60. Capire

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«Ciao, Jace!» lo saluto felice correndo verso la porta di casa mentre lui mi guarda dal balcone di camera sua e fuma una sigaretta.

Gli sfoggio il mio sorriso migliore, incapace di contenere la felicità dopo l'episodio di ieri. Sono ancora incredulo che i miei genitori siano felici di chi io sia veramente. Non sono costretto a nascondermi più, almeno davanti a loro, e sono veramente felice di questo.

«Entra» parla Jace con un insolito tono distaccato. «La porta è aperta.»

Alzo un sopracciglio per la confusione, ma apro la porta e salgo le scale, comunque, quasi saltellando.

Non appena arrivo in camera sua, noto che lui è ancora sul balcone, appoggiato alla ringhiera a fissare il sole che si attarda a tramontare.

«Jace» lo richiamo spostando la tenda e raggiungendolo.

Ma lui sembra quasi assente, il suo sguardo è fisso davanti a sé e non dà alcun segno di vita. Come nei messaggi ieri. Poi sospira.

Gli afferro la mano tra le mie e lo richiamo: «Ehi, Jace. Che c'è che non va?»

Si volta di scatto verso di me, come se avesse capito solo ora di avermi accanto. Sfoggia all'improvviso un sorriso. «Non c'è niente che non va. Sono solo stanco, oggi è stata una giornata pesante a scuola.»

«Hai ragione» rispondo tranquillizzandomi.

Oggi abbiamo avuto un altro test di filosofia. Ho scoperto che Freud è un mezzo pazzo, mentre studiavo col mio ragazzo in preparazione del test, ma le cose che dice sono veramente interessanti. Perciò credo di aver avuto di nuovo quell'interesse dimenticato per la filosofia, ma forse è stato il fatto di studiarla insieme a Jace che l'ha resa interessante.

Credo che per una volta quel test mi sia andato bene. E di sicuro anche Jace non avrà avuto problemi... Aspetta, penso... quindi perché sembra così preoccupato?

Noto solo ora che le sue nocche sono arrossate. Non ci credo, l'ha fatto di nuovo.

«Hai fatto di nuovo a botte, oggi?» gli chiedo preoccupato a mia volta. Anche un po' arrabbiato. Sembra che ogni volta che io gli consigli di lasciar perdere le risse, da un orecchio gli entra e dall'altro gli esce. «È per questo che sei così assente?»

Annuisce, abbassa lo sguardo come se si sentisse in colpa. «Lascia perdere questo discorso. Non volevi raccontarmi di tua madre?»

All'improvviso ricordo il vero motivo per cui sono da lui, adesso. Tra il test di oggi e il nostro non poter stare insieme per troppo tempo a scuola, non ho avuto modo di raccontargli dell'avvenimento di ieri. Ed ero troppo emozionato per poterlo fare tramite messaggi. Così il buon umore si impossessa nuovamente di me e mi fa tornare a sorridere.

«Jace, sono veramente felice di quello che è successo.»

Comincio a raccontargli per filo e per segno come sono andate le cose, da come mia madre ha preso la scusa di cucinare insieme per prendere il discorso, di come abbia tirato fuori l'argomento con facilità e mi abbia rassicurato, dicendo che per lei basta solo che io sia felice. Gli ho raccontato di come mio padre sia venuto a scoprirlo per caso - chissà quando glielo avrei detto, altrimenti -, e di come anche lui sembra essere d'accordo, anche se rimane sempre di poche parole.

Mentre parlo e parlo, esprimendo tutta la mia felicità e spensieratezza, mi appoggio anche io alla ringhiera del balcone. Jace esce fuori un'altra sigaretta dal suo pacchetto e me ne offre una, che rifiuto. Lui, dal suo canto, ascolta in silenzio tutto quello che gli dico. Divora una, due sigarette di seguito mentre la sua espressione rimane imperscrutabile. Forse dovrei solo lasciarlo riposare.

Ama e fa' ciò che vuoiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora