Parte 3

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Indietreggiai, riuscendo finalmente ad inquadrare l'essere che mi aveva attaccato la sera prima, ma lui fu più veloce: mi prese dal collo e mi sollevò. Lo fece con una facilità inaudita, come se fossi nient'altro che una bambola di pezza.

Provai a prendere la pistola – solo un riflesso condizionato, visto che avevo già appurato che fosse immune ai proiettili - ma mi bloccò. Chi diamine era? Cosa voleva? Si limitava a fissarmi, come in attesa di qualcosa che, evidentemente, non arrivò, perché cominciò a stringere la presa sempre più. Non riuscivo a respirare.

Iniziai ad agitare le braccia e misi le mani sulla sua faccia, per cercare di spingerlo via, ma era troppo forte. Stavo ormai per perdere i sensi, quando dalla mia mano fuoriuscì una specie di palla di luce, che lo colpì di striscio. L'essere mi spinse via, e caddi nuovamente a terra.

Restò confuso per un attimo, ma quello strano fenomeno lo aveva fatto infuriare ancora di più. Percepii il suo odio profondo e lo vidi avanzare verso di me, ma questa volta non avrebbe aspettato, mi avrebbe uccisa senza alcun preambolo, me lo sentivo. Un'altra figura arrivò dal nulla, così velocemente che quell'essere di oscurità non fece neanche in tempo a girarsi. Questa, però, aveva sembianze umane. Il suo braccio si illuminò e trapassò la parte destra del petto del mio assalitore, che lanciò un grido gutturale e contrattaccò, riuscendo a liberarsi e a fuggire. Forse perché avevo sbattuto la testa, o forse, semplicemente, perché mi sentivo come svuotata, svenni.

Quando mi svegliai era ancora notte. Provai ad alzarmi, ma un forte senso di vertigine me lo impedì. Mi tastai la fronte, ma il taglio era sparito. Ricordavo di avere diverse ferite, e non mi capacitavo di come potessi, in quel momento, sembrare illesa. Non potevo aver immaginato tutto, perché altrimenti avrei davvero dovuto considerare l'ipotesi di vedere uno psichiatra.

<Sai che russi?> disse una voce sconosciuta. La mia mano scattò subito verso la pistola, ma non trovò nulla. <Cerchi questa?> mi chiese la voce, quella di un ragazzo. Nonostante la poca luce che filtrava dalla finestra, riuscii a vedere una sagoma con in mano la mia pistola.

La toccava quasi con disgusto, tenendola tra pollice e indice. La pistola di riserva era in cucina, quindi calcolai la distanza fra il letto e la porta e capii di potercela fare. Saltai giù dal letto ma riuscii ad arrivare solo in corridoio, perché non avevo calcolato il fattore vertigini.

Stavo per cadere, sbattendo la faccia a terra per l'ennesima volta quella notte, quando qualcosa mi afferrò, mi tirò su e mi portò sul divano del soggiorno. Accese la luce e ci vollero un paio di secondi perché mi abituassi. Lui era appoggiato al muro e mi osservava circospetto. Aveva i capelli rossi, molto scuri, tendenti al castano, stesso colore per il sottile strato di barba.

Gli occhi, invece, erano di un azzurro chiarissimo. Il corpo era teso e questo accentuava i suoi muscoli, che si intravedevano sotto il maglione nero aderente. Era piuttosto sexy, dovevo ammetterlo.

<Hai finito di squadrarmi?> mi chiese scocciato.

Rimasi stupita dal tono duro della sua voce. <Scusa tanto se cerco di capire chi diamine mi ritrovo davanti> risposi acida.

<Il mio nome non è importante> continuò lui, non accennando minimamente ad usare un tono più gentile. <Ciò che importa è sapere perché ho fatto ciò che ho fatto>

<Sai, stasera ho preso parecchie botte in testa, quindi non sono in vena di indovinelli. Siamo in casa mia e le domande le faccio io!> esclamai irritata. <Prima di tutto: come hai fatto ad entrare?>

<Le chiavi erano nel quadro della macchina> disse semplicemente, guardandomi come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Cavolo! Che figura da idiota! Pensai bene alla domanda stavolta.

L'Angelo PerdutoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora