Capitolo 46: Pulita

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Ho convinto Riccardo ad accettare uno dei miei famosi panini farciti, che di fatto rappresentano l'unica cosa che sono in grado di preparare

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Ho convinto Riccardo ad accettare uno dei miei famosi panini farciti, che di fatto rappresentano l'unica cosa che sono in grado di preparare. Lui tuttavia, in cambio, mi ha costretta ad aiutarlo a preparare un soffritto di pesce, con l'intento convinto di insegnarmi a cucinare. Abbiamo finito col bruciare metà della portata, forse a causa dei miei continui dispetti nei suoi confronti.

Il fatto è che non sono riuscita a trattenermi: è stato bellissimo vederlo così felice. Sembra più giovane quando sorride, quando perde quel contegno rigido che a volte si ostina a mantenere. Credo di aver sentito la sua risata per la prima volta: è profonda e così coinvolgente che non riuscivo più a farne a meno, per questo ho continuato a punzecchiarlo, ottenendo come risultato il pesce bruciato.

Senza che ce ne accorgessimo, è calato il buio. Non so neppure che ore siano mentre lo seguo su per le scale. Riccardo mi ha preso la mano e ora le mie dita sottili sono intrecciate alle sue. Improvvisamente tra di noi è calato il silenzio, ma non un silenzio teso, bensì carico di attesa e forse di desiderio.

Arriviamo in camera sua, la quale ha ora un aspetto molto più intimo, grazie alla luce soffusa dell'abatjour. Mi fermo sulla soglia, con le mani nelle tasche posteriori dei jeans, in attesa che lui dica qualcosa. "Hai detto di voler dormire insieme a me. O sbaglio?" mi sfida Riccardo e mi rivolge un'espressione allusiva, riferendosi alle mie parole di questo pomeriggio. "Tu cosa vuoi che faccia?" gli domando, sostenendo il suo sguardo mentre mi incammino verso di lui. Senza pensarci, gli metto le braccia intorno al collo e avverto il calore delle sue mani sulla pelle dei fianchi. "Voglio che resti" mi ripete con voce profonda.

Sorrido soddisfatta e mi scosto. "Non ho niente da mettermi però" constato seria e questa volta non c'è alcuna malizia nella mia voce. Mi rendo conto solo ora di non aver portato niente con me. Riccardo fa scorrere un'anta dell'imponente armadio ed estrae una maglietta e un paio di pantaloni di un pigiama. Io però lo ignoro, improvvisamente interessata ai vestiti ordinatamente disposti nel suo guardaroba.  "Posso?" indico il borsone di pelle appoggiato sulla poltrona, chiedendogli se possa sistemare i suoi cambi puliti nell'armadio. Lui alza le spalle e annuisce divertito. Si siede sul letto e osserva attentamente ciascuno dei miei movimenti.

Tutti i ripiani sono a vista quindi è facile intuire dove ciascun capo sia collocato. È buffo notare quanto l'abbigliamento di un uomo adulto in carriera sia diverso da quello dei ragazzi scapestrati che frequento e con cui sono cresciuta. Faccio scorrere le mani sulle numerose giacche eleganti, a ciascuna delle quali è abbinato un paio di pantaloni. Sorrido nello scorgere i calzini di cotone tinta unita dai colori scuri, ben diversi da quelli di spugna bianca con cui Mitchell va sempre in giro. Ci sono così tante cravatte, non credo di averne mai viste da vicino in vita mia. Poi ci sono alcune felpe e pantaloni di tuta piegati ordinatamente. Numerose t-shirt bianche, ben diverse dalle canotte slabbrate di Mitchell. Faccio scorrere le dita sulle infinite camicie perfettamente stirate.

