Capitolo 18: In controllo

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Rimasti soli al nostro tavolo, decido di andare dritta al punto: "Riccardo, perché siamo qui? Fuori dal SIN apparivi così titubante e ora invece ti comporti come se niente fosse" gli faccio notare

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Rimasti soli al nostro tavolo, decido di andare dritta al punto: "Riccardo, perché siamo qui? Fuori dal SIN apparivi così titubante e ora invece ti comporti come se niente fosse" gli faccio notare. Per la prima volta lo vedo abbassare il capo e fare un respiro profondo.

Appoggia le braccia sul tavolo e si fa serio. "Mi dispiace per il modo in cui Tim si è avvicinato a te, la prima volta che ci siamo visti e poi anche fuori dall'ospedale. Posso però assicurarti che non si ripeterà" afferma convinto. Lo vedo stringere i pugni e, più che dispiaciuto, appare incazzato, come se la cosa lo riguardasse da vicino. "Certo, perché ci ha pensato Mitch" replico pungente e inclino il capo senza guardarlo negli occhi. Non mi va di ripensare a quanto accaduto. "E' il tuo ragazzo?" mi domanda subito, ma io decido di non rispondergli. Non gli devo spiegazioni – mi dico.

Riccardo fa una pausa e poi prosegue: "Tim crede di sapere come fare i soldi, ma si sbaglia di grosso. Dopo quello che è successo, gli ho intimato di non farsi più vivo. Mi sta appresso solo perché vuole entrare in affari con la mia famiglia." "Con te, quindi" puntualizzo. Riccardo si tira indietro e mi guarda confuso. "Io non lavoro con i miei genitori. Non più" scandisce perentorio. Rimango spiazzata e non so neppure se credergli, ma lui prosegue: "La mia famiglia gestisce alcuni casinò a Las Vegas, ma quel giro d'affari non fa per me." Serra la mascella e stringe le mani, evidenziando le vene che gli percorrono le braccia. "Io e Matias abbiamo aperto una società insieme. Si tratta di un'impresa di costruzioni, il cui fine è esattamente opposto all'attività dei miei genitori. L'obiettivo è buttar giù il maggior numero possibile dei locali di Strip e gioco che costellano il Nevada e costruire case popolari per famiglie a basso reddito, che potrebbero così venire aiutate dallo Stato."

Rimango colpita da qualcosa che non potevo neppure immaginare e dentro di me sento insinuarsi il senso di colpa, in merito a tutte le cattiverie stereotipate che ho pensato sul suo conto. In ogni caso, sono troppo testarda per ammetterlo e passo subito all'attacco: "Quindi vorresti far chiudere il SIN? È per questo che il proprietario mi aveva chiesto di farti passare una piacevole serata. Per dissuaderti!" realizzo ad alta voce, ma mi accorgo di aver parlato senza prima riflettere. "Cosa ti aveva chiesto?!" esclama scandalizzato Riccardo e si sporge verso di me sul tavolo.

La cameriera sopraggiunge con i nostri ordini e lui si ricompone, ma resta ancora evidentemente sconvolto, infatti aspetta che la donna se ne vada prima di chiedere: "E poi scusa, perché hai quell'aria dispiaciuta?" "Quello è il posto in cui lavoro! Mi verrebbe a mancare una buona entrata se dovessi smettere di ballare al SIN" gli faccio notare, sorprendendomi nel provare un improvviso attaccamento per quella topaia. "Pensavo che fare il paramedico fosse il tuo impiego" allude lui, ma, scocciata dal fatto che torni su questo argomento, io lo correggo: "Appunto, è quello che pensavi tu."

Poi faccio un respiro profondo e scuoto la testa, tentando di calmarmi: "Ascolta, non è tutto così semplice. E comunque io ti ho capito. Mi stai appresso. Prima i fiori e ora la cena. Credi forse di essere Richard Gere e io la tua Pretty Woman? Non sono una ragazzina da salvare, in pericolo e bisognosa d'aiuto. Devo ammettere che quello che fai è nobile, ma non sei un eroe e men che meno il mio!" metto in chiaro le cose, utilizzando un tono un po' troppo sostenuto. "Davvero non hai bisogno d'aiuto? E quelli?" Riccardo indica i segni sulla mia pelle all'altezza della clavicola, dove Mitch mi ha spinta l'ultima volta che abbiamo litigato. "E' stato lui a farteli? Come i lividi che avevi quando ti ho conosciuta?" mi incalza, di nuovo sconvolto come se la cosa lo riguardasse. "Te l'ho detto: so farmi valere da sola!" gli ripeto a denti stretti. All'improvviso provo un'inspiegabile vergogna. 

