15. Poesia

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-Sono in giro. Se vuoi passo a prenderti io. Dimmi solo dove abiti.-

Poco dopo Jace suona il clacson di fronte casa mia.

Entro in macchina e lo saluto, ma non siamo soli. «Ciao, ragazzi.» Nessuno dei due ricambia.

«Ehi, Jacey, ma questo non è il ragazzo gay che ti ha baciato alla tua festa?» chiede stizzita Rachel, parlando come se io non ci fossi.

Lui annuisce. «Te l'ho detto che in realtà non è gay.»

Credo che sia la prima volta che sento pronunciare questa parola a Jace.

Rachel scoppia a ridere. «Sì, come no. Perché stai con questo qui? Ti rovini la reputazione, tesoro» dice accarezzandogli i capelli. «E poi tu sai come la penso io, non mi va che tu stia insieme a lui.»

Ancora mi chiedo perché questa tizia sia con noi, e ancora mi chiedo che vuole dire con l'ultima frase.

«Sono costretto a dargli lezioni di ripetizione.»

«Anche stupidino allora» continua a ridacchiare.

Decido di non risponderle, potrei solo offenderla e dalla parte del torto passerei io.

Sono convinto che Jace prima o poi si fermerà davanti qualche casa e la farà scendere. Le starà dando solo un passaggio.

Ma rimango un po' sbalordito quando, invece, viene a casa con noi.

«Vai in camera mia, Black. Sto arrivando.»

Faccio come ha detto e salgo le scale, rammentando ancora qual è la stanza giusta.

Mi affaccio dalla finestra chiusa che dà sul balcone, ma giuro che non lo faccio per intromettermi o per spiarli.

La stanza dà sullo spazio antistante la casa, quindi sul lago, e vedo quei due baciarsi davanti alla porta d'ingresso. Nello stesso momento arriva un'auto con a bordo un'altra ragazza: non la conosco ma penso che sia un'amica di Rachel. Lei sale e poi se ne vanno con un rombo di motore.

Jace non la guarda andar via, anzi rientra subito dopo averla baciata, senza voltarsi a verificare che quella fosse veramente l'amica.

«Da quando tu e Rachel state di nuovo insieme?» chiedo quando entra in camera.

«Non sono affari tuoi, Black. Prendi il libro di matematica e iniziamo.»

* * *

«Senti, Jace, non hai un'altra cavolo di sedia? A scrivere stando seduto sul tuo letto mi sta venendo la gobba.»

«Nello sgabuzzino ce ne dovrebbe essere qualcuna» risponde in tono tranquillo mentre corregge uno dei miei esercizi.

«Oh, certo! Come ho fatto a non pensarci prima! Lo sgabuzzino!» esclamo con gesti teatrali. «Sai, Andrews. Non vivo in questa casa.»

«Risolviamo la cosa: mettiti tu alla scrivania, io mi metto sul letto. Almeno mi rilasso un po'.»

A questo punto lui si alza e mi lascia il posto. Mi chiedo cosa gli costi andare a prendere un'altra fottuta sedia. Mi siedo alla scrivania e comincio a leggere tutti i suoi appunti sui vari quaderni. Ci sono appunti di matematica in mezzo a esercizi di chimica o lezioni di letteratura. Jace non sembra essere una persona che tiene tutto in ordine, ma nel suo caos riesce a trovare tutto.

«Hai sbagliato di nuovo il segno, qua» dice appoggiandosi alla testiera del letto e indicandomi l'esatto punto del mio errore. Il fatto che è sulle coperte senza essersi tolto le scarpe mi fa impazzire, ma evito di spiccicare una parola a proposito. «Tutto sommato non sei messo molto male, hai solo bisogno di più concentrazione. Ti mangi i numeri, sbagli i segni...»

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