四十一; if you die, i die

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𝒸𝒶𝓅𝒾𝓉𝑜𝓁𝑜 𝓆𝓊𝒶𝓇𝒶𝓃𝓉𝓊𝓃𝑜, 𝓈𝑒 𝓉𝓊 𝓂𝓊𝑜𝓇𝒾, 𝓂𝓊𝑜𝒾𝑜 𝒶𝓃𝒸𝒽'𝒾𝑜

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𝒸𝒶𝓅𝒾𝓉𝑜𝓁𝑜 𝓆𝓊𝒶𝓇𝒶𝓃𝓉𝓊𝓃𝑜, 𝓈𝑒 𝓉𝓊 𝓂𝓊𝑜𝓇𝒾, 𝓂𝓊𝑜𝒾𝑜 𝒶𝓃𝒸𝒽'𝒾𝑜

Minho stava rientrando in ospedale oscillante, con la mano sinistra che massaggiava la fronte e la mano destra che manteneva la sua stampella. Pareva quasi che uscisse del fumo dalle sue orecchie, era esausto da quella piccola informazione che aveva ottenuto, ricordandosi. Non capiva ancora bene cosa era esattamente successo quella sera, per adesso sapeva solo che quella persona era legata in un modo a lui. I suoi ricordi erano troppo confusionari e poco nitidi, sembrava di stare sott'acqua ogni volta. Mentre si incamminava nei corridoi pensieroso, delle voci suscitarono la sua attenzione. «Mi dispiace così tanto, sembrava essere guarita» disse una delle signore che si trovava seduta nella saletta apposita per i pazienti. «Chissà come sta il figlio, è così giovane, sarà doloroso per lui adesso stare senza la madre» aggiunse un'altra signora, che fece rabbrividire Minho. Quest'ultimo si avvicinò a loro di scatto, facendole sussultare. «Quale signora? Di chi state parlando?» chiese impaziente, suscitando sorpresa nei volti delle anziane. «La signora Han, è venuta a mancare poco fa. È andata in sala operatoria ma non ce l'ha fatta» lo informò una di loro, Minho non ebbe nemmeno il tempo di ringraziarle che già si era ritrovato a correre, lasciando cadere a terra la stampella per essere più veloce. Le ossa gli facevano male, così come la testa che continuava a pulsare, ma lasciò il dolore in secondo piano; doveva andare da Jisung. Si precipitò nella sua stanza ma trovò soltanto delle infermiere che stavano cambiando il letto che apparteneva alla signora Han. Lo stavano già sfrattando? Però le sue cose stavano ancora lì, questo voleva dire che si trovava ancora nei paraggi. Lasciò di corsa la stanza per poi farsi un breve giro nei luoghi in cui di solito Jisung stava, ma non lo trovò da nessuna parte. Si bloccò di scatto, l'immagine della terrazza gli venne in mente come un flash. Minho si ricordò che quando Jisung aveva bisogno di un po' di aria andava sempre sul terrazzo, ma in quella situazione il moro non era sicuro che fosse andato lì solo per prendere una boccata d'aria. Gli si gelò il sangue nelle vene. Ci era passato anche lui, sapeva che quando il dolore era così forte ti impediva di pensare, ti annebbiava il cervello fino a farti compiere gesti estremi. Minho corse ancora più veloce, le ossa stavano bruciando ma non gli importava; era davvero questione di vita o di morte. Salì velocemente le scale, aprì la pesante porta della terrazza con un calcio. Un leggero venticello lo investì in pieno, il cielo stava iniziando a farsi buio. «Jisung» urlò, guardandosi velocemente intorno. Per un momento non vide nulla, finché molto più avanti avvistò una figura che sembrava stesse per cadere. Cazzo. «Jisung!» si precipitò in avanti con un balzo, gli era ancora rimasto il tocco leggero da ballerino. Afferrò giusto in tempo il polso di Jisung con la mano destra, la mano sinistra stava reggendo con tutte le sue forze la ringhiera mentre il suo busto era leggermente sbilanciato in avanti; il suo viso si trovava vicino a quello dell'arancione. «Jisung...» lo chiamò di nuovo, questa volta più dolcemente. Pareva che Jisung non si fosse ancora accorto di essere stato afferrato, aveva gli occhi chiusi. Li riaprì lentamente, sbarrandoli. «Minho... che ci fai qui» l'arancione era confuso ma allo stesso tempo era assente, sembrava soltanto un corpo vuoto, senza più anima e ciò provocò una fitta nel petto di Minho. «Sono venuto a cercarti, idiota!» Minho voleva suscitargli qualche emozione stuzzicandolo, anche se era davvero arrabbiato e spaventato. Il suo corpo gli faceva male, non sapeva se fosse riuscito a resistere in quel modo ancora per molto. «Pensavo fossi arrabbiato con me» confessò sincero Jisung, pareva quasi tornare alla normalità anche se tutta quella situazione non era per niente normale; loro due che parlavano mentre penzolavano da un terrazzo altissimo di un ospedale, ma era l'unico modo per farlo ragionare, ideò Minho. «Perché avrei dovuto esserlo?» domandò sinceramente confuso il moro. «Senti Jisung, che ne dici se ne parliamo con più calma in un posto sicuro» Minho cercò di convincerlo, ma il viso di Jisung si fece più buio. «No. Lasciami andare, ti prego» lo supplicò l'arancione. «Allora se muori tu, muoio anch'io» concluse serio Minho, mentre la mano gli scivolava lentamente dal ferro della ringhiera. 

minsung; retryDove le storie prendono vita. Scoprilo ora