Per questo motivo forse sento il bisogno di fornirgli delle spiegazioni, per quanto insensate esse siano: "So che può apparire il contrario, ma io e Mitch stiamo bene insieme. Ci teniamo a galla in questa vita di merda. Siamo sempre stati io e lui contro il mondo" affermo convinta. "Voi due contro il mondo o tu e lui contro voi stessi?" mi corregge Riccardo.

Dopo un secondo di silenzio, non posso trattenermi dall'esplicitare una mia riflessione: "Mitch non è cattivo. Sono le persone come Tim ad essere i veri mostri." Mi pento di aver aperto questo argomento, ma ormai è troppo tardi, infatti Riccardo non esita a replicare: "Ne sei convinta? Entrambi hanno agito nei tuoi confronti con l'obiettivo di usarti. Sono due persone diverse, ma le loro azioni sono egualmente malvagie. E tu non meriti la cattiveria di nessuno, non dubitarlo nemmeno per un istante" prova a spiegarmi, con quella voce buona che non può lasciarmi indifferente. Lo guardo negli occhi e assottiglio lo sguardo, timorosa di perdermi in quelle acque limpide e pericolosamente invitanti. Scuoto la testa e non cedo. "Fatto sta che almeno Mitch non nasconde ciò che è; al contrario di Tim, che si crede superiore. A volte feriscono più i comportamenti delle azioni. Mitchell sarà anche un casino totale, ma Tim è un pervertito subdolo" commento sprezzante.

Riccardo tuttavia non pare impressionarsi e, anzi, mi incalza: "E io invece cosa sono? Ti sembro malvagio anche io?" Il suo sguardo allusivo è accompagnato da un sorriso che fa inspiegabilmente muovere qualcosa nella mia pancia. Credo persino di arrossire. "No. Tu non sei cattivo. Però sembri uno a cui piace avere il controllo" ammetto, ricambiando il sorriso. "E questo è un bene o un male, secondo te?" insiste Riccardo. "Dipende" decido di concludere così una conversazione che sembra rendermi timida; cosa che non accade quasi mai.

In seguito mi schiarisco la voce e decido di parlare chiaramente, riprendendo il discorso di poco fa: "Senti, non pretendo che uno come te capisca, ma a me la mia vita va bene così come è, quindi per favore non insistere nel volermi trasformare in chi non sono. Io Mitchell l'ho scelto e scelgo di restare con lui, pur consapevole di tutto il resto." Riccardo tuttavia colpisce nel segno: "Sei sicura che la tua vita sia quella giusta per te e che ti piaccia davvero?"

Punta nel vivo, abbasso lo sguardo e lui per fortuna non mi lascia il tempo di rispondere. "E poi scusa, in che senso uno come me?" accenna alle mie parole. La domanda di Riccardo è sincera. Così mi calmo e decido di affrontare un argomento che, in sua presenza, mi ha sempre infastidita come una spina nel fianco. "Riccardo, sei un uomo adulto, realizzato, con tante possibilità: perché stai appresso a una ragazzina come me?" gli faccio notare. Ricordo la sua data di nascita nella cartella medica al pronto soccorso: ci separano più di dieci anni.

Lui deglutisce e sembra scegliere le parole giuste con cui rispondere: "Non c'è un limite d'età per avvertire il bisogno di avere qualcuno vicino. E tu, ragazzina, come ti definisci, potresti farmi più bene di molte altre persone tutte uguali, che conosco già ancor prima di incontrarle."

Parla con voce profonda e pacata, tenendo gli occhi limpidi fissi nei miei. La sua risposta mi spiazza e l'angolo della bocca mi disobbedisce sollevandosi in un sorriso.

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