二十五; take me and take care of me

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𝒸𝒶𝓅𝒾𝓉𝑜𝓁𝑜 𝓋𝑒𝓃𝓉𝒾𝒸𝒾𝓃𝓆𝓊𝑒, 𝓅𝓇𝑒𝓃𝒹𝒾𝓂𝒾 𝑒 𝒶𝒸𝒸𝓊𝒹𝒾𝓈𝒸𝒾𝓂𝒾

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𝒸𝒶𝓅𝒾𝓉𝑜𝓁𝑜 𝓋𝑒𝓃𝓉𝒾𝒸𝒾𝓃𝓆𝓊𝑒, 𝓅𝓇𝑒𝓃𝒹𝒾𝓂𝒾 𝑒 𝒶𝒸𝒸𝓊𝒹𝒾𝓈𝒸𝒾𝓂𝒾

Correva velocemente nei corridoi stretti dell'ospedale, eppure a differenza dell'altra volta correva con un sorriso dipinto sulle labbra: Jisung mentre si recava nella sua camera, a prendere tutto l'occorrente necessario, pensava alle parole di Minho che gli aveva detto nella sala di riabilitazione. "Ti va di aiutarmi?", per Jisung quelle parole avevano tantissimi significati. In quel caso Minho le aveva usate per la riabilitazione, ma Jisung pensava che sotto c'era altro e l'arancione non avrebbe per nulla sprecato quell'occasione; Minho gli aveva dato un po' della sua fiducia e lui non aveva intenzione di tradirla. Era felice perché finalmente tra i due pareva che quella barriera si fosse un po' abbassata; avrebbero potuto essere degli amici e non più dei semplici conoscenti. Quando entrò nella sua camera, la piccola figura di sua madre era assorta nell'osservare i libri nella libreria di Jisung. «Non osservarli mamma, se vuoi prendine uno» Jisung sorrise teneramente a quella scena; la sua mamma era così piccola che sembrava una bambina, ma allo stesso tempo era una donna piena di forze ed energie e Jisung oltre che rimanerci male, si sorprese parecchio per la malattia che purtroppo contagiò sua madre: come poteva una donna così forte essere abbattuta in pochi giorni in quel modo? Pensava sempre Jisung da quando la mamma si era ammalata. Ma rivederla di nuovo in piedi, di nuovo combattente, riconfermò che la sua mamma nonostante ciò era forte e avrebbe continuato ad esserlo per sempre e per la donna che amava e stimava tanto, anche lui avrebbe fatto il forte. Glielo doveva. «Non so quale scegliere, quale mi consigli? Mi sto davvero annoiando» la mamma con sguardo attento osservava il suo figlio prendere tutto l'occorrente che gli serviva: la chitarra e il quaderno dove aveva su scritto ogni suo pensiero, ogni suo testo. Quel quaderno era una parte di sé e l'avrebbe mostrato a Minho, perché per avere in cambio la fiducia di una persona si doveva dare per primo la propria, quello era il pensiero di Jisung. «Vuoi che ti accompagni a fare una passeggiata?» Jisung si fermò: se la mamma era dovuta arrivare a leggere, una cosa che non le piaceva proprio, la situazione era seria. «No, non ti preoccupare. Già hai le tue cose da fare» la mamma gli sorrise e Jisung in parte la ringraziò, per comprenderlo sempre. «Posso rimandare» ma dall'altra parte Jisung non si sentiva sicura di lasciarla, la sua priorità era e rimaneva sempre lei. «Non rimandare a una cosa che potrebbe non ritornare più» quelle parole gli furono sufficienti per salutarla in un veloce bacio sulla guancia e correre via tra i corridoi. Le pensava di continuo mentre si precipitava sul retro dell'ospedale, diventato oramai il loro luogo d'incontro, dove si trovava in quel momento Minho. Jisung non poteva tradire la fiducia di Minho così, gliela aveva offerta grazie a quale miracolo, perché onestamente, pensava Jisung, lui non era una persona degna di fiducia, dopo che l'aveva mentito facendogli credere di essere forte e per questo, ancora in quel momento, Jisung era sorpreso dal gesto di Minho ma allo stesso tempo non voleva tormentarsi troppo: avrebbe semplicemente ricambiato il suo gesto con la stessa moneta. Jisung respirò la profumata aria della libertà, lì fuori tutto era così verde e colorato, una perfetta fonte di ispirazione per ogni tipo di artista. Calpestò la fresca erba, ornata da tanti tipi di fiori: li osservò con un sorriso gentile, Jisung li amava e allo stesso tempo li invidiava. Quest'ultimi erano differenti tra loro; alcuni erano delle rose, altre delle viole, altre ancora delle margherite, eppure riuscivano a vivere tutti nello stesso prato. Si domandava sempre perché non era possibile anche nella realtà, anche tra esseri umani. Perché non si poteva vivere in modo diverso da un'altra persona invece di avere tutti la stessa maschera? E mentre si chiedeva questo, un piccolo fiore lì, da solo, come ad urlare "prendimi e accudiscimi", attirò la sua attenzione: era un dente di leone. E Jisung non poté non raccoglierlo, ma non sarebbe stato lui il tutore di quel fiore; solo un'altra persona sarebbe stata perfetta per questo ruolo e sorrise mentre si diresse proprio da quest'ultima. «Pensavo ti fossi perso» questa volta Minho stava mangiando un lollipop a forma di elefante, Jisung ideò che ci aveva preso letteralmente gusto con quei dolciumi, si limitò a scrollare divertito la testa. «Ho dei regali per te» Minho cambiò la sua espressione confusa a quella sorpresa nel giro di due secondi, Jisung gli diede velocemente il dente di leone, con un leggero rossore sul viso. «Questo è il primo regalo. Prenditene cura, aveva bisogno di te» Minho l'afferrò piano e delicato, come se avesse tra le mani la cosa più preziosa al mondo. «Come posso prendermene cura quando non so prendere cura nemmeno me stesso?» il moro sbuffò una risata amara. «A quello ci penso io» gli occhi scuri di Jisung erano fissi in quelli dolci di Minho, le sue mani stringevano quelle del moro saldamente, come a dire "non mi lascerò sfuggire via la tua fiducia, l'accudirò e la farò crescere". Minho ricambiò la sua stretta, come a dire "ti ho capito, te lo lascio fare". E tutto ciò in un confortevole silenzio, perché non avevano bisogno di parole per capirsi.    



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