti del mio carattere che non ho mai valorizzato.

Stiamo per varcare la porta scorrevole del pronto soccorso, quando veniamo superate da un dottore e alcune infermiere, che si affrettano per accogliere un'urgenza appena sopraggiunta con un'altra ambulanza. Io e Nancy ci scansiamo immediatamente, mettendoci in disparte per non intralciare le operazioni.

"Maschio. Oltre i trent'anni. Lamenta forti dolori alla schiena. Presenta incapacità a camminare e parziale paralisi temporanea al busto. Lo abbiamo immobilizzato e sedato" scandisce con tono fermo e chiaro il paramedico che accompagna la barella lungo il corridoio, diretto verso la sala di pronto intervento e stabilizzazione.

Dopo che il gruppo di medici e infermieri sopraggiunti ci ha superate in pochi secondi, Nancy mi fa cenno di seguirla per uscire, ma io la fermo. "Aspetta un secondo" le dico affannata e, senza aspettare una sua reazione, mi affretto verso la barella e la inseguo finchè raggiungo il paramedico.

"Come si chiama il paziente?" gli domando soltanto. Lui, ancora intento a reggere la flebo di sedativo, si volta di poco e mi scruta confuso, probabilmente chiedendosi perché voglia intralciale una situazione già di per sé difficile. Nota la mia divisa uguale alla sua e getta una rapida occhiata alla cartelletta su cui sono riportati i dati dell'uomo soccorso. "Ehm... Torres. Riccardo. Lo conosci?" mi domanda rapido. Io esito, ma continuo a camminare seguendolo. Per fortuna mi riprendo subito. "L'ho soccorso tempo fa. È già stato ricoverato qui con la stessa sintomatologia e in passato ha subito un intervento alla schiena" informo i medici e gli infermieri, i quali mi fanno cenno di aver compreso. "Ok, grazie" mi dice il paramedico, scortando la barella fino alla sala d'intervento, dove poi agiranno i dottori.

Io mi fermo e resto immobile per qualche secondo nel bel mezzo del corridoio del pronto soccorso. Mi passo una mano sulla fronte e realizzo di essere più sconvolta del dovuto di fronte ad un ricovero d'urgenza. Ma non si tratta di un'emergenza qualunque né di una persona qualunque. Riccardo è stato ricoverato. Non era cosciente. Presentava addirittura una paralisi, dovuta ad un disturbo preesistente e forse sottovalutato o addirittura ignorato. È incredibile come, nonostante sarebbe chiaramente più opportuno e sicuro per entrambi se non ci conoscessimo neppure, io e lui finiamo sempre per essere coinvolti in situazioni di urgenza, emergenza e persino pericolo, sotto fronti differenti.

Avverto che i miei passi sono pesanti, quasi trascinati, mentre raggiungo Nancy; insieme attraversiamo il parcheggio per recuperare l'ambulanza e riportarla alla Guardia Medica. "Mi ricordo di quel tizio: lo abbiamo soccorso tempo fa. Vi frequentate?" chiede con voce ingenua. Io scuoto la testa e tengo lo sguardo fisso davanti a me, assorta nei miei pensieri. Mi accorgo che la mia risposta stenta a venire formulata e l'espressione interrogativa della mia collega si accentua. "Non lo so" riesco solo a dire alla fine, alimentando la confusione allibita dipinta sul volto di Nancy. E anche la mia.

VITE DI SCARTODove le storie prendono vita. Scoprilo ora