Capitolo 39: Sottintesi

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Riccardo mi fa capire di non voler restare in camera e così ci dirigiamo insieme verso la sala del reparto che accoglie i visitatori e i pazienti nei momenti di ristoro. Si tratta di un ampio atrio, con diversi divani e poltrone in tela blu, raccolti intorno a tavolini bassi. Ci sono alcune piante alte e verdi disposte agli angoli della sala e le vetrate ampie permettono alla luce del sole di entrare, filtrata dalle sottili tende bianche. È un posto piacevole, privo dell'odore di disinfettante e medicine che invece caratterizza il reparto. La sala è pressoché vuota, fatta eccezione per una coppia di anziani, intenti a borbottare tra loro seduti su un divano, e una donna giovane, che osserva lo schermo del proprio telefono.

Riccardo si siede su una poltrona e io mi accomodo sul divano affianco, scortata dal suono attutito dei miei anfibi sul tappeto di moquette. Appoggio i gomiti sulle ginocchia e mi sfrego le mani, sentendomi stranamente a disagio. Io e Riccardo ci siamo visti diverse volte ultimamente, eppure la scena a cui ho appena assistito mi ha inevitabilmente fatta sentire un'estranea. Ho scorto Riccardo sono una luce diversa; ho intravisto un aspetto di lui che non conoscevo. Del resto, che mi aspettavo? Non so neppure cosa siamo l'uno per l'altra. Non capisco il motivo per cui io mi senta tanto sconvolta.

"Mi sembra tu stia meglio; sei in piedi e cammini con facilità. È un buon segno" constato, perché avverto il bisogno di interrompere il silenzio teso instauratosi tra noi. Inoltre, nonostante io non abbia il coraggio di incontrare i suoi occhi, so che Riccardo mi sta fissando. "Tra pochi giorni mi dimettono" mi informa con voce ferma e io finalmente lo guardo in volto. "E' fantastico" esclamo con un sorriso. "Ho dovuto promettere di non saltare nessuna seduta di fisioterapia e di prendere sul serio la riabilitazione" mi informa e, dal sorriso ammiccante che tenta di trattenere, riesco a intuire quanto segue. "Avrò bisogni di qualcuno che mi incoraggi e aiuti" decreta infatti, alzando un sopracciglio. Io mi fingo indifferente. "Scommetto che ci saranno diverse fisioterapiste disposte a fornirti il loro incentivo. Del resto, ho visto come ti guardava la dottoressa dell'ospedale le volte scorse" alludo, ripensando alla giovane fisioterapista biondina che quotidianamente aiuta Riccardo con la riabilitazione in ospedale e che arrossisce ogni volta che lui le si rivolge. "Non sono loro a dover essere interessate a me. È a me che deve interessare chi mi aiuta. E a me piaci tu. Tanto." La voce di Riccardo non tradisce alcuna insicurezza. Ma come riesce a dire così spontaneamente tutto ciò che gli passa per la testa?

Faccio un respiro profondo ed evito di rispondere, sistemandomi sul divano. "Perché non sei venuta negli ultimi giorni?" mi domanda Riccardo, diretto come al solito. Una ruga gli increspa la fronte e le sopracciglia si aggrottano in un'espressione accigliata. "Ho avuto qualche imprevisto" resto generica e provo malamente a cambiare argomento: "Ti va di mangiare qualcosa? Vuoi che ti porti uno snack dal Bistrot dell'ospedale?" Sono già in procinto di alzarmi, ma la voce grave di Riccardo mi costringe a restare seduta. "Che genere di imprevisto? E' successo qualcosa a casa? Riguarda il tuo lavoro?" L'interrogatorio affannato a cui Riccardo mi sottopone mi mette istintivamente sulla difensiva. "E' tutto a posto. Non si tratta di nulla di grave" rispondo secca, ma questa volta lo fisso intensamente negli occhi, per intimarlo a non esagerare.

Lui sembra accorgersene e tenta di calmarsi, mettendosi comodo sulla poltrona. Fa un respiro profondo e, nel vedere la sua espressione contrita e combattuta, un po' mi pento per averlo allontanato così a malo modo. Resto in silenzio per qualche istante, ma mordermi la lingua non basta ad impedirmi di aggiungere: "A quanto pare però è stata Kate a farti compagnia ultimamente e forse anche mentre ti venivo a trovare io" commento, assottigliando le labbra, ma senza avere il coraggio di guardare la reazione di Riccardo.

Non è da me lanciare simili frecciatine subdole. Ma che mi prende?! Mi giustifico ripensando al fatto che Matias mi ha invitata a chiarire la faccenda direttamente con Riccardo e questo alimenta in me la speranza che lui ora non esploda, dicendo anche a me di andarmene. Perché, onestamente, è l'ultima cosa che voglio.

