Parte 4

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Alle sei la sveglia suonò, così mi alzai e andai a lavarmi. Feci di tutto per tenermi lontana dalla cucina, per cancellare dalla mente il ricordo di quella conversazione assurda avuta con un altrettanto assurdo ragazzo che farneticava di essere un angelo. Purtroppo, però, arrivò l'ora di andare a lavoro, e fui costretta a passarci. Tutto era come la sera precedente, quindi la possibilità che fosse stato solo un sogno svanì definitivamente, a meno che non mi fossi alzata durante la notte in preda ad un episodio di sonnambulismo isterico e avessi iniziato a lanciare tutto per aria. Non riuscivo a decidermi su quale delle due opzioni fosse più preoccupante. Arrivai in ufficio di malumore, e Rose non tardò ad accorgersene.

<Anche questa mattina ti sei alzata con il mal di testa?>

<Si! Magari!> sbuffai, accasciandomi sulla sedia della mia scrivania.

<Centra un ragazzo?> domandò emozionata.

<Diciamo pure di sì. Ma non è come pensi. È un tipo odioso e pieno di sé>.

<L'odio è a un passo dall'amore> disse sorridendo. La guardai rassegnata, con lei non c'era speranza: vedeva una storia d'amore in qualsiasi situazione. In ufficio fu una noia mortale: compilammo scartoffie su scartoffie riguardanti gli omicidi di quelle dieci persone.

Ovviamente, questo non fece che peggiorare il mio umore, visto che quella gente era morta per causa mia. Nessuno poteva convincermi del contrario. Tornai a casa esausta, stressata più mentalmente che fisicamente, e mi gettai sul divano, accendendo la tv. Sentivo come se qualcuno mi stesse osservando, quindi mi alzai e andai a chiudere le persiane. Bene! Ora stavo diventando anche paranoica, e tutto per colpa di quell'idiota, del quale non sapevo neanche il nome. Era tutto troppo assurdo. Mi aveva salvata, va bene, ma pur sempre dopo avermi fatta malmenare, quindi di sicuro non l'avrei ringraziato. Nonostante fossi stata quasi uccisa da quell'essere d'ombra, non riuscivo ancora a credere a ciò che mi aveva detto il signor "il mio nome non è importante". Come potevo essere un angelo? Niente nella mia vita mi aveva mai fatto sospettare di essere diversa. I miei genitori ne sapevano qualcosa? Ero stata adottata, questo lo sapevo, ma ero convinta che loro fossero all'oscuro di tutto. Fu con questi interrogativi che mi addormentai.

Nonostante non dovessi andare a lavoro, l'abitudine mi tradì, e non potei evitare di svegliarmi alle sei in punto. Feci una doccia, ma non durò abbastanza. Quando non lavoravo non sapevo assolutamente come occupare il tempo.

"Sono una sfigata", pensai scuotendo la testa. D'improvviso sentii un rumore provenire dalla cucina. Presi la pistola vicino al letto e andai a dare un'occhiata, scivolando furtiva lungo il muro del corridoio, mentre pensavo ad un piano di attacco e...

<Che stai facendo?> chiese una voce dietro di me. La riconobbi all'istante, e fui tentata di girarmi e premere il grilletto, ma mi trattenni. Comunque, non gli risparmiai uno sguardo acido.

<Cosa vuoi? Ti rendi conto che sei entrato in casa mia senza permesso? Di nuovo? Sono una detective, niente mi avrebbe potuto impedire di spararti>

Lui scoppiò a ridere. <Le armi dei mortali non possono uccidere gli angeli>

Lo guardai delusa. <Quindi mi stai dicendo che se ora ti scaricassi l'intero caricatore a dosso non sentiresti niente?>

<Solo un leggero fastidio, come un pizzico> continuò lui, sempre con quel suo odioso sorrisetto.

<E dimmi un po', com'è che si uccide un angelo?> chiesi speranzosa.

<Non sono mica così pazzo da dirtelo>

Sbuffai, e andai verso la cucina. <Comunque cosa ci fai qui? Pensavo di essere stata abbastanza chiara l'altra notte>

L'Angelo PerdutoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora