Parte 29

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Non potevo assolutamente scappare, altrimenti avrebbero dato l'allarme e avrei perso ogni possibilità di trovare Christopher, così non mi feci intimidire dal fatto che fossero in tre. Mi teletrasportai dall'altra parte della stanza proprio un attimo prima che il suo pugno si schiantasse sulla mia mascella.

<Un angelo!> esclamarono i due ragazzi. Si precipitarono verso di me, velocissimi. Il biondo mi lanciò una sfera di fuoco e io risposi con una di energia angelica. Le sfere si scontrarono, esaurendosi con un piccolo botto. Scattai verso di lui e lo colpii allo stomaco con un pugno, facendolo piegare, e poi gli tirai un calcio in faccia, mandandolo al tappeto. Il ragazzone mi afferrò da dietro ma io andai indietro con la testa rompendogli il naso, a giudicare dallo scricchiolio che sentii. Di nuovo libera, mi preparai allo scontro con la ragazza, ma lei fu più veloce e colpì alle gambe, facendomi perdere l'equilibrio. Mi lanciò una sfera di fuoco, che non riuscii ad evitare prontamente e mi ferì la spalla sinistra. Accecata dal dolore mi rialzai a fatica. Ora si che ero arrabbiata! Notai che il ragazzo biondo si era ripreso e stava per attaccarmi, così capii che era il momento di eliminare qualche elemento dal quadro di gioco. Mi ritrovai davanti a lui in men che non si dica e, concentrando la mia energia angelica all'interno del mio braccio in maniera tale da renderlo duro come la pietra, gli tirai un pugno all'altezza del cuore. Il colpo fu così potente da mandarlo a sbattere contro un muro e subito mi fiondai su di lui, perforandogli il petto con una sfera di fuoco. Il ragazzo mi guardò sconvolto e poco dopo scivolò al suolo come un fiore appassito. Mi abbassai appena in tempo per evitare un gancio in faccia e notai un braccio grosso quanto la mia coscia passarmi ad un centimetro. Il ragazzone era paonazzo in viso per la rabbia. Schivai qualche attacco combinato dei due ed eliminai la mia gravità. Colmai la differenza d'altezza che mi separava dalla faccia del gigante e gli scaricai a dosso tre sfere infuocate. Quando il suo corpo cadde per terra preferii non guardare. Anche trattandosi di demoni, avevano pur sempre l'aspetto di esseri umani, e non era proprio un bello spettacolo da vedere. La distrazione di un secondo mi fece guadagnare un bel calcio nello stomaco, che mi tolse il respiro. Caddi in ginocchio, tossendo. Mi voltai e vidi la ragazza con due sfere di fuoco pronte ad essere scagliate.

"Che brutto modo per morire", pensai. Proprio quando la rossa stava per finirmi, una delle porte alle mie spalle esplose e qualcosa che assomigliava ad una saetta di fuoco colpì in pieno la ragazza, che morì all'istante. Mi riabbassai il cappuccio sulla testa, approfittando della momentanea nebbia causata dall'esplosione, e provai a capire chi fosse intervenuto. Doveva essere stato assurdo, per un demone, vedere tre demoni superiori attaccare quella che lui pensava essere la Regina. Ero salva per miracolo!

<Cos'è questo, un altro trucco? Hai indebolito il sigillo per farmi tentare la fuga e mettermi alla prova, chiedendo ai tuoi scagnozzi di attaccarti per finta e vedere se avessi deciso di salvarti oppure no?> chiese una voce maschile vagamente familiare. Quando la nuvola di fumo si diradò, un ragazzo si avvicinò minaccioso, sovrastandomi con la sua altezza e con una sfera di fuoco in mano. Che idiota ero stata! Di chi altri poteva essere la voce familiare che avevo sentito, se non dell'unica persona che conoscessi agli Inferi? I suoi occhi verdi erano furiosi e continuava ad avanzare implacabile. Ero così sconvolta di vederlo per la prima volta in una situazione che non fosse un ricordo, che non riuscii a proferire parola e mi limitai a fissarlo.

<Hai fatto male i tuoi calcoli, madre. Non mi importa niente se vivi o muori dopo avermi tolto tutto ciò che di più caro avevo al mondo!> urlò alzando la mano, pronto ad uccidermi.

<No, papà!> gridai indietreggiando e coprendomi il volto con le mani. Il cappuccio mi scivolò dalla testa e nella stanza calò un silenzio tombale.

"L'ho chiamato papà", pensai sconcertata. Non ero riuscita a chiamare Dana "mamma" finché non avevo dovuto lasciarla, e l'avevo fatto più per darle una gioia che per altro. Se lo meritava completamente. Ma con lui era stato diverso. Dopo aver visto i ricordi di Dana ed essere venuta a conoscenza di quello che entrambi avevano passato in questi venticinque anni, non avevo più voglia di vederli soffrire, così quella parola era uscita in maniera naturale. Mi azzardai a sbirciarlo e lo vidi immobile, con gli occhi sgranati per lo sbalordimento. Abbassai le mani e lui finalmente riconobbe in me sua figlia, tremendamente simile alla donna che amava, ma con i suoi occhi. Si sedette sui talloni e abbassò la testa, per nascondermi il suo viso, ma delle piccole gocce iniziarono a bagnare il terreno.

L'Angelo PerdutoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora