72. Cause

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Rimaniamo per un tempo lunghissimo davanti l'entrata, tengo stretto Jace tra le mie braccia, lo tengo così saldamente che non gli permetterò mai più di scappare da me. Mi ha detto che non riesce più a tenersi le cose dentro, che vuole finalmente vuotare il sacco.

«Cos'è esattamente che ti ha impedito di confidarti con me, eh?» mi lascio sfuggire a voce alta. «Ti ho sempre detto che di me ti puoi fidare, che non ti giudicherò mai. Perché ti sei ostinato ad ignorarmi, ad evitarmi solo per non dirmi nulla? Ho per caso tradito la tua fiducia?» continuo, allora, con voce sofferente, chiedendomi dove mai ho potuto sbagliare.

Mentre accarezzo la sua nuca con la mano, e lui mi stringe la maglia avvolgendomi con le sue braccia, risponde: «Io... mi fido di te, Alec. Sei l'unica persona di cui mi fidi. Ma non è così semplice, non lo è per niente.»

«Che cosa?»gli chiedo adesso con più insistenza, sciolgo il nostro abbraccio guardandolo negli occhi, ma tenendo sempre la presa salda sulle sue spalle. «Cos'è così complicato? Avremmo potuto risolvere qualsiasi cosa, se ti fossi deciso a parlare subito anziché adesso. Abbiamo perso un mese, Jace.»

Mentre dico queste parole prendo effettivamente coscienza del fatto che è passato davvero tanto tempo. Abbiamo perso così tanti momenti, e non torneranno più indietro.

Improvvisamente mi ricordo anche di quanto mi abbia ferito, e in un'ondata di egoismo, non mi importa se adesso lui è qui davanti a me che piange, che soffre pure lui... Sono ancora arrabbiato e deluso. Davvero possiamo permetterci di dimenticare quanto male mi abbia fatto?

«Forse se ti spiego tutto quello che ho pensato, capirai. Capirai perché ti ho lasciato, capirai perché anche adesso mi sento come se stessi sbagliando ad essere con te.»

«Jace, non aspetto altro da settimane. Andiamo.»

Per un attimo sono tentato di afferrare la sua mano nella mia, invece lascio perdere. Semplicemente, lui mi segue fino in camera mia dove, dopo aver avvisato mia madre che il biondo è con me, ho chiuso la porta. Mi siedo sul letto, con quel modo di fare arrabbiato, attendendo quei tanto agognati chiarimenti.

Ma Jace sbuffa, si porta le mani ai capelli, li tira indietro e poi sbuffa di nuovo. «Non dovrei essere qui. Io non dovrei stare con te e basta.»

«Ti stai tirando di nuovo indietro?» sbotto, allora.

Lui mi guarda con uno sguardo disperato, come se non riuscisse a trovare una decisione. «Tu non capisci. Io non sono fatto per stare con te, non sono abbastanza per te. Io riesco a farti solo del male, ti faccio solo soffrire. Paul ha perfettamente ragione, ha capito ciò che tu ti ostini a negare, ovvero che io non riesco ad accettarmi, Alec» comincia a parlare tutto d'un fiato. «Non riesco ad accettare me stesso per le paure che ho. Sai che sono l'opposto di quello che mostro, sono un patetico essere debole che non riesce a sconfiggere le proprie insicurezze e teme i propri nemici. Non sono bravo per niente a parole, non riesco mai ad esternare i miei sentimenti e, di conseguenza, tu non capisci! Non potrai mai capire se io non parlo, perciò finirò ancora e ancora per ferirti, senza riuscire a spiccicare una singola fottuta parola!» parla alzando la voce e cominciando a camminare convulsamente per tutta la stanza.

A questo punto, sconvolto dalle sue parole, mi alzo dal letto e lo afferro di nuovo per le spalle, cercando di calmarlo almeno un po', ma sarà difficile visto che anche io sono in un incontrollabile e inaspettato stato di agitazione e ansia.

«Ho ragione, vero? Se io non fossi così fottutamente patetico e stupido, noi due non ci saremmo mai lasciati. Faccio sempre scelte orribili, combino stronzate e poi non riesco nemmeno a prendermi la responsabilità e chiedere scusa!»

Ama e fa' ciò che vuoiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora