capitolo 29

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Adam
Un oggetto mal riuscito,una costruzione non finita,un quadro senza colori è così che mi sono sempre sentito. Un robot malfunzionante venuto alla luce dalla mente di qualche pazzo scienziato,che a lavoro ultimato ha potuto solo guardare inerme il suo lavoro,senza la possibilità di rimediare al danno.
Sono nato nella più totale mancanza  d'affetto,senza sapere neanche cosa fosse e così ho vissuto fino ad ora.
I miei genitori,o per meglio dire coloro che mi hanno messo al mondo, sono tutt'altro che persone compassionevoli.
A loro dire non mi hanno mai fatto mancare nulla,peccato che il tutto al quale fanno riferimento,nel linguaggio comune ha una sola definizione: denaro.
Compensavano la loro totale assenza facendomi vivere nel lusso,riempiendomi di oggetti preziosi ed inutili.
Quando ero piccolo,mi crogiolavo nella convinzione che prima o poi la mia mamma e il mio papà mi avrebbero amato,facendomi sentire almeno per una volta accettato da loro. Accettato da coloro che più di tutti dovrebbero regalarti amore incondizionato e sguardi felici.
Ogni sera andavo a dormire con la flebile speranza che il giorno seguente tutto sarebbe stato diverso,che mia madre mi avrebbe accolto con un sorriso e mio padre mi avrebbe portato a vedere una partita di rugby. Mi è capitato di sognare una vita diversa,una famiglia diversa,un me diverso,felice e sorridente.
Come si sa purtroppo i sogni restano solo pensieri utopici,fragili come cristallo,che non ti salvano,ma ti distruggono,perché più sogni e più rimarrai deluso,più speri e più resterai ferito.
Non ricordo una carezza,una parola gentile,un gesto d'affetto da parte dei miei genitori. Le rare volte in cui li incontravo mi guardavano con sufficienza e mi rimproveravano per il mio portamento o per i gomiti sul tavolo durante il pranzo,come se un bambino di otto anni debba già sottostare alle regole rigide del loro dannato galateo.
Iniziai a pensare che quello sbagliato fossi io,che avessi fatto qualcosa per farmi odiare in quel modo o semplicemente che la mia stessa nascita fosse stato un errore. Col passare del tempo poi,ho constatato che il loro atteggiamento non lo riservavano solo a me,ma a qualsiasi essere umano che non meritava la loro stima.
Le volte in cui ero costretto a partecipare ai loro party,mi rintanavo in un angolo osservando quel mondo di falsi sorrisi e di mani pronte a pugnalarti al momento giusto.
Ero ormai diventato una lastra di ghiaccio che lasciava scorrere su di se ogni parola,ogni gesto.
Crescendo mi feci sempre meno paranoie sulla mia famiglia,meno domande sul perché fosse tutto così difficile.
Iniziai a vedere le cose sotto un aspetto diverso,cercando di sfruttare la mia situazione. Ero il bambino ricco che poteva fare di tutto senza regole.
Mi atteggiavo a duro e picchiavo chiunque osasse contraddirmi,non avevo paura delle conseguenze perché nessuna punizione mi avrebbe fatto del male,ero ormai caduto in un baratro così profondo che nessun dolore mi avrebbe potuto colpire.
Negli anni successivi non mi sono mai posto freni,tutto ciò che mi andava  lo facevo senza pensarci su,mio padre avrebbe insabbiato ogni cosa per salvare la sua reputazione.
Al liceo ero il tipo ricco,bello e intelligente, le ragazze facevano a gara per portarmi a letto ed io non mi facevo di certo pregare.
Mi iscrivetti all'università solo per poter partecipare alle feste delle confraternite,mi avevano sempre affascinato i racconti degli ex alunni su quei memorabili party.  Non me ne perdevo una e tra alcol,donne e erba il giorno seguente ero come uno zombie che doveva ricominciare tutto daccapo.
Mi ero fatto piacere quella vita. Quella che avrebbe fatto gola a tutti,ma che nessuno avrebbe voluto davvero. Quella che ad uno spettatore esterno poteva sembrare  un sogno,ma che invece somigliava più ad un incubo.