Per questo decido di essere me stessa: forse eccessivamente diretta e brutale, ma per lo meno sincera. "Senti Riccardo: io sono qui perché mi sembra che questo ti aiuti a stare meglio e onestamente la tua compagnia fa stare bene anche me. Mi piace poter essere d'aiuto. Ma per me è sufficiente essere un intrattenimento durante i turni al Club. Non voglio avere a che fare con il tuo mondo, con il tuo giro d'affari e forse neppure con te al di fuori di questo ospedale. Del resto, sarebbe la scelta più sensata. Cosa potremmo condividere? Cosa potremmo essere al di fuori di qui? Cosa siamo io e te, Riccardo?" La nuda sincerità che caratterizza le mie parole sorprende me per prima. Parlo ripensando a quanto ha detto Kate vedendomi poco fa e al conto rimasto ancora in sospeso con il vecchio Lou.

Riccardo mi osserva stupito, ma non infastidito o seccato. Anzi, sembra felice che sia stata io a sollevare la questione. "Da quello che dici, mi sembra di capire che una parte di te voglia trovare un senso a noi due insieme, che cerchi un modo per poter stare ed esistere insieme. Una parte di te lo desidera, Trilly" mi fa notare soddisfatto, sempre con quel suo modo implicito di esprimersi.

Io però questa volta non riesco a stare al gioco e sollevo le braccia esasperata. "Potresti rispondere chiaramente alle mie domande almeno per una volta, per favore? Io ho provato ad essere sincera con te e sembra che tu invece voglia solo giocare!" sbotto.

Riccardo pare spiazzato dal mio sfogo, ma non esita a ribattere: "Il fatto Trilly è che sono io a non capire. Sembra che tu riesca a concepire la nostra relazione solo come quella esistente tra cliente e ballerina in quello stupido locale! Come puoi accettare questo e non il mio desiderio di conoscerti per quella che sei? Di scoprire tutti gli aspetti di te che mi affascinano, che mi piacciono." La voce di Riccardo si alza, concitata, ma senza alcuna traccia di rabbia.

Eppure io non riesco ancora a capire, a concepire, come dice lui, cosa di me possa attirarlo tanto. "Cosa ci trovi di tanto interessante in me, Riccardo? Cosa ti piace di me? Insomma: guardami, guardaci!" provo a fargli notare le differenze esistenti tra di noi, muovendo le mani nel vuoto tra me e lui, ma Riccardo non vuole proprio aiutarmi. "E' la differenza d'età a preoccuparti? O forse lo stile di vita? È possibile che l'esistenza abbia a tal punto distorto la tua prospettiva sul mondo e sugli altri da farti credere che un uomo potrebbe volere solo una cosa da una ragazza bella come te? E' possibile che tu non riesca a distinguere ciò che sei da ciò che fai?" La voce di Riccardo è ora pacata e profonda. Si è chinato in avanti per osservarmi oltre i capelli che mi ricadono sul viso.

È triste, ma è così. Quello che ha detto è vero. Finalmente è riuscito a colpire nel segno e ha permesso anche a me di cogliere il vero punto della questione, quello che i miei pensieri confusi mi avevano impedito di mettere a fuoco. Lacrime di frustrazione mi rigano silenziose le guance e non solo per la verità a cui Riccardo mi ha appena messa di fronte, ma forse anche a causa della tensione repressa degli ultimi giorni.

Riccardo si inginocchia davanti a me e mi prende il viso tra le mani grandi e calde, asciugandomi le lacrime con il pollice. Gli metto le mani sulle spalle, dicendogli di non sforzare la schiena con posizioni inadatte, ma lui mi ignora.

Così, dopo qualche minuto di silenzio, mi specchio nei suoi occhi azzurri e limpidi, i quali mi forniscono abbastanza pace e coraggio per confessare quanto segue. "Gli anni che ci separano sono tanti, così come tanta è la distanza tra i ruoli che rivestiamo e le posizioni che occupiamo. Riccardo, io sto con Mitchell da quando ero una ragazzina e tu... Bè, guarda Kate. È quello il tuo genere di donna. Donna, appunto, e non bambina" provo a fargli capire. "Non fai altro che constatare l'ovvio, ciò che già so. Quello che ancora non so è ciò che tu provi per me. E tu, lo sai? Forse è questo che dovresti considerare." Lo sguardo che Riccardo mi rivolge, accompagnato dalle sue parole soffici, sembra far perdere un battito al mio cuore.

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