Sono seduta sul gradino di legno scricchiolante che separa l'angusto patio antistante la casa dalla terra sterrata sottostante. Ho le braccia appoggiate sulle ginocchia divaricate, tengo le mani congiunte e osservo il tramonto che tinge il cielo di sfumature intense, dal giallo all'arancione, dietro gli enormi canyon di pietra rossa. Mi è sempre piaciuto lo scenario brullo, grezzo e selvaggio del Nevada. Il deserto roccioso e spigoloso e gli arbusti secchi e pungenti. L'apparenza potrebbe sembrare minacciosa, ma non se nasci in questa terra, come è capitato a me; in tal caso impari a dominarla, a fondere il tuo carattere con essa, affinchè diventi più forte.
Mi perdo in questi pensieri mentre osservo il paesaggio che si estende davanti a me. Io e Mitchell siamo appena tornati dalla pista di motocross. Non ha voluto fermarsi a festeggiare insieme agli altri ragazzi e piloti e adesso è in bagno a farsi una doccia. Io invece me ne sto qui fuori a godermi la brezza leggera che si solleva quando il sole bollente cala.
Sobbalzo leggermente, quando avverto lo scricchiolio delle travi di legno marcio sotto i passi quatti di Mitch, che sopraggiunge alle mie spalle. Faccio per voltarmi ed alzarmi, ma lui, senza dire nulla, mi fa cenno di restare dove mi trovo e si siede dietro di me, accostando le gambe ai miei fianchi e cingendomi in vita. Ripenso con un po' di malinconia alle innumerevoli serate che abbiamo trascorso così, seduti abbracciati sui gradini del patio, avvolti in una coperta e intenti ad indicare le stelle nel cielo buio per provare ad indovinarne i nomi. Sembra trascorsa un'eternità da allora.
Non riesco ancora a considerare lucidamente il pomeriggio appena trascorso; se ci ripenso, mi sembra di aver avuto una visione allucinata dovuta alla calura del deserto. Mitch è tornato e, stranamente, sembra averlo fatto in punta di piedi, senza venire annunciato dal solito casino che si porta sempre dietro, insieme a un ponderoso bagaglio di guai. Non riesco a capire come mi senta davvero; prima, alla pista di motocross, sono stata bene con lui e il sollievo che ho provato nel rivederlo è stato sincero. Tuttavia ora capsico che mi sbagliavo a cercare il mio pezzo mancante in Mitch, perché nessuno potrà mai completarmi, se non io stessa. La persona giusta è quella che mi permette di scoprirmi completa così come sono e, al momento, non è qui con me. Ragiono così, mentre penso a due occhi azzurri e ad un viso maturo che è stato in grado di guidarmi in un viaggio interiore ben più tortuoso delle strade che si snodano lungo i canyon del Nevada.
Eppure, sono ancora alla ricerca della marcia giusta da ingranare per riuscire ad allontanarmi definitivamente dal luogo in cui mi trovo adesso e cioè tra le braccia forti di Mitch, il quale ha lo sguardo perso nel paesaggio davanti a sé e tiene una sigaretta accesa tra le labbra. È a torso nudo e ha i capelli bagnati che gli ricadono sugli occhi. Senza pensarci, mi appoggio al suo petto e sento che ha un buon profumo. Intreccio le dita alle sue e scorgo dei segni neri sui polpastrelli, che non avevo notato prima e che il sapone non deve essere riuscito a cancellare. Non credo si tratti dello sporco proveniente dalla moto che Mitch ha sistemato dopo aver corso.
Così mi volto per incontrare il suo viso e, aggrottando le sopracciglia, domando: "Che hai fatto?" indicando le sue mani. Mitch accenna un debole sorriso tra sé a alza le spalle con un riflesso rapido. Dopodichè lo vedo scostarsi di poco e tirare fuori dalla tasca dei jeans un foglio bianco piegato e un po' stropicciato. "Prima di montare in sella e gareggiare ho fatto questo. Volevo dartelo quando fossi tornato a casa dopo la corsa e ti avrei rivista. Non mi aspettavo di trovarti al circuito" mi spiega, porgendomi quel biglietto. Stupita e un po' confusa, lo apro e leggo il breve messaggio scritto con un pennarello indelebile nero: Perdonami. Sono un coglione, ma ti amo. Sempre. Sorrido nel vedere la calligrafia tremante e incerta di Mitch, il quale probabilmente non prendeva in mano una penna da secoli.
Non è mai stato un asso nella produzione scritta né in qualsiasi altra attività scolastica, come me del resto. Ricordo che, quando eravamo alle elementari, proprio non ce la faceva a prendere correttamente la matita in mano; la teneva stretta nel pungo e calcava a tal punto sul foglio del quaderno che finiva per stracciarlo. Quella stronza della maestra non faceva altro che strillargli addosso, allora io le avevo chiesto se potessi sedermi nel banco vicino al suo, così da poterlo aiutare. E, da quando lo avevo conosciuto, Mitch era diventato il mio eroe, sempre pronto ad infrangere le regole per crearne delle nuove che stessero bene a lui, capace di farsi valere, ma anche vero in tutto quello che provava ed esprimeva in un modo disarmante.
Sorrido tra me nel ripensare a tutto questo e continuo a rileggere quelle poche parole stropicciate. Brevi, semplici, ma efficaci. Grezze, ma in grado di colpire con intensità. Un po' come Mitchell. Mi volto e gli accarezzo una guancia per ringraziarlo con un sorriso. Lui sorride a sua volta e io mi soffermo ad osservarlo un secondo di più. Era tanto che non lo vedevo sorridere. In quell'accenno scorgo un po' del Mitch bambino, quello che ho conosciuto e di cui, crescendo, mi sono innamorata. Quello che mi è mancato in queste settimane, ma che so di aver perso ben prima che sparisse. Il Mitchell che persino adesso non c'è, di lui resta solo l'ombra di quel sorriso. E mi manca, ma, nonostante lui sia fisicamente qui, non credo che tornerà davvero più.
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VITE DI SCARTO
Storie d'amoreLa vita di Trilly è dominata dalla legge del dare per ricevere. È quello che ha imparato interagendo con i clienti dal Night Club in cui lavora, alle porte di Las Vegas. E lo accetta. Sa come sopravvivere in quel mondo. Glielo ha insegnato Mitchell...