"Se preferisci puoi indossare una di quelle. Magari tenendo aperti i primi bottoni" suggerisce Riccardo, con un sorriso ammiccante. Lo guardo divertita, fingendomi scandalizzata, ma ribatto complice: "Tanto vale che metta quella che stai già indossando, per non doverne utilizzare una nuova" mi giustifico. Non c'è bisogno che Riccardo dica nulla perché io capisca che acconsente. Fa per aprire i bottoni, ma io mi avvicino a lui e allontano le sue mani. Lascio che siano le mie a sbottonarli uno ad uno. Quando le mie dita sfiorano la sua pelle calda mi pare di sentirlo fremere. I miei occhi incontrano i suoi. "Posso andare in bagno o devo cambiarmi davanti a te?" sussurro, stringendo l'orlo della mia canotta e accennando a toglierla. "Attenta bambina. Non osare troppo" mi rimprovera lui. Così mi lascio andare in una risata e mi allontano, chiudendomi la porta del bagno alle spalle.

Quando torno in camera, Riccardo indossa solo un paio di pantaloni di tuta. Le mie gambe sono scoperte e la stoffa leggera della sua camicia bianca si appoggia delicata sulle curve del mio corpo. Mi sento ridicola ad ammetterlo, ma il profumo di pulito che ora accarezza la mia pelle fa sentire un po' più pulita anche me.

Metto un ginocchio sul materasso morbido e Riccardo mi invita ad appoggiarmi ai numerosi cuscini, mentre lui si posiziona accanto a me reggendosi su un gomito. Con lo sguardo mi chiede il permesso e, quando annuisco silenziosa, passa una mano sulla mia guancia, accarezzandomi. Con il pollice indugia sullo zigomo dolorante e delinea i tagli che percorrono il mio naso. Ripensare ai lividi getta un'ombra sul mio volto, eppure non posso ignorare la sensazione che il tocco di Riccardo mi procura. È come se mi stesse curando, aggiustando.

"Ti fanno male?" domanda in un sussurro. Scuoto la testa, nonostante non sia la verità. Dopodichè mi metto seduta a gambe incrociate sulle lenzuola morbide. Riccardo resta sdraiato e si porta una mano dietro la nuca, continuando a guardarmi mentre passa le dita sul mio ginocchio. Senza che lui mi chieda nulla, comincio a raccontare spontaneamente: "Mitchell ha un problema con il gioco d'azzardo. Slot, carte, scommesse. Quel poco che vince o che guadagna correndo in moto lo perde subito. Ultimamente però si è messo nei guai e ci ha trascinato anche me. I debiti sono aumentati e Mitchell ha chiesto un prestito a Lou, il proprietario del Club per cui lavoro. Lui gli ha concesso i soldi sottraendoli dal mio stipendio. Quando l'ho saputo ho perso la testa: ho detto a Mitchell che non ha fatto altro che vendermi, usarmi come merce di scambio, costringermi a lavorare per ripagare i suoi debiti, come una schiava. Lui era fuori di sé; ha reagito e..." deglutisco, tentando di trattenere lacrime amare, poi concludo secca: "Le cose sono degenerate. Ora però Mitchell è sparito da diversi giorni. Non so dove sia, ma ha gli strozzini alle calcagna e può solo cacciarsi in guai più grossi. Non so come faremo a uscirne" ammetto con un sospiro. Ometto di aggiungere il modo in cui sarò costretta a ripagare Lou e cerco di non pensare a cosa potrebbe fare a Mitch se lui dovesse ingannarlo.

Noto che Riccardo si sforza di restare calmo, ma la sua espressione è turbata e attraversata da un dolore profondo, apparentemente ben più antico del mio racconto. Serra la mascella e cerca di controllare il proprio tono quando risponde: "Sarà Mitchell a doverne uscire. Tu non devi fare nulla per lui. Ha esagerato. Tutto ciò che puoi, anzi che devi fare è toglierti da questa situazione" afferma perentorio, la sua voce vorrebbe essere severa, ma non può celare il tremore che la percorre. Le parole di Riccardo hanno perfettamente senso, ma anche io ho dei conti in sospeso con il vecchio Lou e Mitch non ha fatto altro che ingigantirli. Questo però non posso confessarglielo, quindi mi limito a scuotere impercettibilmente il capo e a restare in silenzio.

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