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𝒸𝒶𝓅𝒾𝓉𝑜𝓁𝑜 𝓋𝑒𝓃𝓉𝒾𝓃𝑜𝓋𝑒, 𝒶𝓁𝓁𝒶𝓇𝑔𝒶𝓇𝑒 𝓁𝑒 𝓂𝒾𝑒 𝒶𝓁𝒾
Oramai quel posto era diventato un rifugio per lui, un luogo dove pensare senza però avere paura dei propri pensieri: Minho sedeva sulla famosa panchina, che si trovava sul retro dell'ospedale, ammirando di fronte a sé il vasto prato ornato da tanti piccoli fiorellini. E gli venne in mente, di spontaneo, quel piccolo dente di leone, che aveva messo accuratamente in un vaso d'acqua, sulla finestra. Da quando stava accudendo quel fiore, -datogli da quel ragazzo che aveva solo reso più confuso il suo quadro della vita con quei disegni particolari, rari-, ogni cosa attorno a sé stava leggermente cambiando. Minho si sentiva cambiato e questo lo spaventata tantissimo. La sua mente lo portò a pensare anche a quell'episodio; lui che apriva la bocca e intonava dolcemente i suoi pensieri, lui che apriva per la prima volta il suo cuore totalmente. Minho scosse spaventato la testa a quel ricordo. Le sue mani si strinsero fortemente in pugni, aveva timore di rifare quello. Di cantare. Quel verbo lo spaventava solo a pensarlo eppure le sue labbra tremavano, non vedevano l'ora di schiudersi e di far fuoruscire tutto quello che aveva nella testa e nel cuore. Fece un grosso sospiro, come a prendere coraggio. Chiuse gli occhi, quelle parole gli uscirono dalla bocca del tutto spontaneo e, con sua sorpresa, ogni parola aveva un connesso tra di loro, come se le avesse programmate già da tempo e inserite poi nella sua testa: «Voglio vivere la mia età, naturalmente» la sua mano destra premeva forte sul suo cuore, che lentamente pareva farsi sempre più leggero. «Volare con le mie ali giovani, allargare le mie ali » i suoi occhi si schiusero di scatto. «È stato bello quando mi sono comportato come un adulto, ma io non voglio cambiare, anche se loro diranno che sono un immaturo» Minho osservò Jisung sedersi accanto a sé con occhi sgranati. Ogni volta che lo sentiva cantare il suo cuore iniziava a scaldarsi e a battere forte, soprattutto in quel momento che, a quanto pare, aveva completato quel suo flusso di pensieri. Quella sua "canzone". Jisung gli stava sorridendo, Minho posò lo sguardo sul suo dente leggermente storto; pensò che quella piccola imperfezione gli donava tanto, lo descriveva. Come a dire "quello sono io, l'unico e il solo Jisung. Non sono la copia di nessuno", l'unico capace di affascinare così tanto Minho, a fargli avere il coraggio di aprire tutte le porte del mondo; ma la natura di Minho era quella di essere un codardo e nessuno l'avrebbe cambiato in questo. Minho si alzò di nuovo dalla panchina, come un deja-vu, o quasi; l'altra volta se ne andò, questa invece rimase immobile, a causa della stretta di Jisung attorno al suo braccio. «Questa volta non ti lascio scappare, Minho.» Minho lo guardò inerte; non sapeva se dargli un pugno o ringraziarlo mille volte, per tutta la pazienza che aveva con lui. Si limitò a strattonarsi dalla sua presa e risedersi con un broncio sulla panchina. Jisung sbuffò una piccola risata, Minho l'osservava con la coda dell'occhio. «Mi hai sorpreso tantissimo, non pensavo fossi così bravo a-» Minho interruppe Jisung prima che potesse continuare la frase. «Ti prego non dirlo.» Minho fissava un punto che in realtà non guardava; si chiuse di nuovo come un'ostrica, una sorta di difesa. Un leggero tocco sulla sua spalla lo fece sobbalzare, allentando però la sua difesa. Minho non poteva negarlo; si sentiva come a casa con Jisung. «Oggi mia mamma mi ha detto una cosa "non puoi avere paura senza aver rischiato almeno una volta" e non lo so, questa frase mi ha ricordato te.» Minho guardò Jisung un po' offeso. «Che cazzo vuol dire, che le mie paure sono solo delle falsità perché non ho mai rischiato?» era tanto così a rialzarsi e andare via. «Ti prego, quanto sei cretino» Jisung roteò scocciato gli occhi, Minho alzò la mano come a colpirlo e Jisung si mise subito in posizione di difesa. «Magari se rischiamo insieme, hai meno paura?» il moro si meravigliava sempre di come gli occhi dell'arancione erano capaci di persuaderlo, emanavano così calore e così tanta sincerità che Minho si sarebbe fatto sempre convincere da lui. «Mi piace la parola "iniziare" anche se non sono bravo a farlo, è sciocco ma sono ancora giovane» le loro mani si unirono così come i loro pensieri. «Adesso è difficile, crescerò presto. Sono spaventato, sto crescendo» continuò Minho, come a rispondergli di "sì" a quella sua domanda. Come a dire che insieme si completavano e separati Minho non avrebbe avuto modo di sopravvivere in quel luogo. «Minho!» Minho non capiva perché Jisung avesse urlato in modo così spaventato il suo nome, Minho non capiva perché ad un tratto la sua testa iniziò a pulsare, a ricordare immagini a scatti nella sua mente. Una luce forte che l'abbaglia, proveniente da dei fari di una macchina, e lui che si copre il viso. Tutto intorno a sé iniziò a farsi buio, gli sembrava che nella sua testa ci fossero tanti aghi a lacerargli la pelle più e più volte. L'ultima cosa che vide fu il volto di Jisung, perché Minho non era sorpreso da ciò? Perché l'altra sua metà era restata con i piedi per terra. Era consapevole che non sarebbe mai riuscito a scappare.