L'unica luce in quella oscura bolla di falsità era Jack,con il tempo è diventato mio amico,mio fratello,mio confidente per spiegarlo in una sola parola la mia famiglia.
Lui mi ha sollevato quando ero caduto troppo in basso,lui non è mai stato attirato dal potere dei miei,lui era lì per me.
Come una malattia che ti colpisce in continuazione creando in te anticorpi sempre più forti per debellarla,così io creai un guscio solido come l'acciaio e soprattutto impenetrabile.
Tutto cambiò un giorno di ritorno da una delle mie tante vacanze,accompagnai Jack a casa sua e con la macchina entrai nel vialetto in ghiaia,subito la mia attenzione fu attirata dalle valigie poste davanti la porta. Pensai ad una partenza dei miei,anche se erano davvero troppe per una vacanza. Mi avvicinai e ne aprì una,svelando parte del mio guardaroba ripiegato con cura.
Non potevo credere a quello che stava succedendo.
Entrai in casa come una furia,mi precipitai nella mia camera da letto guardandomi intorno immobile,era stata completamente stravolta. I poster che avevo attaccato alle pareti nell'arco di quegli anni erano spariti. Gli armadi erano stati svuotati e il letto non aveva più lenzuola,il materasso era in bella vista. Era tutto asettico,come una stanza d'ospedale con le pareti spoglie,non era più la mia camera da letto. Non era più il posto in cui più di altri mi sentivo solo,non c'era più nulla di mio lì dentro.
Scesi le scale velocemente incontrando la governante che mi guardò avvilita e rammaricata. Ad ogni passo la rabbia cresceva sempre di più,ero un vulcano pronto ad esplodere,i nervi erano tesi e i muscoli contratti.
Arrivai in salotto sicuro di trovare mio padre,quello era il suo angolo,il suo posto. Attraversai il corridoio e lui era lì seduto sulla sua solita poltrona,in un completo di alta sartoria che fumava tranquillamente il sigaro,consapevole della guerra che si stava verificando dentro di me.
Sapeva del mio arrivo perché,anche se cercava di nasconderlo sul suo viso c'era un accenno di ghigno,quello che riservava alle persone che aveva il piacere di sconfiggere.
Quando mi avvicinai a lui non mi diede il tempo di proferire parola,senza mai alzare lo sguardo dal quotidiano,alzò una mano per zittirmi e con il suo tono altezzoso e saccente mi disse "Sono stanco di pagare i divertimenti di un figlio viziato. Da oggi in poi dovrai vedertela da solo."
Rimasi lì a guardarlo sorseggiare elegantemente il suo te metabolizzando le sue parole.
In quell'attimo rividi ciò che ero stato fino ad allora,continuavo a lamentarmi della mia vita,ma non avevo fatto nulla per cambiarla. In qualche modo non ero in grado di lasciare ciò che mi faceva sentire inutile ed incompleto e in quel momento mio padre mi aveva sputato in faccia tutto il suo odio,perché riteneva che quello sbagliato fossi io e fu allora che iniziai a ridere fragorosamente. Non gli avrei mai dato la soddisfazione di vedermi debole o abbattuto. Lui mi guardò con sgomento,si sarebbe aspettato una reazione diversa.  Immaginava forse che suo figlio inginocchiato ai suoi piedi avrebbe chiesto perdono,per errori mai commessi speranzoso di mantenere il suo stato sociale.
Contrariamente alle sue aspettative nel suo gesto egoistico ed inumano io vidi soltanto un trampolino di lancio per creare una vita cucita per me, rinnegando tutto ciò che ero stato fino a quel momento. Mi sarei liberato da quelle catene di finto perbenismo che mi erano sempre state strette,avrei finalmente potuto sbattere le ali per la prima volta e librarmi in aria,fino a toccare quel cielo che tanto avevo bramato.
Lo guardai negli occhi e prima di oltrepassare quella porta per non fare più ritorno gli intimai "ci rivedremo presto!"
Non fu molto velata come minaccia,ma non importava,in un modo o nell'altro,un giorno ,non sapevo ancora quando, gli avrei dimostrato che nonostante tutto io ero un uomo .

Ancora oggi se penso al gesto di mio padre mi viene da ridere. Colui che si qualificava quale uomo eccelso e indubbiamente intelligente aveva dimostrato di essere un incoerente.
