十五; at the last minute

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𝒸𝒶𝓅𝒾𝓉𝑜𝓁𝑜 𝓆𝓊𝒾𝓃𝒹𝒾𝒸𝒾, 𝒶𝓁𝓁'𝓊𝓁𝓉𝒾𝓂𝑜 𝓂𝒾𝓃𝓊𝓉𝑜

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𝒸𝒶𝓅𝒾𝓉𝑜𝓁𝑜 𝓆𝓊𝒾𝓃𝒹𝒾𝒸𝒾, 𝒶𝓁𝓁'𝓊𝓁𝓉𝒾𝓂𝑜 𝓂𝒾𝓃𝓊𝓉𝑜

Jisung correva veloce tra i lunghi e stretti corridoi dell'ospedale, scontrandosi molte volte con alcuni passanti; aveva pensieri altrove per stare attento alle persone, era successo di nuovo. Tutto quello che Jisung non voleva che accadesse, purtroppo era successo. Pensò che mentre correva quello era l'unico momento dove poteva finalmente versare un paio di lacrime, dopo quelli che erano mesi, ma l'arancione non aveva le forze. Le aveva rimandate indietro così tante volte che oramai stesse le lacrime si rifiutavano di fuoriuscire. E sapeva che poi l'avrebbe rimpianto, forse proprio quel giorno. Più correva e più il tragitto pareva allungarsi, era così spaventato, così frustrato. Si sentiva così in colpa, aveva così tante cose da dire. Il tempo pareva accorciarsi sempre di più e le scuse che non aveva mai detto moltiplicarsi. Perché si voleva fare il tutto sempre all'ultimo minuto, quando non c'era tempo? Pensò. Aveva avuto tantissime occasioni per dire tutto quello che in quel momento gli frullava nella testa, ma Jisung aveva sempre rimandato. Per scocciatura, per paura. E ora si ritrovava a correre con tutto il corpo indolenzito per i colpi che aveva preso durante il tragitto e il cuore pieno di rimorsi. La stanza fece finalmente capolino dinanzi ai suoi occhi, l'arancione si fermò con affanno. Si chinò in avanti, appoggiando le braccia piene di lividi sulle sue ginocchia per prendere un po' di fiato. Il suo aspetto era in pessime condizioni; la sua faccia pallida aveva subito una notte in bianco, testimoni lo erano quelle sue profonde occhiaie. I lunghi capelli arancioni che erano sempre in perfetto ordine in quel momento erano un groviglio, e i jeans neri che indossava insieme a quella semplice maglietta a maniche corte erano gli stessi indumenti che aveva indossato anche ieri; non aveva avuto il tempo di cambiarsi. Restò fermo, immobile, mentre osservava il tutto. Si ricordò quando venne qui la prima volta, la scena fu più o meno la stessa. Solo che in quel giorno un po' di speranza c'era, questa volta invece quelle mura bianche che lo circondavano gli sembravano una gabbia soffocante e non più una casa dove ti aiutava, ti rassicurava. Le sue ginocchia cedettero sul pavimento, le braccia penzolanti lungo il suo busto. Lo sguardo era vuoto, l'unica cosa che pensava era "tempo". Datemi altro tempo, vi scongiuro. Non lo farò scorrere inutilmente questa volta.

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