十; in the middle

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𝒸𝒶𝓅𝒾𝓉𝑜𝓁𝑜 𝒹𝒾𝑒𝒸𝒾, 𝓃𝑒𝓁 𝓂𝑒𝓏𝓏𝑜

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𝒸𝒶𝓅𝒾𝓉𝑜𝓁𝑜 𝒹𝒾𝑒𝒸𝒾, 𝓃𝑒𝓁 𝓂𝑒𝓏𝓏𝑜

Quando Minho ritornò nella realtà con quel fastidioso bip fargli da sottofondo, gli sembrò di rivivere un deja-vu. Aprì e chiuse gli occhi un paio di volte, abituandosi a quel seccante colore che tingeva l'intera camera. Per un momento sperò di essere ritornato indietro nel tempo e che quest'ultimo, in un modo, avesse aggiustato tutta quella terribile situazione. Però, nel momento in cui notò di nuovo il suo corpo fasciato e in condizioni ancora più gravi di come stava prima, quella speranza si dissolse come quando prendi nella mano la sabbia dorata e scivola via tra le tue dita. Minho odiava illudersi, darsi false speranze perché quest'ultime gli causavano solo ulteriore male. Cercava di non sognare mai, di accontentarsi e di non andare mai troppo oltre, di non superare i suoi limiti. Non voleva sprecare tempo in qualcosa che poi non lo avrebbe mai portato da nessuna parte, era insicuro e codardo ma quando la passione del ballo entrò a far parte della sua vita, quest'ultima travolse tutti i suoi piani. Era un qualcosa che non aveva mai provato e, per la prima volta, non si preoccupò del fatto se ne fosse capace oppure no. Scoprì di avere una parte impulsiva e la usò fino quasi a consumarla, mettendo a tacere dopo diciotto anni la sua parte rigida e riflessiva. Aveva trovato finalmente qualcosa che gli piacesse, qualcosa in cui era bravo. Non voleva diventare un ballerino famoso, gli bastava semplicemente saper essere utile in qualcosa. Mettere tutti i suoi sentimenti in qualcosa che veramente gli piaceva e non dover fingere davanti ai suoi genitori per accontentarli, Minho non voleva perdere tutto questo. Era disposto a tutto, pure ad illudersi, una cosa che tanto odiava. Lentamente spostò lo sguardo verso i dottori e quest'ultimi, con i lori occhi spenti, lo fecero cadere bruscamente con i piedi per terra. Ora che voleva illudersi, Minho non poté farlo. Non poteva sperare in una guarigione, era tutto inutile. Immaginò che il karma l'avesse punito e forse Minho non doveva fare altro che accettare tutta quella situazione, senza però andare avanti. Doveva subire quella punizione, rimanere schiacciato in quel mezzo che tanto odiava. Vivere ma non essere vivo. Morire ma non essere morto. Mentre i dottori facevano da sottofondo con le loro voci i suoi pensieri, il moro si voltò verso la finestra alla sua destra, quella dove si affacciava sul corridoio. Rimase per un momento sorpreso, nel vedere una persona appisolata sul vetro di essa. Osservando più attentamente, Minho notò di conoscere quella persona. Era quel famoso ragazzo dai capelli arancioni. Il moro assunse un'espressione arcigna, non era molto felice di vederlo. "Cosa starà facendo lì" pensò questo a voce infastidita e troppo alta, attirando l'attenzione dell'infermiera che lo stava medicando. «Non è un tuo amico? È stato lì per tutto il tempo che sei rimasto in coma in questi due giorni» Minho rimase di nuovo sorpreso nell'ascoltare queste parole dall'infermiera, riportando lo sguardo su quel ragazzo. Quest'ultimo adesso era sveglio e lo stava guardando, Minho girò di scatto la testa dall'altra parte, imbarazzato. «Presto sarai riportato nella tua camera» annunciò uno dei dottori, il più vecchio tra i tre, inchinando poi la testa e lasciando la camera insieme al resto. Minho rimase di nuovo da solo, o quasi. Il ragazzo arancione si trovava adesso sulla soglia della porta. «Posso entrare?» quest'ultimo chiese ciò timidamente, Minho con un sospiro profondo si limitò ad annuire. 



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