𝒸𝒶𝓅𝒾𝓉𝑜𝓁𝑜 𝓆𝓊𝒶𝓇𝒶𝓃𝓉𝒶𝓆𝓊𝒶𝓉𝓉𝓇𝑜, 𝑒𝓇𝑜𝑒
Il vento quella sera tirava forte e gelido, era come una lama affilata che tracciava linee sottili ma dolorose per tutto il suo corpo. Minho con le sue minute braccia (che però nascondevano alcuni muscoli) si stringeva, provando per un minimo a ripararsi dal freddo. Il buio che lo circondava non aiutava a scaldarlo ma anzi, gli provocava altri piccoli brividi per lo spavento. Vi era solo una piccola luce la cui fonte proveniva da un palo un po' più distante da lui, che aveva l'aria di spezzarsi a metà da lì a poco. Minho deglutì, mettendosi il più avanti possibile, stando attento a non stare troppo in mezzo alla via e allo stesso tempo stare in un punto in cui l'autobus l'avrebbe visto. A volte si chiedeva come mai avessero costruito la sua scuola di danza in quel luogo sperduto, ma d'altro canto era il posto perfetto per chi, come lui, era una povera anima perduta in cerca solo un po' di tranquillità e isolamento. Soltanto quando stava lì, sul viso di Minho, si dipingeva un sorriso sincero. E anche in quel momento, mentre aspettava l'autobus, Minho era felice. Felice di aver passato una giornata isolato da tutto e tutti, soprattutto dai suoi pensieri. L'unico suo pensiero fisso era quello di fare il suo meglio per la lezione, una felicità che però si frantumò in un secondo al rumore di uno scoppio. Minho si riparò il viso di scatto, il buio ora lo circondava del tutto facendogli mancare il respiro. Il palo della luce era scoppiato e la strada, non avendo nessun'altra fonte di luce, piombò nel buio. Gli occhi di Minho erano ancora aperti e riuscirono a scorgere un viso, che lo fece sussultare per lo spavento. «Cosa è successo?» chiese una voce che apparteneva ad un ragazzo, Minho ideò che si trattò di un ragazzo più piccolo di lui. «È scoppiato il lampione» rispose il moro, con la mano appoggiata sul petto. Il suo cuore stava battendo fortissimo. «Non ci voleva, adesso come ci vedrà l'autobus» proseguì il ragazzo, il suo tono era scocciato e disperato. Minho stranamente sorrise, sembrava proprio un bambino. «Non ti preoccupare, accendo il flash dal mio cellulare» e il moro lo fece. Di solito non era così socievole con le persone, però aveva un debole per i bambini. Li considerava carini e nonostante quel ragazzo non era davvero un bambino, gli ispirava dolcezza solo dalla voce. Aveva sempre desiderato avere un fratellino. Il secondo dopo aver acceso il flash, successe la catastrofe. Il ragazzo, da Minho ancora non identificato perché non ebbe il tempo, fece cadere più in là il suo cellulare, proprio in mezzo alla strada. Mentre stava per raccoglierlo, i fari di una macchina apparvero all'improvviso. Stava correndo veloce, se ne approfittava perché quella strada era poco trafficata. In cinque secondi avrebbe investito in pieno il ragazzo e Minho scattò fulmineo in avanti. «Attenzione!» riuscì ad urlare Minho, l'ultima parola che gli uscì dalla bocca prima di essere investito. Crollò a terra. Prima di essere sovrastato dal buio riuscì a scorgere la figura del ragazzo molto più in là, dall'altra parte della strada; l'aveva salvato. Minho si alzò dal letto come una molla, tutto sudato. I suoi occhi erano sbarrati. Cos'era? Un sogno? No... un ricordo. Scansò via le lenzuola da suo corpo e si mise di scatto in piedi, provocandosi una fitta di dolore per tutto il corpo. I medici questa volta l'avevano obbligato a stare a letto, doveva riposarsi per un paio di giorni e poi sarebbe finalmente uscito. Ma Minho non riusciva a riposare, doveva