Capitolo 59: Vizi

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Dopo qualche minuto di silenzio, Riccardo mi domanda in un sussurro: "Eri seria prima, quando hai detto che non sono così diverso da Mitchell?" chiede, con una titubanza che non gli ho mai sentito nella voce. Faccio un respiro profondo: "Ho sbagliato. Tu non sei come Mitchell, questo lo so. E soprattutto è evidente che i tuoi gesti, le azioni e i comportamenti sono ben diversi dai suoi. Il modo in cui mi stai vicino, quello che mi fai provare. Il fatto è che, per un istante stasera, io mi sono sentita esattamente come mi fa sentire Mitchell. Impotente, prevaricata, costretta a subire una situazione spiacevole" ragiono ad alta voce. "Scusami se ho permesso che accadesse" sentenzia Riccardo e io gli sono grata per il modo in cui, come ha ammesso poco fa, si mette in discussione di fronte a me, per come rinuncia alla convinzione di poter dirigere ogni cosa.

Ripenso a come debba essersi sentito di fronte agli insulti denigratori di Tim, in un'occasione così importante per lui come quella celebrata alla festa. Poi ripenso a Kate e, senza rifletterci troppo, gli chiedo a cosa si riferisse parlando di una vita passata e accennando alle sue vecchie abitudini. Riccardo esita, deglutisce e, quando mi scosto per guardarlo in volto, scorgo un dolore profondo attraversarlo. Così decido di restare in silenzio e aspettare.

Dopo un po' comincia a raccontare: "Avevo un fratello minore, Paul. Siamo cresciuti insieme, eravamo molto legati, complici in tutti i guai in cui ci cacciavamo. Appena ho finito gli studi in marketing e imprenditoria ho cominciato a lavorare per i miei genitori, mentre Paul era ancora al college. Da ragazzi trascorrevamo le serate tra le feste organizzate nei casinò e nei club gestiti dalla nostra famiglia, governati dalla legge del godimento, dove tutto ciò che conta è l'apparenza; sempre circondati da persone più grandi, la cui unica morale era quella del profitto e del piacere. Io ho accettato tutto questo passivamente, ma Paul non riusciva a riconoscere i limiti invalicabili. Cominciò con le carte, trascorrendo intere nottate seduto ai tavoli verdi delle sale da gioco lussuose di proprietà dei nostri genitori. Presto la faccenda gli sfuggì di mano e sviluppò una vera e propria dipendenza. All'inizio i miei lo assecondarono, continuando a fornirgli le somme necessarie a pagare i debiti, con mio grande disappunto. Quando si accorsero della gravità del problema, era troppo tardi. Gli tagliarono i fondi, ma servì a poco. Provai a convincerli a portarlo via da qui, ad allontanarlo, a lasciare il Nevada per accompagnarlo in una struttura dove avrebbe potuto ricevere aiuto. Loro però si rifiutarono di rinunciare alla gestione dei propri affari e di fatto condannarono Paul a morte. A lui non importavano più i soldi, con il patrimonio di famiglia infatti sarebbe comunque riuscito a uscire dal giro. Era ossessionato dall'idea di vincere e riteneva che perdere a carte facesse di lui un perdente nella vita, come se dipendesse solo dalle sue abilità e non si trattasse di fortuna." Riccardo fa un respiro profondo, pronunciando quanto segue con enorme fatica: "Paul si è buttato dal tetto di uno dei club posseduti dalla nostra famiglia, poco dopo avermi chiamato per comunicarmi la sua intenzione. Era ovviamente fuori di sé. Ricordo che mi gettai in auto, ancora con il telefono in mano, sperando che finchè lo avessi fatto parlare avrebbe evitato gesti folli. Ma non funzionò. Guidavo sconvolto ed ebbi un incidente, in seguito al quale mi operarono alla schiena. Fu un dramma immenso per i miei genitori, eppure non è bastato a fermarli. Portano avanti le Imprese Torres come se niente fosse, continuando a fare soldi con ciò che ha ucciso mio fratello, loro figlio. Dopo l'intervento, ho abbandonato il mio ruolo nelle loro aziende, ho deciso di non voler essere complice di ciò che avvelena le vite degli altri e mi sono messo in affari con Matias."

Riccardo parla con lo sguardo perso nella semioscurità che permea il salotto e che attutisce le sue parole, dotandole di una solennità profonda. Dalla sua voce traspaiono dolore, ma anche risentimento, rancore, amarezza e senso di colpa. Tengo gli occhi fissi sulla sua espressione sofferente, mentre sento il mio cuore stringersi, impedendomi persino di respirare.

Ora capisco tanto di Riccardo e, nonostante mi trovi a condividere la sua disapprovazione nei confronti delle scelte dei Signori Torres, non me la sento neppure di giudicarli. Del resto, di fronte al dramma di perdere un figlio immagino vengano meno tutte le certezze e si possa finire con l'abbandonarsi a portare avanti un'esistenza in cui tuttavia non si crede, affidandosi unicamente all'inerzia. Ora mi spiego il rancore di Riccardo nei confronti dei suoi genitori; eppure una parte di me non può ignorare il loro dolore nel vedere allontanarsi anche l'unico figlio rimasto, soprattutto dopo aver rischiato di perdere anche lui.

Accarezzo il viso di Riccardo lasciandogli un lieve bacio sulla guancia, per poi permettergli di appoggiare il capo sulla mia spalla e di stringermi in vita. Io, una ragazzina minuta, mi trovo a consolare un uomo forte e fragile al tempo stesso, le cui ferite sono ancora aperte.

Dopo un po' Riccardo si scosta e torna a guardarmi: "So che sembra assurdo, ma adesso sai che la realtà tua e soprattutto di Mitchell non mi è poi così estranea e distante. So cosa vuol dire venire consumati dai vizi e proprio per questo mi ritengo in dovere di preservare coloro che rischiano di venirne travolti, subendo gli effetti collaterali di un problema che non è loro e che non può essere gestito senza ricevere aiuto. Mi sento in dovere di preservare te. Voglio prendermi cura di te, perché sei preziosa e voglio mostrartelo, fartelo capire. Non meriti di venire sprecata" mormora, con quella voce roca che fa vibrare ogni mia particella.

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