Come un pittore che per il suo grande capolavoro continua a dare pennellate di nero,non potrà mai sperare di vedere affiorare un arcobaleno di colori,così loro non potevano pretendere che un figlio  considerato al pari di un soprammobile da impreziosire con abiti firmati potesse diventare un uomo della loro insulsa schiera di manichini.
Credevano avrei indossato i panni di mio padre,ma mai mi sarei lasciato prevaricare dai principi immorali sui quali era basata la loro società.
Quella società che ti tiene in pugno,che ti dice come camminare,come parlare e come agire,che deturpa il tuo essere,ti riduce in tanti piccoli pezzettini e ti ricostruisce a suo volere,creando tante fotocopie accomunate da una facciata di apparenza e dell'animo vuoto.
Da quel giorno lavorai duramente,senza tregua per arrivare dove sono ora,per dimostrare a mio padre che quel figlio tanto screditato sarebbe stato la sua rovina. Perché è così che senza alcun rimorso ho messo mio padre in ginocchio e ho ignorato le sue suppliche di non rovinargli la carriera.
Sono stato un bastardo senza cuore,ma quello che sono lo devo a lui,alla sua mancanza,alla sua indifferenza.
Mi sono sempre definito un uomo che da solo può fare qualsiasi cosa,che non ha bisogno di cose come l'amore,l'affetto anche perché se mi fossero passati davanti non avrei neanche saputo riconoscerli.
Pensavo di essermi ormai abituato alla solitudine,alla mia vita fatta di solo me stesso,almeno fino a ieri.
Saputo che Aiko sarebbe uscita,ho deciso di unirmi anche io,il pensiero che qualcuno potesse anche solo sfiorarla mi faceva ribollire il sangue.
Sapevo che era arrabbiata,ero ancora memore di quello che era successo il pomeriggio stesso,ma la situazione non mi sembrava tragica quando l'ho salutata nella macchina.
L'ho vista allontanarsi con la sua amica e andare al bancone del locale,poi si è lanciata tra le braccia del barman,la voglia di alzarmi e prenderlo a pugni stava invadendo ogni fibra del mio corpo,ma ero consapevole che se avessi fatto una cosa del genere lei non mi avrebbe mai perdonato. Quindi sono rimasto tutto il tempo seduto a guardare il quadretto che avevo di fronte,sorbendomi un monologo di oltre mezz'ora del ragazzo di fianco a me,del quale non ho recepito una sola parola. La mia attenzione era tutta rivolta a loro,alla loro intimità forse un po' troppo profonda e alla mia gelosia che mi stava corrodendo dentro.
Quando è tornata al tavolo sul suo volto c'era una espressione strana,diversa,dopo avermi regalato uno sguardo gelido si è seduta e non mi ha rivolto la parola. Nel giro di qualche minuto sono diventato invisibile ai suoi occhi,ad ogni mio tentativo di conversazione mi scacciava come  fossi un insetto fastidioso che ti ruota attorno facendo quel ronzio assordante.
Non era la prima volta che ci ritrovavamo in una situazione simile,ma un campanello d'allarme si accese nella mia testa avvertendomi, che questa non sarebbe stata una  semplice discussione. 
Da ieri Aiko ha creato una specie di barriera con la quale mi tiene a distanza,riservandomi solo la più gelida indifferenza. 
Colei che mi ha insegnato a guardare il mondo con occhi nuovi, che mi fa sorridere nonostante tutto,che mi fa star bene con un semplice sguardo  è diventata qualcuno che non conosco.
Guardo l'orologio ed è ora di pranzo. Ho passato la mattina a contrattare con clienti noiosi ed impertinenti e adesso devo finalmente affrontare la situazione. Esco dal mio ufficio con passo deciso e mi avvicino alla sua scrivania,lei è lì con indosso la giacca e la borsa tra le mani,pronta ad uscire per il pranzo.
<Aiko aspetta!> Dico speranzoso che lei si volti a guardarmi con quegli occhi pieni di vita,di passione.
Quegli occhi in cui mi sono perdutamente perso una mattina come tante e nei quali vorrei smarrirmi per sempre.

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