sapere. Si avviò con la sua stampella alla hall, trovando solo un'infermiera. «Buongiorno. Mi scusi, vorrei sapere un'informazione» l'infermiera rispose subito con un: «certo!». «Durante l'incidente di quasi due mesi fa per caso, oltre un ragazzo, che sarei io, avete trasportato qualcun'altro?». «Sì!» rispose l'infermiera, aveva aggiunto che ricordava il suo viso ma non ricordava i suoi dati personali, quindi fece una rapida ricerca. Le dita di Minho tamburellavano nervose sulla superficie della scrivania, mentre l'infermiera digitava al computer. «È un ragazzo di sedici anni. Il suo nome è Yang Jeongin, dall'incidente viene qui all'ospedale a farsi vedere una volta alla settimana» annunciò l'infermiera. Il nome del ragazzo gli era familiare. «Sapete quand'è la sua prossima visita?» chiese Minho, era impaziente di incontrarlo. «Certo! Dovrebbe arrivare proprio a momenti... eccolo!» indicò un ragazzo in lontananza che si stava avvicinando, il primo pensiero di Minho fu che per avere solo sedici anni era altissimo. «Tu sei Yang Jeongin?» chiese il moro, impacciato. Jeongin lo scrutò confuso. «Sì, tu saresti?» la voce. Minho la ricordò. Sì, era quel ragazzo di quella sera. La voce era ancora quella di un bambino e anche il suo viso ne ricordava uno. «Io sono Lee Minho» a quelle parole, gli occhi di Jeongin si sgranarono. «Minho! Come ho fatto a non riconoscerti, scusami» i suoi occhi neri brillavano, a Minho ricordavano gli occhi di una volpe. «Ci conosciamo?» Minho era sicuro che l'avesse incontrato solo quella sera, eppure perché Jeongin sembrava conoscerlo da parecchio? «Ma come... andiamo nella stessa scuola di ballo!» a quelle parole Minho assunse un'espressione sorpresa, che lo faceva sembrare totalmente uno scemo. E lo era. Come aveva potuto dimenticare un suo compagno di corso? In realtà Minho non aveva mai visto bene il viso dei suoi compagni, a stento ricordava i suoi nomi. Non aveva mai interagito con loro, il suo scopo era soltanto impegnarsi al massimo nel ballo, non facendosi distrarre dal mondo circostante. «Io... mi dispiace.» Jeongin abbassò lo sguardo. «È per colpa mia se sei finito in un ospedale, non ti ho nemmeno mai detto grazie. I dottori mi avevano ordinato di non dire nulla, per non alterarti i ricordi. Per le persone che soffrono di amnesia è meglio se ricordano piano piano da soli, senza interferenze. Questo mi hanno detto» il suo sguardo e la sua voce erano tristi. «Mi dispiace ancora... e ti ringrazio infinitamente. Mi hai salvato, sei stato il mio eroe» Minho era immobile. Non sapeva che dire, cosa pensare. «Non essere dispiaciuto, sono felice che tu stia bene, davvero.» Minho gli sorrise e Jeongin ricambiò il gesto fulmineo. Si salutarono e mentre Minho ritornava nella sua stanza, una strana sensazione lo pervase. Io... ho salvato una persona. Pensò, sorpreso. Quell'incidente gli aveva portato via la danza, la cosa più importante della sua vita, però allo stesso tempo aveva salvato una persona. In quella situazione cosa poteva fare? Ideò che si doveva arrendere, doveva lasciarsi alle spalle la danza per sempre. Doveva riprovare con qualcos'altro, doveva trovare un'altra passione. In realtà già l'aveva trovata, grazie a Jisung. Sorrise mentre apriva la porta della sua stanza e allo stesso tempo apriva un'altra porta della sua vita, era risoluto questa volta a cambiare pagina.
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minsung; retry
Fiksi Penggemar민성 Minho odiava il colore bianco, Jisung spazzò via quella sua convinzione.